Maestro del tempo e delle stagioni

Recensione Foudre. Opera prima svizzera, Foudre racconta di una giovanissima suora che, costretta a tornare alla fattoria di famiglia dopo un lutto, è portata dai diari della sorella morta suicida a rimettere in discussione tutti i propri valori.

Mandata in convento a «pregare per salvare la famiglia dai disastri della vita», la giovane Elisabeth si trova invece a esserne momentaneamente allontanata dopo la morte della sorella maggiore e la richiesta, da parte dei genitori, di ritornare a lavorare nei campi. Una volta a casa Elisabeth ricomincia a riassaporare la libertà inconsapevolmente perduta e, mettendosi sulle tracce dei ragazzi che avevano conosciuto la sorella Innocence negli ultimi anni della sua vita, e soprattutto leggendo i diari della ragazza, scopre di una libertà erotica per lei insospettabile. «Ho fatto quello che non si deve pronunciare con M. Mentre mi accarezzava, ho guardato il cielo e ringraziato Dio per l’amore». Leggendo le pagine private della sorella, rivolte esplicitamente a lei, Elisabeth scopre un misticismo paradossale, “lussurioso”, quasi una ninfomania teologica, che nel coito trova l’estasi. «Tutti passano attraverso me. Vorrei tutti gli uomini si di me. Sono l’amore astratto che tutti dimenticheranno. Voglio l’amore per dimenticare il mondo. È questo l’amore?».

Se il Bernini aveva tratteggiato la sua scultorea santa Teresa con la bocca atteggiata in un apparente orgasmo, le frasi vergate da Innocence sul suo diario esplicitano la componente erotica del misticismo occidentale e non rinuncia neanche a qualche attestazione di protofemminismo: «noi, le donne della terra, abbiamo il diritto di guardare il cielo e di giocare. Il corpo è fatto di violenza e tenerezza. Dio è una vibrazione. Dio è la sede del mio desiderio». Completamente folgorata – è questo il significato del titolo, come dall’espressione francese coup de foudre – dalle pagine della sorella, certa che questa avesse «incontrato Dio» nel modo più autentico e che proprio per questo era stata rifiutata dalla famiglia e dal villaggio, Elisabeth non tarda a fare esperienza di un risveglio erotico integrale. La sorella morta resta per lei una sorta di santa, di santa peccatrice, di cui invoca la grazia nei momenti di piacere. Dopo una tale esperienza di riscoperta radicale del corpo il ritorno all’ordine e al convento sarà impossibile, la fuga necessaria: ma prima Elisabeth sarà ridotta a una novella Bocca di Rosa per la gioia dei moralisti del villaggio.

Foudre è un film inaspettato, delicato ed energico, pignolo ma a tratti emozionante. L’esordio di Carmen Jacquier può ricordare un po’ Maternal, film di Maura Delpero prodotto dalla Vivo Film e presentato sempre qui alla Festa del Cinema di Roma alcuni anni or sono; ma la combinazione degli stessi elementi di fondo – il convento, una suora “liminare”, una storia d’amore trasgressiva, l’isolamento – si sviluppa in un modo molto diverso e in un’ambientazione, fortunatamente, storica, che cristallizza il racconto nel cuore dell’Ottocento. Invitante è anche la rappresentazione della vita rurale della famiglia di Elisabeth, un contesto che chiaramente consente alla regista Carmen Jacquier di imprimere una forte sensorialità alle immagini del film, creando anche una buona dialettica tra gli interni oppressivi e gli esterni liberanti. La regia è un po’ troppo statica, ma, paradossalmente, non abbastanza contemplativa: per una storia dai toni così spirituali, sia pure connotati da una spiritualità della trasgressione, lo stile più adatto non può essere quello di un Malick, come ben dimostra la sua ultima fatica Una vita nascosta – A Hidden Life. Foudre sovrappone certe storiche istanze “eros-liberanti”, sviluppatesi in antitesi alla Chiesa Cattolica, che fanno parte della cultura protestante e francofone da diversi secoli, alla sensibilità femminista contemporanea e, soprattutto, a certi stilemi del cinema francese più recente, con modelli chiaramente riconoscibili, soprattutto nel Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma.

Dal confronto tra un’opera registicamente matura, quale è il penultimo titolo della filmografia di Sciamma, e questo lungometraggio di esordio di Carmen Jacquier si potrebbe quasi trarre l’impressione che il femminismo cinematografico francese stia compiendo una serie di operazioni archeologiche, andando ad applicare certe sue istanze al passato della storia nazionale senza però distorcere la realtà oppressiva dei fatti (un po’ come fatto, in Italia, da Laura Samani col suo esordio Piccolo Corpo). Estremamente suggestiva, tanto sul piano visivo quanto su quello simbolico è la sequenza di una festa rurale tra giovani della zona, a cui partecipa anche l’ex suor Elisabeth, con tanto di maschere e di falò, che pare uscita da un racconto di Cesare Pavese o da una ricerca di Carlo Ginzburg; non a caso la scena fa da cerniera tra la prima e la seconda parte del film ed è il momento della festa che prelude all’embrionale iniziazione erotica della protagonista, in una scena dai marcati toni favolistici che rappresenta forse l’apice registico del film. Intensa e ben fatta anche la fotografia, eccetto un breve momento di voluta ma comunque eccessiva sovraesposizione in esterni.

Foudre è un’opera prima realizzata con un budget evidentemente limitato e uno stile di regia che, tanto per rifarci alla celebre distinzione pasoliniana, non va mai molto al di là del registro della prosa; eppure, tematicamente, questo esordio svizzero, passato a Toronto e a San Sebastián prima di approdare a Roma, si rivela come uno dei film più sorprendenti e cristallini dell’ultimo anno.

Titolo: Foudre
Regia: Carmen Jacquier
Sceneggiatura: Carmen Jacquier
Cast: Lilith Grasmug, Mermoz Melchior, Benjamin Python, Noah Watzlawick
Fotografia: Marine Atlan
Montaggio: Xavier Sirven
Musica: Nicolas Rabaeus
Produzione: Close Up Films, RTS – Radio Télévision Suisse
Distribuzione: TBA
Genere: drammatico, storico
Durata: 97′
Uscita: TBA