L’ombra di Placido

Recensione L’ombra di Caravaggio. Un’indagine poliziesca su Caravaggio, durante il celebre periodo dell’esilio napoletano, è l’occasione per tracciare un biopic che raccoglie il meglio del cinema italiano davanti e dietro la macchina da presa.

1609, dopo aver assassinato un uomo, Michelangelo Merisi detto Caravaggio (Riccardo Scamarcio) è stato condannato a morte dallo Stato Pontificio e si è rifugiato presso la famiglia Colonna a Napoli, in attesa di ricevere l’auspicata assoluzione papale. Incerto sul da farsi, il papa incarica un misterioso “agente segreto” ante litteram, nei titoli indicato semplicemente come l’Ombra (Louis Garrel), di indagare sulla vita e sui comportamenti attuali del pittore: questo è lo spunto per una ricognizione biografica su tutta la vita di Caravaggio, che prende le mosse agli anni dell’apprendistato romano per arrivare fino al momento della sua misteriosa morte, lungo il viaggio di ritorno a Roma.

A Caravaggio sono stati dedicati innumerevoli biopic, da canonici sceneggiati televisivi come quello datato anni sessanta e interpretato da Gian Maria Volonté, a raffinate esplorazioni autoriali quali il Caravaggio di Derek Jarman. Un direttore della fotografia premio Oscar del calibro di Vittorio Storaro lo ha eletto a genio elettivo e di recente un saggio di Francesco Fiotti edito da Mimesis Edizioni, Caravaggio e Kubrick sabotatori del reale, ha indagato efficacemente la suggestione di un Caravaggio protofilmico, capace di anticipare di molti secoli l’utilizzo drammaturgico ed emotivo della luce che poi il cinema avrebbe reso di dominio pubblico. Il nuovo film di Michele Placido, L’ombra di Caravaggio, forse non brilla per originalità del soggetto di partenza, ma ci restituisce una ri-esposizione della vita dell’artista narrativamente canonica e ritmicamente accattivante.

Una cosa c’è da dire prima di ogni altra: L’ombra di Caravaggio è un ottimo one-man-show di Riccardo Scamarcio, in una delle sue interpretazioni più intense. Benché attorniato da attori di rango interpretativo di gran lunga superiore, Isabelle Huppert in primis, Scamarcio riesce a reggere benissimo la scena, anche grazie a una sceneggiatura che compendia in maniera sintetica ma efficace i tratti salienti della personalità contorta del Caravaggio, prima ancora che della sua vita. Anche attraverso i personaggi interpretati da Lolita Chammah e Micaela Ramazzotti, le due prostitute a cui il pittore si ispirò per dare il volo rispettivamente a Maddalena e alla Madonna, il film di Placido dà grande risalto alla pratica di Caravaggio di usare straccioni, prostitute, suoi giovani amanti e altre persone di umilissime condizioni come modelli per le sue tele di soggetto sacro. «Qua tutto è Vangelo», ripete il Caravaggio di Scamarcio, che in una scena si dice addirittura credente, a critici, detrattori e accusatori – e le prostitute sono le modelle più adatte a fare le veci delle sante donne della narrazione evangelica perché «le donne in vendita vivono il dolore dell’esistenza nel loro corpo». È proprio su questo punto che l’indagine della simil-Inquisizione guidata dal personaggio di Garrel sulle tracce di Caravaggio, che amava fin troppo le donne e «gli uomini no, i ragazzi». Rivedere sul grande schermo i quadri di Caravaggio fa sempre piacere, da questo punto di vista la ricostruzione compiuta da Placido e la sua squadra è esemplare. Particolarmente bello è il momento in cui Costanza Colonna (Isabelle Huppert) sprona Caravaggio a completare la sua celeberrima La conversione di San Paolo, uno dei dipinti su cui il pittore ebbe più dubbi sia sul punto di vista dello stile adottato sia per quanto riguardava il complesso contenuto teologico. Come una battuta sempre del personaggio di Huppert evidenzia bene, Caravaggio fu «pittore del popolo», irriducibile alle convenzioni della vita di corde e recalcitrante di fronte alle imposizioni sempre più severe che il Santo Uffizio tentò invano di imporgli in materia di rappresentazioni religiose.
Girato tra Lazio e Campania, L’ombra di Caravaggio è uno dei pochi film italiani recenti che non mostra segni di penurie di budget e che si muove anzi nel segno di un’ottima ricostruzione storica. L’operazione compiuta da Michele Placido è semplice, priva di grossi rischi: da una parte, radunare alcuni dei volti più noti del cinema italiano – Scamarcio, Marchioni, Ramazzotti, Haber, anche Moni Ovadia – e francese – Louis Garrel, Isabelle Huppert e sua figlia Lolita Chammah; dall’altra, coinvolgere alcuni dei migliori tecnici dell’industria cinematografica italiana contemporanea. È soprattutto il fronte tecnico a rivelarsi determinante per la riuscita del film: con Michele D’Attanasio (Jeeg Robot, Freaks Out, Tre piani) alla fotografia, Tonino Zera (Il primo re) alla scenografia, Carlo Poggioli (The New Pope, I fratelli Grimm di Gilliam, anche il nuovo film di Terrence Malick) ai costumi e Consuelo Catucci (Perfetti Sconosciuti) al montaggio, è difficile non fare quantomeno un buon lavoro. Anche la sceneggiatura non ha gravi intoppi, una struttura a più livelli ma classica, e un buon senso del ritmo: tra i “quadri” più belli, anche se fin troppo scenografico, l’incontro immaginario tra Caravaggio e Giordano Bruno nelle carceri romane, poche ore prima del rogo che giustizierà il filosofo coram populo a Campo de’ Fiori. Tra gli altri personaggi celebri del tempo di Caravaggio che il biopic di Placido scomoda per una breve apparizione c’è anche Artemisia Gentileschi, che scandalizza l’inquisitore di Garrel per la sua attività di pittrice donna.

