Quando c’era Ronconi

Il grande montatore Jacopo Quadri dedica un documentario alla leggendaria edizione del 1975 della Biennale Teatro di Venezia diretta da Luca Ronconi.

Figlio del celebre critico Franco e da tempo annoverato tra i maggiori montatori del cinema italiano contemporaneo, Jacopo Quadri da qualche tempo a questa parte ha iniziato a realizzare da regista degli ottimi documentari: e dopo La scuola di estate, Il paese dove gli alberi volano, co-diretto con Davide Barletta, Lorella e Brunello, e Ultimina, nel 2022 Quadri ha presentato due lavori di documentario, entrambi di argomento teatrale, come del resto già Il paese dove gli alberi volano, incentrato sull’esperienza dell’Odin Teatret di Eugenio Barba. Alle Giornate degli Autori della Biennale di Venezia ha debuttato Siamo qui per provare, una co-regia con la direttrice della fotografia e fotografa di scena Greta De Lazzaris, dove documentava una frase di transizione del percorso artistico del duo teatrale composto da Daria Deflorian e Antonio Tagliari. 75 – Biennale Ronconi Venezia, che debutta adesso alla Festa del Cinema di Roma, si concentra invece sull’edizione del 1975 della Biennale Teatro diretta da Luca Ronconi, che nell’occasione trasformò lo storico festival veneziano in un vero e proprio laboratorio a prove aperte dove confluì l’avanguardia teatrale italiana ed europea di quegli anni. Nomi come Peter Brook, Living Theatre, Jerzy Grotowski, Ariane Mnouchkine, Meredith Monk, Andrei Serban, Giuliano Scabia, Dacia Maraini, Robert Wilson confluirono nel capoluogo veneto per una delle più significative edizioni di tutta la storia della Biennale Teatro, una delle più seguite tanto dalla stampa quanto dal pubblico generico.

Forte di ben dodici nomination ai David di Donatello, tra cui una vittoria per Teatro di guerra di Mario Martone, Jacopo Quadri consegna un documentario narrativamente equilibrato e denso di informazioni e testimonianze, pur avendo affidato il montaggio, almeno nominalmente, a Niccolò Tettamanti. In apertura, Giorgio Barberio Corsetti traccia un panorama della scena italiana d’avanguardia del periodo, attraversato da un lato da una voglia radicale di teatro, dall’altra da un’ansia di cambiare la società tout court – era ancora fresco il ricordo della famigerata Biennale Cinema del 1968, quando gli stessi registi italiani, capeggiati all’ultimo minuto da Pier Paolo Pasolini che doveva presentarvi il suo Teorema, cercarono di boicottare la première dei loro stessi film. Eugenio Barba, che alla Biennale del 1975 presentò Min Fars Hus aka La casa di mio padre, conferma che in quegli anni era ossessivo l’inseguimento di un’idea di teatro come occasione di trasformazione della vita; una singolare influenza derivava a tal riguardo da Grotowski, di cui, dice, pochissimi avevano visto dal vivo gli spettacoli, ma tutti conoscevano il suo saggio-pamphlet Per un teatro povero, «un libro con le ali». Sandro Lombardi descrive in termini più generali Venezia in una proustiana visione onnicomprensiva di tutte le arti e di tutte le esperienze umane, in cui il teatro tradizionale non poteva più trovare posto. Federico Tiezzi ricorda in maniera particolarmente vivida la mise en scène di Peter Brook del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, con una rottura della quarta parete rivoluzionaria per i tempi. Dacia Maraini nel 1975 a Venezia aveva presentato la sua pièce La donna perfetta: nel documentario di Quadri, si crea per un attimo un affascinante dialogo tra un’intervista d’epoca a Maraini e un’intervista recentissima; ma tanto Maraini quarantenne quanto Maraini ottantenne riflettono sulla funzione sociale e politica, sulla possibilità di un teatro che scenda dal palco e trabocchi nelle strade. Altri intervistati, tra cui Anna Antonelli, Amerigo Restucci, Alessandro Vanzi, e anche stranieri come George Banu, Meredith Monk e Andrei Serban, questi ultimi due ripresi in videochiamata, completano il quadro delle testimonianze, intervallati da numerosissime documentazioni d’archivio video e fotografiche, provenienti dall’Istituto Luce non meno dall’Archivio Luce stesso; negli ultimi minuti del docufilm compare anche un’interessantissima intervista a Bob Wilson in persona, che rievoca i primi anni della sua attività teatrale, l’inizio della collaborazione con il compositore Philip Glass e la messa in scena, alla Venezia del ’75, del suo Einstein on the Beach.

