Spazio Giovani

Incontriamo i due giovani interpreti di L’Ombelico di Alvise, pochi giorni prima del debutto al Cicco Simonetta di Milano.

Ci raccontate brevemente lo spettacolo?
Stefano Pirovano
: «Sarò breve (di solito questa è la premessa che precede un lunghissimo discorso, ma cercherò di sfatare codesto mito!). L’ombelico di Alvise racconta di due persone decisamente fuori dal comune e della loro storia che, per forza di cose, non può essere che fuori dal comune. Entrambi hanno problemi a relazionarsi con il mondo che li circonda e, stando insieme, trovano la chiave per poter vivere serenamente la loro vita. Poi, realizzeranno un percorso surreale che li porterà a una personale e nuova dimensione».
Alessia Bedini: «Solo allora riusciranno a conoscersi e a donarsi reciprocamente, rivelandosi nella loro intimità. C’è da dire che lo spettacolo – decisamente essenziale – riesce a far emergere la dolcezza e la semplicità sia della storia sia dei protagonisti, con una doppia struttura narrativa che oscilla tra il ricordo e il contingente, il tutto in uno stile leggero e, al tempo stesso, di vellutata poesia».

Cosa vi ha spinto a partecipare a questo progetto?
A. B.
: «Sono stata conquistata dalla storia… sentivo che l’autrice era mossa dalla necessità di raccontare qualcosa di vero. La metafora de L’Ombelico di Alvise permette al pubblico di immaginare infinite possibilità per la storia e, contemporaneamente, di identificarsi in essa. Del resto, è una vicenda a noi contemporanea, che parla di persone come noi, che ogni giorno vorrebbero avere un amore vicino a sé, riconoscenza pubblica e, contemporaneamente, la possibilità di non perdere la propria identità».
S. P.: «Quando mi viene proposto un qualcosa di nuovo, la mia curiosità mi spinge sempre a confrontarmi con esso. Non conoscevo Claudia (Porta, autrice del testo, n.d.g.), ma Luca (Ligato, il regista, n.d.g.) mi ha raccontato brevemente di cosa parlava il testo e l’ho trovato interessante. Curiosità e interesse, è per questo binomio che ho accettato».

Raccontateci i vostri personaggi. Cosa c’è di loro in voi?
A. B.
: «Gala è un’artista, una pittrice, il cui entusiasmo ed esuberanza sono stati messi a dura prova dall’impossibilità di emergere – che poi è la storia comune a molti geni. Inizialmente sorride di rado, è depressa, eppure Alvise è capace di guardare aldilà e, riconoscendo in lei la dolcezza che le appartiene, sprona Gala a lasciarsi andare per ritrovare la carica e la vena artistica dimenticate».
S. P.: «Alvise sul proprio conto direbbe: “Affascinante professore (precario) di un liceo, un po’ introverso e sognatore”. No, non è una bugia: Alvise è cosi… ma dentro! Imprigionato nel grasso corpo di un banale supplente. Come mi è già capitato con altri personaggi con evidenti problemi esistenziali, mi ci sono trovato bene, l’ho sentito mio, da subito… e questo, ogni volta, mi porta a serie crisi esistenziali» (ride, n.d.g.).

Stefano, se dovesse descrivere il suo personaggio con tre immagini, quali sarebbero?
S. P.
: «Una pila di compiti da correggere sulla scrivania. Alvise che sgranocchia una barretta ai cereali.
Un computer collegato a una chat erotica».

Alessia, quali sono state le difficoltà maggiori nel calarsi nei panni di Gala?
­A. B.
: «È stato complicato gestire lo spazio e la relazione con il partner in scena: la linea registica vuole assenza di oggetti dall’inizio alla fine e non solo… i due personaggi non possono nemmeno sfiorarsi. Un’interpretazione, questa, di Ligato, che gioca sull’astrazione scenica e, contemporaneamente, sul naturalismo della parola. In breve, un bel banco di prova attorale».

Che significato ha, per voi, l’ombelico in questo spettacolo?
S. P.
: «È il gioco, l’alchimia, il punto di forza, lo stargate azionato dai due protagonisti verso una dimensione altra».
A. B.: «L’ombelico è la parte intima, nascosta. Strettamente legato alla nostra nascita e, quindi, al nostro passato, è quella regione del nostro corpo che non sveliamo facilmente, a meno di non essere in presenza di qualcuno speciale. Il bello e il dolce della storia di Alvise e Gala sono celati dietro questo segreto».

Domanda più che mai d’obbligo: che rapporto avete con il vostro ombelico?
S. P.
: «Ho l’ombelico da quando sono nato e so che prima era un cordone che mi ha fornito il nutrimento. Quindi: massimo rispetto! Lo definirei un punto che rappresenta il baricentro, dal quale sento partire tante emozioni: l’ombelico è una zona magica e con il mio ho un rapporto di grande stima…».
A. B.: «Non dovrei dirlo ma, sinceramente… non ci ho mai pensato! L’ho sempre guardato come un ombelico normalissimo. Magari mi sono soffermata a osservare il ventre che lo contiene… ma questa è un’ossessione femminile!» (ammicca ridendo, n.d.g.).

I vostri prossimi progetti?
A. B.
: «Sto lavorando, in collaborazione con un percussionista, a un reading che si protrarrà per tutto il 2012 presso il Museo delle Stelline e dei Martinitt di Milano, curando il riadattamento drammaturgico e musicale dei documenti d’archivio degli orfani in esso contenuti. Inoltre, ho iniziato un progetto nuovo e personale con altri tre meravigliosi attori incontrati durante il laboratorio con Ricci/Forte, un lavoro di impianto performativo, ma per scaramanzia preferirei non entrare nei dettagli».
S. P.: «Sono sul palcoscenico con Pinocchio, uno spettacolo per ragazzi con la regia di William Medini; mentre, in coppia con Monica Bonomi, metterò presto in scena Lo strano caso di Alessandro e Maria di Giorgio Gaber e Sandro Luporini. Il “progetto nel cassetto”, invece, è uno spettacolo per ragazzi delle scuole medie».

Date ai lettori tre buoni motivi per vedere L’Ombelico di Alvise.
A. B.
: «Si dice che il pubblico vada a teatro per divertirsi… in questo caso, lo spettacolo vi farà sorridere. Si dice che il pubblico abbia voglia di riflettere… e vi assicuro che uscirete pensando a ciò che avete visto e vi sveglierete riflettendoci sopra. Si dice infine che al pubblico piace identificarsi con i personaggi in scena… e noi parliamo d’amore: come fare altrimenti?»
S. P.: «Il fatto è che non ci sono motivi validi per non vederlo! Grazie ciao a tutti… non stai più registrando vero? Che figata questa è la mia prima vera intervista: mi vergogno un pò, ma mi sono divertito un sacco!».