Giardino d’inverno

Recensione Master Gardner. Arrivato a Venezia per ritirare il Leone d’Oro alla Carriera, Paul Schrader, regista-simbolo della New Hollywood, presenta fuori concorso la sua nuova fatica Master Gardner, interpretata da Joel Edgerton e Sigourney Weaver.

C’è da dire che pochi registi, nella storia del cinema, possono vantare una carriera e una biografia così accidentata e complessa come quella di Paul Schrader. Classe 1946, sale alla ribalta nel 1976 quando firma la sceneggiatura di Taxi Driver di Martin Scorsese; di lì a poco esordisce anche come regista, e fra numerose e incredibili vicissitudini produttive – tra le più eclatanti, quelle riguardanti la realizzazione del prequel de L’Esorcista e del thriller Dying of the Light – è riuscito ormai ad accumulare una ventina di film nella sua filmografia. Un passo indietro e Schrader è un giovane enfant prodige della critica cinematografica americana, autore di un saggio su Il trascendente nel cinema tuttora oggetto di venerazione tra gli studiosi di certo cinema d’autore d’impronta più spirituale. Un passo indietro ancora e Paul Schrader è un giovane fuggito via dalla casa natale che vede per la prima volta un film all’età di 18 anni: la sua famiglia, di rigida tradizione calvinista, gli aveva sempre proibito i piaceri della settima arte. Il suo primissimo impatto con il grande schermo, il film di serie B Le notti folli del dottor Jerryll, è deludente, ma questa esperienza iniziatica non fa desistere il giovane Schrader dallo studiare cinema tra l’Università della California e l’American Film Institute.

Se aver firmato la sceneggiatura di Taxi Driver è sempre stata una sorta di spada di Damocle sulla sua carriera successiva, essendo quella sceneggiatura a detta dello stesso Schrader insuperabile, fino a pochi anni fa la sua parabola da regista sembrava essere arrivata alle battute finali: una carriera forse discontinua, ma con una media comunque alta, capace di sfornare cult come American Gigolò e veri e propri capolavori come Mishima: A Life in Four Chapter accanto ad altri titoli ben più dimenticabili. Nel 2017 invece accadde un lieto imprévu: l’A24 produsse e distribuì First Reformed, dramma religioso a metà strada tra Bergman e Bresson interpretato magistralmente da Ethan Hawke, che ricevette un relativamente buono riscontro ai botteghini e portò Schrader a ricevere la sua prima candidatura all’Oscar (per la Migliore sceneggiatura originale). Quattro anni dopo, alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, arrivò Il collezionista di carte – The Card Counter, interpretato da Oscar Isaacs, Willem Defoe e Tye Sheridan. Appena un anno dopo Il collezionista di carte, Schrader è riuscito a portare a termine anche questo nuovo Master Gardner, esplicitamente presentato come la conclusione di un’ideale trilogia americana del regista. Venuto a Venezia per ritirare il Leone d’Oro alla Carriera, Schrader ha sfoderato il suo solito battage di gustose dichiarazioni alla stampa – negli ultimi giorni di riprese era sicuro di essere sul punto di morire per un problema congiunto a cuore e polmoni, ma aveva preferito andare sul set anziché farsi ricoverare; sui social ha definito il suo arrivo a Venezia «the last rodeo», ma intanto parla di un nuovo film incentrato per la prima volta su una protagonista femminile. Certo è che Master Gardner aggiunge un nuovo, convincente capitolo all’ormai lunga filmografia di Schrader, con tutti i tratti stilistici e i nodi tematici caratteristici del suo cinema, e ci offre anche un Joel Edgerton in ottima forma e in una delle sue migliori performance attoriali.

C’è da dire che, se con film precedenti come Adam Resurrected o The Canyons Schrader aveva tentato le sue vie, in questa trilogia americana è tornato alle radici: da un lato Taxi Driver, dall’altro lato il cinema di Bresson già oggetto di abbondanti indagini ne Il trascendente nel cinema. Questi suoi ultimi tre film, First Reformed, Il collezionista di carte e adesso Master Gardner sembrano essere altrettante rielaborazioni di Taxi Driver, reciprocamente applicate a un pastore protestante, a un giocatore di poker e a un giardiniere, tutti e tre in cerca di riscatto da un passato tenuto nascosto; rispetto al film del ’76 di Scorsese con De Niro, Schrader enfatizza però gli aspetti spirituali e redentivi, sfiorando il cristologico col personaggio di Ethan Hawke nel primo di questi tre film. Diverse sono le situazioni tipicamente bressoniane che si ripetono in questa trilogia, a cominciare dal topos riflessivo che coglie il protagonista intento a scrivere degli appunti personali lette in voice-over, un chiaro rimando al Diario di un curato di campagna. In una maniera forse non così tanto approfondita, ma comunque incisiva, tutti e tre i film affrontano peraltro dei veri e propri fantasmi dell’America contemporanea: se sullo sfondo di Taxi Driver si ergeva prepotentemente la paranoia post-Vietnam, se First Reformed ha espliciti e quasi ossessivi riferimenti apocalittico-ecologici e se Il collezionista di carte contiene flashback violenti relativi alla guerra in Afghanistan, via via che si fa luce sul passato del title character di Master Gardner ci si addentra nel mondo e nell’immaginario, anche tatuistico, dei suprematisti bianchi americani.