«Io dipingo ciò che vedo». Questa frase, che Caravaggio nel film pronuncia durante il suo incontro finale con l’Ombra di Garrel, è una sorta di manifesto di tutta la lettura condotta da Placido – e da Scamarcio – nel biopic. Il canone al tempo stesso realista e drammatico imposto da Caravaggio ha avuto un’eco duratura su tutta l’arte italiana nel senso più ampio del termine, eco che ha trovato un punto fermo nel cinema di Pier Paolo Pasolini – notevoli le somiglianze tra i due, mediate da Longhi nonostante la disparità di linguaggi e di secoli, dall’uso dei modelli fino all’attenzione eretica per il sacro – e che tuttora forse perdura, volgarizzato in un realismo spiccio che poco o nulla ha a che fare con la drammatica visionarietà del pittore. I corsi e i ricorsi storici hanno decisamente spostato il baricentro dell’arte, verso altre sponde e altre nazioni, sempre che un’arte ci sia ancora, ma in un’operazione certo non meno nazional-popolare di quanto potesse esserlo Il giovane favoloso di Martone e Germano su Leopardi, L’ombra di Caravaggio di Placido e Scamarcio testimonia anche di un tempo in cui l’Italia era ancora apripista della cultura e delle arti. La pittura di Caravaggio ebbe un’immediata eco internazionale, tanto che, come ricorda anche questo biopic, la tela della Morte della Vergine, rigettata dal papato venne salvata, e fatta acquistare al duca di Mantova, dal pittore olandese Rubens: ma questa è un’altra storia ancora.

Titolo: L’ombra di Caravaggio
Regia: Michele Placido
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Michele Placido, Fidel Signorile
Cast: Riccardo Scamarcio, Louis Garrel, Isabelle Huppert, Vinicio Marchioni, Lolita Chammah, Alessandro Haber, Micaela Ramazzotti, Tedua, Moni Ovadia
Fotografia: Michele D’Attanasio
Scenografia: Tonino Zera
Costumi: Carlo Poggioli
Montaggio: Consuelo Catucci
Produzione: Goldenart, Charlot, Le Pacte, Rai Cinema, Mact Productions, con il contributo del Ministero della Cultura, con il sostegno di Regione Lazio, Film Commission Regione Campania
Distribuzione: 01 Distribution
Genere: biografico, storico
Durata: 120′
Uscita: 3 novembre 2022