Tragico periferico contemporaneo

Recensione Athena. Prodotto da Netflix, Athena di Romain Gavras si muove sul solco de Les Misérables di Ladj Ly per immaginare una banlieue francese in preda a disordini e drammi che non hanno nulla da invidiare al teatro classico greco.

In principio fu Les Misérables, film del 2019 di Ladj Ly ambientato tutte nelle banlieu, che riscosse un grandissimo successo internazionale nonostante la pandemia di Coronavirus, fino ad essere candidato all’Oscar come Miglior film straniero. Athena è per molti versi la versione Netflix di Les Misérables, ma, contrariamente a quello che di solito accade quando Netflix si impadronisce più o meno dichiaratamente di un’idea e la reboota, è anche un miglioramento rispetto all’originale: del resto a sancire la continuità tra i due titoli c’è anche la presenza di Ladj Ly come co-sceneggiatore di questo nuovo progetto. Il regista di Athena invece è Romain Gavras, figlio di Costa Gravas, noto soprattutto per i suoi videoclip musicali ma già autore di altri due lungometraggi prima di questo. Il contesto in cui Athena è ambientato è, nuovamente, quello delle banlieue ai margini delle metropoli francesi, rese in una maniera ancora più esasperata e violenta rispetto che ne Les Misérables: il titolo fa riferimento innanzitutto a una periferia parigina, ma occhieggia chiaramente anche alla capitale della Grecia. In effetti, uno dei maggiori punti di forza di Athena sta proprio nei suoi molteplici rimandi al tragico greco, e al modo in cui, molto più di quanto Les Misérables faceva nei confronti del testo di Victor Hugo, sa attualizzare certe caratteristiche del teatro ateniese del V secolo a.C.

La trama di Athena è tanto esile quanto potente: nell’omonima banlieue, un tredicenne di origini algerine viene pestato a morte da un gruppo di poliziotti; immediatamente si scatena una sommossa generale e i tre fratelli maggiori del ragazzo, uno dei quali peraltro membro delle forze dell’ordine, prendono tre posizioni diverse rispetto a quanto accaduto; uno di loro aizza addirittura una rivolta contro la polizia, rivolta che si trasforma in una vera e propria guerra di resistenza all’interno di una palazzina occupata nella banlieue. Seguirà proverbiale fratricidio. Accanto alla trama, un altro degli aspetti più impressionanti di Athena, sta nel suo stile registico, costantemente vincolato a lunghi piani sequenza: questo approccio alla macchina da presa, così moderno e a tratti virtuosistico, porta a un livello immersivo i canoni di certo realismo sociale alla francese, facendo parlare i grandi temi di Ladj Ly o del primo Kechiche il linguaggio action più adatto a una piattaforma come Netflix. Con Athena ci troviamo di fronte dunque a un insperato punto di incontro tra Diaz di Vicari e 1917 di Mendes, anzi, siamo davanti a un 1917 with an hearth. Tra i piani sequenza di Athena concertati da Romain Gavras, nonché dal suo direttore della fotografia Matias Boucard, spicca sicuramente quello iniziale, interminabile e complessissimo, quasi monumentale, che accompagna e fa alternare diversi personaggi nell’arco di un chilometro di traiettoria quando, falliti i tentativi di mediazione, un gruppo di francoalgerini assalta direttamente la centrale di polizia più vicina.

La gendarmeria assaltata, il poliziotto magrebino in lutto per l’assassinio di suo fratello da parte di altri poliziotti, più avanti il poliziotto bianco ostaggio nella banlieue, il costante rischio del fratricidio che aleggia sulle teste dei protagonisti: anche in queste reiterate situazioni narrative, Athena dimostra di aver compreso appieno certi tratti caratteristici dell’originario tragico greco. Il cacciatore cacciato dalla sua preda, il sacerdote sacrificato al posto della vittima, il re detronizzato, ucciso e poi divinizzato: era da queste esperienze primitive che il tragico greco prendeva le mosse e questi stessi capovolgimentikatastrophai – ritornano, da un punto di vista strutturale, lungo tutta la trama di Athena. Curiosamente, un altro polar francese presentato a Venezia nel 2018, Frères Enemies, si relazionava con gli stessi dualismi tragici di fratelli in lotta tra loro sullo sfondo delle periferie parigine e di un’indagine di polizia, ma solo in Athena questa situazione di “doppi”, di tripli e di quadrupli, con tanto di fratello morto, viene portata fino alle estreme conseguenze drammaturgiche.