Prima di ogni altra cosa, 75 – Biennale Ronconi Venezia di Jacopo Quadri trasmette un senso di angosciante nostalgia per una stagione irripetibile del teatro italiano e occidentale in genere. Oltre ai già citati Sogno di una notte di mezza estate, La donna perfetta, Einstein on the Beach e Min Fars Hus, alla Biennale del 1975 andarono in scena a Venezia anche Education of a Girl Child di Meredith Monk, un Otello di Memé Perlini, un allestimento di Cassio governa a Cipro, da Giorgio Manganelli, con la regia di Gianni Serra, L’Âge d’or del Théâtre du Soleil, Apocalypsis cum figuris di Jerzy Grotowski, la trilogia dell’Eredità di Caino del Living e Utopia dello stesso Luca Ronconi, libera trasposizione di Aristofane. Da un incontro casuale in un viaggio in treno verso Venezia nacque peraltro la Gaia Scienza di Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi, che di lì a poco si sarebbero affermati come alcuni degli artisti teatrali più interessanti tra le compagne nate sul finire degli anni Settanta; subito dopo la Biennale, Grotowski improvvisò una lunga serie di workshop all’isola di san Giacomo in Paludo che coinvolsero numerosi performer accorsi a Venezia da tutto il mondo, futuri membri della Gaia Scienza inclusa, mossi dalla parola d’ordine «a teatro la maggioranza si sbaglia»; solo l’omicidio di Pier Paolo Pasolini poté rompere l’atmosfera sacrale che attraversava le esercitazioni condotte da Grotowski.

Di fronte a un programma tanto avanguardistico e tanto innovativo, che raccoglieva, come dicono le note di regia di Quadri, tanti giovani o futuri maestri del teatro europeo, le reazioni non mancarono, anche e soprattutto quelle pesantemente negative. Il monsignor Albino Luciani, il futuro papà Giovanni Paolo I allora patriarca di Venezia, addirittura attaccò in un’omelia la rielaborazione degli Auto sacramental di Calderón de la Barca ad opera di Victor García, con tanto di nudi in scena. In un’intervista d’epoca sugli spettacoli visti in quell’edizione tanto chiacchierata della Biennale Teatro di Venezia, Goffredo Parise scomodava, criticamente, il concerto di «opera aperta», che Umberto Eco – «se mi parla di happening già mi perdo», ironizzava l’autore de Il prete bello. Eppure, viste retrospettivamente con gli occhi di quello che la Biennale Teatro e in generale la Biennale di Venezia sono oggi, molte delle innovazioni apportate da Ronconi si rivelano delle intuizioni perfette, tuttora messe in pratica: l’utilizzo inedito dell’abbandonato Arsenale militare di Venezia come palco anti-tradizionale per gli spettacoli; i prezzi dei biglietti drasticamente calmierati, abbassati fino a raggiungere il prezzo simbolico di sole 100 lire – una scelta «sbagliata psicologicamente» secondo Parise perché un lavoratore generico, abituato al consumo, avrebbe pensato che un’opera d’arte costosa solo 100 lire dovesse essere per forza di poco valore; una concezione generale della Biennale come «festa di popolo», idea pienamente aderente allo spirito dei tempi che implicava uno strappo drastico con la concezione elitaria del teatro fino ad allora invalsa – un’idea che, forse, nel tempo si è ritirata contra, con la trasformazione-degradazione da Mostre a Festival, a Feste e infine a kermesse.

Titolo: 75 – Biennale Ronconi Venezia
Regia: Jacopo Quadri
Sceneggiatura: Roberta Carlotto, Oliviero Ponte Di Pino
Fotografia: Greta De Lazzaris
Montaggio: Nicolò Tettamanti
Musica: Valerio Vigliar
Produzione: Palomar
Distribuzione: TBA
Genere: documentario
Durata: 84′
Uscita: TBA