Sangue e videoclip, tra Depeche Mode a Alt-J

Il settore produttivo contemporaneo ha rifondato se stesso sull’impiego della categoria ‘Pop’ in quanto abbreviazione del termine inglese Popular, “definizione” oggi largamente impiegata a uso di prefisso per l’indicazione di modalità e assunti specifici propri del settore commerciale. Attraverso tale rifondazione, esso si è fatto portatore dei bisogni e delle debolezze della cultura popolare.

La tensione alla violenza, caratteristica necessaria per la sopraffazione animale, castrata dalla morale e dal principio di egualitarismo si è sviluppata – o è stata riconosciuta – in più forme (verbali, psicologiche, ecc.), potendo, con le sue espressioni più lievi, ramificarsi in settori differenti e producendo conseguenze solo apparentemente di minor tenore. È il caso della sua rappresentazione, più o meno velata, nel mondo commerciale all’interno di film, pubblicità, videoclip musicali, testi musicali, programmi tv e via discorrendo – non dimenticando di segnalare come anche in questi ambiti esista una forma di censura, per quanto inefficace e solo apparente, vista e considerata la persistenza nel web degli elementi ufficialmente disapprovati.

Prendiamo in esame due esempi del settore propriamente videomusicale: Wrong dei Depeche Mode (2009), diretto da Patrick Daughters, e Breezeblocks degli Alt-J (2012), diretto da Ellis Bahl. Attraverso questi due videoclip possiamo infatti comprendere meglio come e quante forme la violenza possa assumere modificando se stessa, rimanendo sempre, a suo modo, affascinante.

Nel video Wrong l’atto violento non è inscenato attraverso sequenze di lotta, percosse, rivolte e via discorrendo, ma incorporato dalla catena di eventi che coinvolgono il protagonista a noi sconosciuto, vittima a monte della stessa tragica violenza aleatoria che pervade l’intero girato. Il malcapitato appare ai nostri occhi coperto da una maschera e legato all’interno di una vettura senza freni, proiettata in retromarcia lungo la discesa di una strada metropolitana. L’aggressione non è mostrata ma le informazioni a noi date lasciano intendere come precedentemente ne sia avvenuta una, mossa forse dall’odio o dalla follia di un gioco perverso. L’uomo appena risvegliatosi da un sonno, e ritrovatosi coinvolto in questa spiacevole circostanza, si dimena nel tentativo di liberarsi per l’intera durata del video. Ben presto la violenza emerge concretamente in numerosi microeventi: l’incedere della vettura, mentre si schianta contro altre automobili, oggetti o perfino un pedone, suscita un forte senso di angoscia nell’osservatore, suggestionato maggiormente e costantemente dalla totale impotenza della vittima, angoscia amplificata dai primi piani del suo sguardo terrorizzato. Il videoclip termina con la morte dello sventurato causata da un definitivo impatto finale.

Differentemente dal montaggio terminale di Out of Control di W.I.Z. (link all’articolo), la tecnica di ripresa vede l’impiego di numerose camere fisse e dichiara la cura avuta verso l’aspetto tecnico realizzativo (si pensi all’adozione delle numerose calibrazioni cromatiche oppure all’alternanza di lenti grandangolari ad altre “normali” o a teleobiettivi). Le immagini presentate non cercano di camuffarsi con la realtà e la “qualità” del girato tradisce la natura quasi cinematografica dell’operazione. Eppure, lo spettatore tenderà a lasciarsi suggestionare da quel che vede, per quanto fin dall’inizio sia a conoscenza della sua costruzione – e dunque della finzione. Forse sarà perfino attratto dalla violenza inscenata e incuriosito dal dramma di una storia inconsueta raccontata impeccabilmente.

Breezeblocks diversamente da Wrong esibisce la violenza durante la sua consumazione. La colluttazione che ha portato alla morte di uno dei due personaggi, la ragazza defunta apparsa all’apertura del video, è scoperta progressivamente e rappresentata per intero attraverso l’impiego della tecnica del rewind – qui assunta a elemento strutturale e non meramente decorativo. La storia si riavvolge fino all’introduzione di un terzo personaggio, mostrato legato e dal volto segnato dal raccapriccio: la moglie dell’assassino. La vicenda ricostruisce un dramma familiare in cui la ragazza, invaghita perdutamente dell’uomo, è soggiogata dai propri sentimenti al punto da voler “far sparire” sua moglie dalla scena – rappresentata metaforicamente dalla tenda dello stanzino in cui questa è celata – potendo, in tal modo, possedere completamente il suo amato. Lui, però, non ricambiando i sentimenti o non approvando l’eccessività del comportamento dell’amante, una volta rincasato e scoperta la misera condizione in cui la moglie era obbligata, nel tentativo di rassicurarla e liberarla è aggredito dalla ragazza armata di coltello. Di qui parte la serie di eventi che porterà alla morte della ragazza infatuata e fuori controllo.

La tragedia narrata dalle immagini, seppure non faccia uso di allusioni e sia raccontata con crudezza, curiosamente e a differenza di Wrong, non comportò alcuna censura del video. Una possibile motivazione potrebbe essere rintracciata nel distacco percettivo, ossia nel sipario garantito dall’uso del rewind, qui impiegato non allo scopo di proteggere il fruitore dallo shock visivo quanto con l’intenzione di catturarlo ipnoticamente all’interno della scena. Il risultato è un prodotto angosciante e affascinante al tempo stesso, supportato da un brano musicale capace di esprimerne le contraddizioni interne.

Questi due sono solo esempi di un percorso che dagli anni ’90 arriva fino ai giorni nostri in forme sempre più curate esteticamente, “abbellite” da stile cinematografico, giochi di luce, coinvolgimento sessuale o emotivo, giustificazione della violenza sul piano culturale e, in certi casi, uno storytelling non originale ma sufficientemente approfondito da coinvolgere lo spettatore. Nel settore pubblicitario è più conveniente che il tema trattato sia affrontato con leggerezza, appiattendo conseguentemente l’eventuale gravità dei contenuti col risultato di uno svuotamento del loro significato, sia esso storico, civile, morale o culturale; come afferma Christoph Türcke in La società eccitata: “Il mercato è uno spazio libero per una nuova forma di violenza, più raffinata, più inafferrabile, che si proclama rivestita di pelle d’agnello del pacifico accordo”.

Per catturare l’attenzione di chi osserva, l’adozione dello shock si accompagna alla volontà di fare diventare il soggetto fruitore, come nel caso videomusicale, un utente affascinato dall’immaginario della band o artista musicale. A tal proposito, non essendo efficace il percorso logico, si investe nella ricerca di un sempre maggiore coinvolgimento emotivo, come appunto la violenza esibita ed esplicita. Consci del fatto che la rivoluzione apportata da internet nel settore comunicativo sia stata tanto radicale da porre fine, dall’invenzione del World Wide Web in poi, al dominio della centralità della razionalità della cosiddetta Galassia Gutenberg ci si è gradualmente rivolti sempre più al “cuore” e allo “stomaco” del fruitore, nella formulazione e assunzione di pensieri e decisioni, rilegando a un ruolo marginale proprio la valutazione logica e razionale.