La filosofia di Stranger Things

Mimesis Edizioni prosegue la sua collana di rilettura filosofica dei grandi franchise dell’intrattenimento audiovisivo con La filosofia di Stranger Things, raccolta miscellanea di saggi che studiano la serie Netflix in chiave sociologica o archetipica.

Pochi prodotti audiovisivi dell’ultimo decennio hanno avuto l’impatto inter-generazionale di Stranger Things e difficilmente si potrebbe trovare un case study più coinvolgente per applicarvi la categoria di retrofuturismo: una serie, ambientata negli anni ottanta fino a citare metacinematograficamente e rendere a volte parte della sua stessa narrazione i grandi classici cinematografici di quel periodo – Star Wars, Alien, Ritorno al futuro, persino Indiana Jones – riesce a coinvolgere spettatori di pochi anni così come cinquantenni, grazie al racconto di un gruppo di perdenti in lotta contro il male che non può non ricordare il migliore Stephen King. La serie creata dai fratelli Duffer, che si approssima ormai alla sua quinta e ultima stagione, sin dal suo esordio si è affermata come uno dei prodotti originali più seguiti della piattaforma streaming Netflix e, in particolare la quarta stagione uscita lo scorso anno, ha creato fenomeni di massa indubbiamente rilevanti tanto sul fronte distributivo e produttivo quanto sul fronte dell’immaginario, come l’improvvisa scalata nelle varie billboards musicali del singolo Running Up That Hill di Kate Bush, presente in più episodi della serie.

La filosofia di Stranger Things, una recente pubblicazione di Mimesis Edizioni, porta in Italia un volume americano del 2019 aggiungendovi nuovi saggi inediti di tre autori italiani che coprono anche la quarta stagione. Molto interessante, per le riflessioni sulla sovrapposizione tra cronaca e immaginario, è il saggio iniziale del volume, Barb è morta, la gente è insorta, firmato a quattro mani da Eric Homes e Jeremy Christensen: il capitolo riflette sul movimento di autentico sdegno popolare e social per la morte del personaggio di Barb nella prima stagione, che rese virale su Twitter l’hashtag #JusticeforBarb. Il succo dell’analisi dei due autori considera con ironia e amarezza quanto sia più facile provare empatia per un personaggio di finzione anziché per donne reali e realmente scomparse, di cui si legge quotidianamente nei trafiletti di cronaca. Riflessioni interessanti ha anche il primo dei tre saggi aggiuntivi italiani, scritto da Antonio Pettierre, Scontri politici interdimensionali. La rappresentazione della guerra fredda in Stranger Things: se la politica dei blocchi tra USA e URSS e la paranoia di un conflitto nucleare è stata trasposta nelle narrazioni di fantascienza sin dalla golden age degli anni cinquanta da classici come L’invasione degli ultracorpi, è indubbio che Stranger Things diffonda una narrazione semplicistica e stereotipata delle tensioni realmente avvenute tra States e Russia, fino a sfiorare la caricatura col campo di prigionia nelle steppe sperdute dell’Unione Sovietica ritratto nella prima parte della quarta stagione.

Forse il saggio più interessante di tutto il volume, certo il più interessante dal lato italiano in quest’operazione di rilettura filosofica di una serie Netflix, è quello a firma di Paolo Riberi, Vecna l’Arconte e la musica che salva. Paolo Riberi è uno dei più accreditati studiosi italiani di gnosi e di religione antica, ma da tempo ha rivolto il suo interesse anche verso la sovrapposizione tra gnosi e cultura pop. Suoi libri come Il risveglio di Neo, Pillola rossa o loggia nera? e Il serpente e la croce, editi tutti da Lindau, hanno dimostrato in maniera lapalissiana la profonda contaminazione tra fantascienza e immaginario gnostico, nei racconti e nei romanzi di Philip Dick così come in Matrix delle Wachowski, in Westworld non meno che in Fight Club. Le affinità tra la mitologia demoniaca di Stranger Things e la cosmogonia gnostica vengono elencate già nel saggio della raccolta che precede quello di Riberi, firmato dal curatore Jeffrey Erwing, ma nel suo Vecna l’Arconte e la musica che salva lo studioso italiano si sofferma proprio sull’utilizzo di Running Up That Hill. Riberi prende spunto da questo passaggio narrativo fondamentale di Stranger Things 4 per tracciare un excursus sommario ma affascinante del ruolo salvifico attribuito alla musica da molte delle religioni e delle forme di spiritualità antiche tra l’Apocalisse di Paolo, certi accenti platonici, l’orfismo e persino i poemi omerici.
Poche cose sono sintomatiche di un determinato periodo storico quanto le sue narrazioni popolari. La filosofia di Stranger Things, assieme al saggio di Mike Watson Perché la sinistra non impara a usare il meme? Adorno, videogiochi e Stranger Things edito sempre da Mimesis lo scorso anno, sia pure nell’eterogeneità tematica e qualitativa che caratterizza i vari saggi di cui si compone, rappresenta un affascinante tentativo nella direzione di una critica dell’immaginario. Se il compianto Umberto Eco può darci una lezione, sta proprio qua.

La filosofia di Stranger Things
A cura di Jeffrey A. Erwing e Andrew M. Minters
Mimesis (Milano-Udine)
pp. 196