Dio è una biblioteca

Recensione Umberto Eco – La biblioteca del mondo. Davide Ferrario racconta ed esplora la biblioteca di Umberto Eco con il coinvolgimento dei suoi famigliari.

«La biblioteca è effettivamente simbolo e realtà di una memoria collettiva». Da questa frase di una delle ultime interviste video di Umberto Eco, registrata a gennaio 2015 poco più di un anno prima della sua morte, prende le mosse La biblioteca del mondo, il nuovo documentario di Davide Ferrario che si addentra nelle stanze private del grande semiologo, scrittore, medioevalista, filosofo, etc.

La biblioteca di Umberto Eco contava di 1200 volumi antichi e 30000 libri moderni, forse anche di più, dal momento che da un certo momento in poi l’intellettuale smise semplicemente di tenere il conto. Già da giovane Eco raccontava, tra il serio e il faceto, di essere stato sfrattato da un suo precedente appartamento dagli ingegneri del genio civile perché il peso dei troppi libri rischiava di rivelarsi fatale per i muri portanti. Nell’abitazione milanese in cui ha trascorso gli ultimi tre decenni della sua vita, Eco aveva “ammassato” una quantità spropositata di libri e di volumi, complice anche il suo celebre, ironico rifiuto degli e-book: tra i pregiatissimi volumi della sua collezione di antiquaria, scopriamo che un numero piuttosto cospicuo concentrava gli scritti dell’eclettico gesuita Athanasius Kircher, con splendide illustrazioni che ci aprono un varco verso gli aspetti più medioevaleggianti, visionari e misterici della scrittura di Eco.

Due aspetti che il documentario di Ferrario illustra perfettamente sono, da un lato, quello di Umberto Eco come intellettuale popolare, ma non pop, con riprese di archivio del funerale e il racconto dalla viva voce della vedova Renate Ramge che esprime bene l’affollatissima massa di milanesi andati al Castello Sforzesco per esprimere l’estremo saluto al pensatore: dall’altro lato, grazie al coinvolgimento di tutta la famiglia di Eco, nel documentario di Ferrario entriamo i contatti con i lati più domestici, non privati, dello scrittore. In particolare, è toccante il racconto del nipote della volta in cui «nonno Umberto» aveva svolto per lui un compito sul Giornalino di Gian Burrasca, procurandogli il massimo dei voti. Molto ponderata e ricca la scelta dei materiali video e delle registrazioni di archivio di Eco, oltre che dei passaggi di suoi testi quali La memoria vegetale, che consentono di attraversare le riflessioni pubbliche disseminate dall’intellettuale nel corso dei decenni su tematiche quali la bibliofilia, la memoria, il mondo digitale sempre più in ascesa, il potere ipnotico dei libri.

«Se la sfida antica era possedere più enciclopedia possibile, adesso sarebbe in un certo senso sbarazzarsi di quante più informazioni possibili». Umberto Eco, che si era pionieristicamente rivolto all’analisi critica della fruizione dei più variegati mass-media con testi fondativi quali Apocalittici e integrati, negli ultimi anni della sua vita aveva lasciato appelli sui pericoli insiti nel digitale. Eco con quel testo cercava la proverbiale via media, il giusto equilibrio tra i cantori del progresso e dell’informazione a tutti i costi e i critici più severi della civiltà dei consumi e dei suoi potenti mezzi di comunicazione, come Theodor Adorno o il nostro Elémire Zolla. Nell’ultimo segmento del suo percorso intellettuale, anche con dichiarazioni forti quali la celebre «i social hanno dato voce a legioni di cretini», Eco aveva cercato di proporsi come una coscienza critica, l’usignolo di un epoca fin troppo informatizzata.

«Il nostro rischio è la perdita di memoria per l’eccesso di memoria digitale» forse è la frase di Eco che più succintamente riassume la sua perplessità, verso il nuovo che avanzava e che avanza ancora oggi, via via che il nostro mondo si avvicina al virtuale.
Presentando il suo nuovo documentario, Davide Ferrario, che aveva conosciuto Eco personalmente collaborando anche con lui e aveva ripreso la sua biblioteca già nel 2015 per una videoinstallazione sulla memoria commissionata dalla Biennale Arte di Venezia, ha definito l’intellettuale come un «personaggio cinematografico» (aggiunge Stefano, il figlio del semiologo, «bigger than reality») e il montaggio del suo docufilm si è mosso con un gusto prettamente visivo, oltre che documentale. Se non risuonano molto convincenti le interpretazioni monologanti di passi dei volumi saggistici di Umberto Eco affidate ad attori come Mariella Valentini, Giuseppe Cederna e Niccolò Ferrero, con un perenne quanto fastidioso sguardo in macchina, geniale è l’idea di rielaborare attraverso tecniche di animazione i disegni di alcuni dei più bei volumi antichi posseduti da Eco (per esempio, gli scritti del gesuita Kircher).

«Nel suo profondo vidi che s’interna, / legato con amore in un volume, / ciò che per l’universo si squaderna» se la Bibbia era per Goethe il libro di tutti i libri, già a Dante Dio stesso era apparso come bibliotheca mundi, come ricordato dalla voce postuma di Umberto Eco all’inizio del documentario. In un contesto puramente laico, attraversando strutture di pensiero del tutto sganciate dall’immaginario religioso, anche Eco si mostrava consapevole ed anzi restauratore del carattere numinoso della letteratura, non meno del suo amico Roberto Calasso con il quale fu per decenni impegnato in una scherzosa competizione a chi acquistasse più volumi d’epoca. Un’altra delle frasi di Eco più significative raccolte dal documentario ricorda «sono un semiologo, mi occupo di linguaggio e dei linguaggi, e la forza del linguaggio non è dire cosa esista ma poter descrivere quello che non esiste».

Negli ultimi minuti del documentario, attraverso le parole del figlio Eco apprendiamo di Milo Temesvar, una creazione metaeditoriale nata per scherzo e per polemica alla Fiera di Francoforte dei primi anni sessanta, e più volte evocata da Eco nei suoi scritti: uno scrittore immaginario, creato proprio per denunciare la credulità dei lettori e, anche, degli editori meno accorti, un ennesimo esempio di come la letteratura e la fiction nel senso più generale del termine tendano a farsi più reali del Reale, come avrebbe borgesianamente denunciato Eco fino agli ultimi anni della sua vita.

La bibliofilia, la semiotica, la tesi popperiana del complottismo come frutto della secolarizzazione e Dio come idea regolativa per esprimere l’Universale creano un inquietante e affascinante cortocircuito nel corso di Umberto Eco – La biblioteca del mondo di Ferrario. Questa quadratura basterebbe, da sola, a dare le coordinate essenziali per ricominciare un nuovo percorso nel pensiero e nella letteratura europei, sotto il segno, come sempre, di Eco.

Titolo: Umberto Eco – La biblioteca del mondo
Regia: Davide Ferrario
Sceneggiatura: Davide Ferrario
Cast: Giuseppe Cederna, Niccolò Ferrero, Paolo Giangrasso, Walter Leonardi, Zoe Tavarelli e Mariella Valentini
Fotografia: Andrea Zambelli, Andrea Zanoli
Montaggio: Cristina Sardo
Produzione: Rossofuoco, Rai Cinema
Distribuzione: Fandango
Genere: documentario, biografico
Durata: 80′
Uscita: TBA