Forse esagereremo, ma un altro possibile punto di contatto deliberato, tra il film di Gavras e il tragico antico, sta nella scelta di non inquadrare mai i cadaveri: numerose sono le scene di scontro tra gli occupanti e la polizia, ma nessun cadavere appare in campo se non quando è già coperto dal telo bianco dei paramedici. Del resto, come insegnava Jean-Paul Vernant, da alcuni considerato il più grande grecista del Novecento, una delle grandi categorie del tragico antico era quella dell’Ambiguo: e cosa c’è di più intrinsecamente ambiguo di un poliziotto di colore da un lato chiamato a sedare una rivolta nelle banlieue, transfuga agli occhi di entrambe le parti, tanto per le forze dell’ordine in schieramento di difesa quanto per gli autoctoni ormai sul piede di guerra, e dall’altro condannato ad attraversare perennemente la frontiera che separa i palazzoni dall’Athena dalla strada dove le pattuglie si sono definitivamente accampate? Per le tematiche, per l’attualità, per i suoi equilibrati risvolti politici, per il linguaggio adottato e per il notevole sforzo produttivo Athena ha le carte in regola per diventare un nuovo classico del cinema sociale francese. Significativo è peraltro rilevare la fortuita somiglianza tra Athena di Gavras Jr. e Il legionario di Hleb Papou, un film italiano uscito nelle nostre sale a febbraio che trattava, più in piccolo, una storia simile con paradossi e conflitti morali identici.

Guido Ceronetti intitolò una sua raccolta di articoli di giornale, uscita per Adelphi, Tragico tascabile, e in questi scritti indagava «il tragico che compri all’edicola, quel che ti fulmina da una telefonata». Il senso complessivo di quella raccolta voleva raccontare la fine dell’autentico tragico greco, un’esperienza religiosa e collettiva, ormai ripiegatasi in sofferenze ombelicali, in impensabili e improvvisi atti di violenza domestica e quindi privata. È vero, parlando in termini generali, che il tragico nella nostra era secolare è morto. È vero che di tanto in tanto risorge, in opere di artisti come Hermann Nitsch, oppure in certi sporadici momenti del cinema di Kubrick o di Antonioni. Un film contemporaneo come Athena può dimostrare la possibilità, recondita, di ritrovare ancora la potenza del tragico – nell’occhio del ciclone dei più complessi fatti contemporanei. Il destino de I Persiani di Eschilo basta da solo a testimoniare tutta la difficoltà che c’è nel fare una tragedia da fatti freschi o ancora in corso, e Roberto Calasso in uno dei punti più alti di tutta la sua Opera postulava che della contemporaneità si danno solo brandelli, lacerti, frammenti, sparagmi tutt’al più. Di nuovo, Athena può forse insegnare che, con un linguaggio che non teme di procedere per universali, e un po’ anche per astrazione – per quanto gravi, nemmeno le più pesanti rivolte nelle banlieue parigine, dal Duemila ad oggi, hanno raggiunto il livello di violenza rappresentato nel film; ciò non toglie che un domani potrebbero arrivarci – anche dal contemporaneo si può fare una buona tragedia, e, soprattutto, anche dal contemporaneo si può fare grande cinema.

Titolo: Athena
Regista: Romain Gavras
Sceneggiatura: Ellas Belkeddar, Romain Gavras, Ladj Ly
Attori principali: Dali Benssalah, Alexis Manenti, Anthony Bajon, Karim Lasmi
Scenografia: Arnaud Roth
Fotografia: Matias Boucard
Montaggio: Benjamin Weill
Costumi: Noémie Veissier
Produzione: Iconoclast Films, Netflix
Distribuzione: Netflix
Durata: 97’
Genere: drammatico, sociale
Uscita: 23 settembre 2022