Venendo specificatamente a Master Gardner, protagonista di questo film è Narvel Roth, il capo giardiniere di un’importante tenuta di proprietà di una ricca vedova, interpretata da una rediviva Sigourney Weaver. Il loro sodalizio professionale è anche sentimentale e sembra andare per gonfie vele mentre si intensificano i preparativi per un importante party di beneficienza annualmente ospitato nella tenuta; tutto crolla però quando la proprietaria dei giardini chiede a Narvel di insegnare i rudimenti del mestiere a una sua pronipote, rimasta orfana di entrambi i genitori e caduta in un giro di dipendenze e di spaccio di droga. Mentre si crea un imprevedibile legame tra Narvel e la giovane Maya, l’uomo dovrà fare i conti col suo passato proteggendo la ragazza dal gruppo di amici spacciatori che frequentava prima di raggiungere la tenuta.

In un curioso equilibrio tra dramma da camera e road movie, con i due registri che si alternano di sequenza in sequenza nel film, Master Gardner non raggiunge l’apice toccato da Schrader con First Reformed e condivide con Il collezionista di carte gli stessi, piccoli difetti e le stesse qualità. Se ci sono alcune piccole sbavature stilistiche o di sceneggiatura e se il passato del protagonista sembra essere fin troppo sintetizzato dai ripetuti flashback, nel complesso Master Gardner è un efficace film drammatico ancorato a una scala valoriale che il cinema americano più classico aveva sempre dispiegato, ma che negli ultimi decenni sembrava essersi un po’ persa. Complicata dai ripetuti rimandi al passato e dalla presenza di una poetica scena onirica floreale, la struttura di Master Gardner è la classica colpa/redenzione, due categorie che l’immaginario americano si sta lasciando alle spalle, ma che la cultura puritana da cui proviene Schrader avvertiva come cruciali: basta questo dualismo morale di fondo a lasciare una certa sensazione di senilità dietro ad alcune scelte di trama, ma Master Gardner, pur essendo un film morale, non è mai moralistico. Uno dei momenti più convincenti e meglio riusciti, in questo senso, è proprio quello in cui Maya scopre, sulla schiena nuda del personaggio di Joel Edgerton, i tatuaggi risalenti al suo passato da white suprematist e, da meticcia qual è, deve riuscire a venire a patti con la vita pregressa dell’uomo che ama. La scena poteva facilmente prestarsi a faziosità o a un eccesso di conciliazione, ma Schrader, prolungando la questione su un’intera sequenza di allontanamento e riavvicinamento tra i due, sa rendere convincentemente il dilemma interiore della giovane donna e anche quello del suo accompagnatore.
Uno degli aspetti più caratteristici del cinema di Paul Schrader si è poi sempre incarnato in una grande capacità di ottenere il meglio dai suoi attori: e da questo punto di vista anche Master Gardner è da antologia. Uno Joel Edgerton così non lo si era forse mai visto, se non in un film in cui l’attore era anche regista, Boy Erased (sulle terapie psicologiche che alcuni iper-conservatori cristiani americani tentano di applicare ai giovani omosessuali). Il personaggio di Sigourney Weaver è drammaturgicamente meno sviluppato rispetto ad altri suoi ruoli del passato, ma l’attrice della saga di Alien e di Gorilla nella giungla continua a mantenere una forte presenza carismatica sullo schermo; più che buona anche la prova della più giovane Quintessa Swindell, divenuta celebre grazie a una breve apparizione nella serie televisiva teen Euphoria, e scelta da Schrader dopo un tentativo fallito di avere la protagonista della serie HBO, l’ormai star planetaria Zendaya.

Accanto alle interpretazioni attoriali, un altro elemento interessante di Master Gardner sta nelle sue componenti dialettiche: in una maniera piuttosto esplicita, diversi personaggi, e soprattutto Narvel e Maya, incarnano differenti visioni del mondo che si relazionano vicendevolmente. «Fare giardinaggio vuol dire credere nel futuro» e nella regolarità della natura, dice il personaggio di Joel Edgerton all’inizio del film; al che, poco dopo, una sua collega gli risponde: «non puoi schematizzare la natura. Continuerà a sorprenderti sempre». Se un altro degli elementi tipici dell’ultima porzione della produzione cinematografica di Schrader – ma anche di certo cinema di Bresson: basti pensare a tutta la prima parte de Un condannato a morte è fuggito – sta proprio in questo atteggiamento per cui i protagonisti passano il tempo a dettare e a ripetere in voice over al pubblico delle supposte “regole del gioco”, esplicitano gli schemi a cui (credono) la realtà obbedisca: smentirli diventa allora compito del film e degli altri personaggi della storia. Con questa bella densità tematica e strutturale a 76 anni Schrader consegna al pubblico il suo nuovo film: e se si mettono da parte certe imperfezioni secondarie che abbiamo cercato qui di sviscerare, Master Gardner resta un film che sa restituire alcuni dei valori più interessanti della New Hollywood, in primis un certo esistenzialismo on the road all’americana, ben quattro decenni dopo la fine di quel movimento, tradizionalmente indicata nel flop dei Cancelli del Cielo.

Titolo: Master Gardner
Regista: Paul Schrader
Sceneggiatura: Paul Schrader
Attori principali: Joel Edgerton, Sigourney Weaver, Quintessa Swindell, Eduardo Losan
Scenografia: Ashley Fenton
Fotografia: Alexander Dynan
Montaggio: Benjamin Rodriguez Jr.
Costumi: Wendy Talley
Produzione: Kojo Studios, Ottocento Folms
Distribuzione: Movies Inspired
Durata: 107’
Genere: drammatico
Uscita: T.B.A.