L’irresistibile attrazione tra due divi dei film d’altri tempi in un magnifico atto d’amore per il cinema intero.

Niente parole, tutta magia
di Angelo Simone

In un momento in cui il mercato sembra tendere a una tridimensionalità posticcia o, nella migliore delle ipotesi, alla suggestione realistica del cinema digitale, arriva nelle sale The Artist, un grande film che appassiona e commuove riportando la storia indietro di ottant ’ anni, alle pellicole senza sonoro, a quel raffinato e inarrivabile bianco e nero, a quel periodo meraviglioso che ha prodotto mitiche star e titoli indimenticabili.

È in questo scenario che si muove George Valentin (Jean Dujardin), star del muto che si trova all’apice della carriera proprio negli anni in cui Hollywood e i produttori iniziano ad accorgersi delle maggiori possibilità del sonoro. La sua strada si incrocia con quella di una ragazza che sogna il grande cinema, Peppy Miller (Bérénice Bèjo, anche moglie del regista) e sarà proprio George a favorire il suo successo, senza rendersene conto. Un incontro magico fin dai primi istanti e che non mancherà di avere conseguenze impreviste. I due protagonisti si incontrano e si scontrano su questa immaginaria linea di confine tra due mondi diversissimi, tra due idee differenti di concepire e produrre storie per immagini, ma anche tra ascesa e declino, tra orgoglio maschile e generosità femminile. Un conflitto tra opposti, arricchito da molte figure accattivanti come il produttore burbero, ma dal cuore d’oro (John Goodman) o il fedele autista di George Valentin (James Cromwell).

Il risultato è un film muto incredibilmente contemporaneo che utilizza tutte le tecniche e rispetta tutti i canoni dell’epoca, allacciando allo stesso tempo con lo spettatore una complicità immediata, partecipe, attualissima e con momenti di poesia altissima, tra tutti la scena in cui Peppy si infila una manica di un vestito appeso di George e mima un abbraccio dell’uomo di cui è innamorata.

Altro pregio è la grande vena ironica: il melodramma è sullo sfondo, ma in moltissime occasioni, e mai gratuitamente, la storia offre l’occasione di un sorriso o di una spensierata risata, aiutata da un formidabile terzo protagonista, il simpaticissimo Uggi, il cane di George Valentin, uno dei migliori interpreti canini di tutti i tempi.

Gigantesco è, infine, lo sforzo messo in atto per ricreare scenografie e costumi. Niente è lasciato al caso e ogni immagine è una gioia per gli occhi. Tutto in The Artist , premiato allo scorso festival di Cannes per il protagonista Jean Dujardin, contribuisce a comunicare la sincera devozione e l ’ amore del regista (anche sceneggiatore) per il grande cinema, e questa vena di autenticità rende il meccanismo incantevole e la meraviglia perfettamente riuscita.

Anacronismi nell’era del 3D
di Andrea Ussia

Una storia d’amore storicamente a cavallo tra il cinema muto e la venuta del sonoro.

1927, George Valentin è un divo del cinema muto. L’avvento del sonoro coinciderà con la conclusione della sua carriera e con la rapida ascesa, nel firmamento delle stelle cinematografiche, di una comparsa di nome Peppy Miller.

Nell’era della tridimensionalità, Michel Hazanavicius “corre” il rischio di effettuare un’operazione controcorrente di riscoperta del cinema delle origini, realizzando The Artist, una pellicola muta e in bianco e nero. Il risultato è un’opera di ottima fattura, curata in ogni piccolo particolare e caratterizzata da un utilizzo significativo del “non colore” abbinato a una vasta scala di grigi. La pellicola è immersa nel proprio periodo storico in modo convincente, senza che nulla sia lasciato al caso. All’evidente studio approfondito delle riprese e dei movimenti di macchina si aggiunge a un’attenzione meticolosa nei confronti della riproposizione fedele del formato cinematografico, l’originario 1,33:1. Formato che consente di realizzare primi piani meravigliosi, creare prospettive, dilavorare sui volti e sulle ombre in maniera originale. L’autore, che ha presentato la sua pellicola all’ultimo Festival di Cannes, commuove e appassiona con le singole smorfie, con gli ammiccamenti frequenti che gli attori rivolgono alla macchina da presa. I cartelli, non frequenti, sostituiscono le parole e grande merito va ai due interpreti – Dujardin e Berenice Bejo, coppia affiatata, giunti rispettivamente al terzo e secondo film con Hazanavicius –, che riescono a sopperire alla mancanza con delle convincenti prove recitative. Il cast si compone inoltre di uno stuolo di artisti hollywoodiani, nel quale spiccano John Goodman e James Cromwell, ingranaggi ben oliati della produttiva macchina di Hazanavicius, figure d’antan che si trovano a loro agio nel contesto rappresentato.

