L’intervista all’autrice, Maria Dolores Pesce

Su Inthenet avevamo iniziato a dialogare con la studiosa Maria Dolores Pesce, già professore a contratto presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, e autrice di volumi quali Edoardo Sanguineti e il teatro. La poetica del travestimento (2003); Massimo Bontempelli drammaturgo (2008); e Marco Martinelli. Un drammaturgo corsaro (2018).

Riprendiamo il discorso – sulle pagine di Persinsala – e le poniamo qualche altra domanda sulla sua ultima fatica editoriale, il saggio dedicato alla drammaturgia di Edoardo Erba – che contiene altresì un lavoro inedito, L’onesto fantasma.

Lei utilizza il termine crudeltà – in senso estetico – per descrivere l’opus drammaturgico di Edoardo Erba. In quale senso?
M.D.P.: «Può in effetti sembrare paradossale utilizzare un termine coniato da e per un autore, come fu Antonin Artaud, che affermava anche violentemente la necessità di superare il testo, ogni testo, per restituire al teatro la sua funzione e la sua efficacia più profonda. Eppure non lo è se solo esaminiamo la posizione di ponte che, a mio avviso, Edoardo Erba, ha assunto tra il teatro tradizionale e di regia e il logoclasta teatro cosiddetto di ricerca. Una posizione che, come approfondisco nel libro, egli assume a cerca di armonizzare nel concetto di autonomia e intrinseca finalità (la scena) del testo. In questo senso ho citato il concetto di crudeltà, in quanto la scrittura di Erba non è mai linguisticamente fine a se stessa, ma bensì agisce in scena per “svelare”. Crudeltà dunque per la sua capacità di mostrare “senza infingimenti o false medicazioni”, nella loro verità, le ferite di un mondo confuso e ‘addolorato’. D’altra parte ricordo che le prime due raccolte di testi di Edoardo Erba furono curate da Franco Quadri, uno dei critici che più si è speso per lo sviluppo del teatro di ricerca, esponendosi per questo a non poche critiche».

Dei lavori di Erba, quale l’ha più colpita – avendoli lei analizzati tanto approfonditamente – e perché?
M.D.P.: «Scegliere tra i molti testi che ho esaminato andando a costruire l’immagine complessiva di Erba drammaturgo, non è facile e forse non è neanche giusto. Però, se proprio devo per gioco fare una scelta, allora penso a Vizio di famiglia, testo andato per la prima volta in scena nel 1995, per la sua capacità visionaria e anticipatoria che ha trovato conferma, non inusuale e non inaspettata, in tante successive creazioni letterarie o di spettacolo, basterà citare al riguardo il docu-film di Werner Herzog Family Romance. Ma soprattutto per aver saputo rappresentare, quel testo, movimenti e tendenze non ancora esplicite e consapevoli di un istituto base della società che, dalla struttura patriarcale e patrilieneare, andava ad articolarsi diffusamente in modalità e con funzioni sempre più fluide. La sovrapposizione di una idea diversa della famiglia, a volte confusa, su quella tradizionale è ben espressa in quella sua paradossale modalità che sostituisce i meccanismi sociali con l’offerta commerciale, a costruire però una maggiore dipendenza, non una maggiore libertà. Un racconto oltre la superficie che così intercetta con modalità quasi metafisiche tendenze e mutamenti oggi evidenti».

Il libro pubblica altresì l’inedito L’onesto fantasma, ultima fatica drammaturgica di Erba. Vi riverberano note beckettiane e note pinteriane. Un suo parere?
M.D.P.: «L’elemento surreale è talvolta presente nella narrazione drammaturgica di Edoardo Erba, insieme a improvvisi deragliamenti di senso che fanno pensare a corrispondenze con il teatro dell’assurdo. Sono suggestioni però che il nostro drammaturgo gestisce con la singolare originalità che sempre lo caratterizza. Anche nel caso de L’onesto fantasma il principio di realtà e verosimiglianza che informa il suo approccio produce improvvise frizioni e dissociazioni il cui esito è però sostanzialmente metafisico, lasciando un ampio margine alla condivisione affettiva e alla immedesimazione psicologica. Così quest’ultima pièce, come molte altre, si imbatte, e si interroga quasi con sorpresa, nella affettività che nel profondo regola le nostre azioni e i nostri comportamenti, anche quando non ne siamo consapevoli».

Allargando il discorso. Come critico e studiosa, come valuta la situazione teatrale italiana? Quali drammaturghi hanno suscitato la sua attenzione negli ultimi anni?
M.D.P.: «La situazione del teatro italiano, a mio avviso, risente negativamente innanzitutto di alcune debolezze che riguardano più in generale la percezione della cultura nella società del nostro Paese, debolezze che la pandemia Covid ha, per così dire, solo accentuato ma che erano presenti anche prima. In particolare si è assistito nei decenni scorsi ad una progressiva svalutazione del valore della cultura, che è a-economico ma con ricadute anche economiche, ad una perdita di ruolo o, come si diceva una volta, di egemonia complessiva. È stato peraltro un atteggiamento che ha coinvolto profondamente anche i decisori politici, apparsi nel complesso poco interessati alla cultura e in generale alla sua promozione, che è stata spesso all’ultimo posto nella graduatoria delle loro priorità, mentre la risposta degli intellettuali non mi è parsa sempre all’altezza. Gli esiti anche sociali sono stati inevitabilmente poco felici e il teatro non ne è stato esente, anzi. D’altra parte il tessuto creativo è ancora fecondo e produce nonostante tutto proposte interessanti ed efficaci. Spero che questo sia un buon punto di partenza per recuperare all’arte un ruolo efficace. Per quanto riguarda la seconda parte della sua domanda, oltre a Edoardo Sanguineti e a Marco Martinelli cui ho dedicato come ad Erba due monografie, tra i drammaturghi più interessanti, o meglio che hanno in questi anni attratto la mia attenzione, soprattutto per la forza delle loro scritture, penso ad Antonio Tarantino e a Spiro Scimone, quest’ultimo con il contributo essenziale di Francesco Sframeli, e poi a Giuseppe Manfridi e al suo Giacomo il prepotente, ma anche ad Annibale Ruccello, prematuramente scomparso, capace di prove dalla grande forza drammatica. Sono questi richiami certamente non esaustivi, ma non era mia intenzione fare torto ad altri che probabilmente ho adesso non citato».

Nella foto: L’autrice, studiosa e critica del teatro, Maria Dolores Pesce.