The Artist è a tutti gli effetti un melodramma, si affianca e si confronta con la cinematografia muta in modo calzante. Si respira un’intensa aria di originaria nostalgia e si nota una visione dell’amore all’antica, estremamente pura. Il personaggio principale, in perenne caduta libera, ingloba i temi che il regista transalpino tocca in modo frequente; attore che non vuole “sentirne” del sonoro mostra un intenso orgoglio e una vanità esasperata, legata a doppio filo a una celebrità svanita velocemente. Il tutto è raggruppato in una geniale sequenza nella quale i rumori, le risate e l’abbaiare del cane, sempre presente al fianco di Dujardin, fanno irruzione, sconvolgendo il protagonista. È un incubo, ma decisamente rilevante, perché il regista mantiene questa linea narrativa in modo impeccabile. Percorrendo quattro anni della vita di Valentin, Hazanavicius affronta uno studio sul forte cambiamento di mentalità da parte del pubblico nel quale risultano importanti e significative le sequenze in cui il cineasta si concentra sugli spettatori in sala, inizialmente numerosi e prodighi di applausi nei confronti del muto, ma che successivamente diminuiscono e destinano i loro consensi alle pellicole sonore. Infatti l’ostentata ed esponenziale disaffezione dei fruitori accompagna la caduta in disgrazia del divo muto. Opposta è la situazione che vive Peppy Miller, comparsa di fila destinata a diventare l’acclamata stellina sonora, interpretata da Berenice Bejo, una bellezza che oltrepassa facilmente i decenni.

Priva di battute, la pellicola francese è costantemente attraversata da una musica essenziale, sinfonica e d’intrattenimento, composta da Ludovic Bource, fedele collaboratore di Hazanavicius, che accompagna in modo perfetto le sequenze drammatiche e ironiche, di cui è permeato The Artist. L’impressione conclusiva è quella di osservare un lavoro completo, nel quale nostalgia, drammaticità e umorismo si amalgamano, sviluppando un semplice intreccio privo di buchi narrativi. Nonostante tutto The Artist rischia però di passare seriamente sottotraccia. Il target a cui si riferisce è molto ristretto e il pubblico non è abituato alla cinematografia muta, figlia di un intrattenimento che non esiste più. In ogni caso negli ultimi anni si è notata la mancanza di una genuina innovazione e quindi ben venga una pellicola che sfida apertamente la moda del momento, ovvero il 3D. Rimuovendo, con una passata vigorosa, numerosi strati di polvere, Hazanavicius confeziona un prodotto che colpisce ed entusiasma e ci restituisce, con passione e competenza, i dimenticati cartelli e le innumerevoli smorfie.

Titolo: The Artist
Regista: Michel Hazanavicius
Attori principali: Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman
Genere: Sentimentale
Durata: 100 ’
Anno: 2011
Produttori: Thomas Langmann
Casa di produzione: uFilm, La Petite Reine, Studio 37
Distribuzione: BIM
Fotografia:
Guillaume Schiffman
Musiche:
Ludovic Bource
Montaggio:
Anne-Sophie Bion / Michel Hazanavicius
Premi e nomination : Festival di Cannes (Miglior Attore), European Film Award (Migliore Colonna Sonora)
Data di uscita: 09/12/2011