the reader locandinaQuello ispirato all’Olocausto è un filone narrativo particolarmente fecondo, destinato a mantenere la sua presa sul pubblico fin quando questo sarà disposto a riflettersi nello specchio della finzione scenica, a immergersi nell’orrore della tragedia e fin quando sarà in grado di riemergere rinnovato da una catartica indignazione.

Talvolta un semplice mutamento di prospettiva vale però a porre il barlume di un dubbio (talora inconfessabile), che è capace di far vacillare l’assolutezza della condanna: siamo sicuri che un approccio alla realtà, per così dire, manicheistico, teso a dividere nettamente i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, senza concessioni a sfumature o vie di mezzo, sia coerente con la sua complessità ed esaustivo nella sua pretesa di spiegarla?

Stephen Daldry (Billy Elliot, The Hours), nella sua trasposizione del romanzo di Bernhard Schlink, uscito nel 1995, non fa altro che individuare ed esaltare con onesta obiettività le sfumature.

La sua protagonista, Hanna Schmitz (Kate Winslet), ha tutte le carte in regola per qualificarsi come eroina negativa: durante la seconda guerra mondiale, infatti, si trova come SS nel campo di Aushwitz; dopo la guerra, stabilitasi in una cittadina della Germania occidentale, si imbatte per caso in un ragazzo di quindici anni, Michael Berg (David Kross), e lo seduce, iniziandolo al sesso, sottraendolo alla compagnia dei suoi coetanei e di fatto impedendogli, seppure involontariamente, di vivere un’adolescenza normale.

In effetti, però, nel personaggio di Hanna lo spettatore stenta a riconoscere il volto del carnefice tout cour. Nel legame erotico che lega la donna al ragazzo, lo spettatore coglie un coinvolgimento che va oltre il mero atto sessuale. La liaison tra i due si nutre, oltre che dei sentimenti reciproci, anche dei brani letterari che Michael, su richiesta di Hanna, legge ad ogni loro incontro e che costituiscono una sorta di filo rosso, la cui importanza si rivelerà determinante nel prosieguo della storia.

Un critico americano, Charlie Finch, ha tacciato il film di aver fatto un uso strumentale del corpo nudo della Winslet (esibito più volte nella prima parte), col risultato di aver banalizzato il tema dell’Olocausto e creato un clima di comprensione nei confronti del personaggio di Hanna. Mi pare, invece, che la nudità in sé sia servita a far riflettere sul contrasto tra la naturalezza con cui la donna non esita a mettere a nudo il proprio corpo e il riserbo assoluto con cui, al contrario, si ostina a celare aspetti essenziali della sua storia, del suo passato, anche a costo della sua libertà.

In particolare, il passato da SS di Hanna non viene direttamente mostrato, ma soltanto evocato, per di più tardivamente rispetto allo sviluppo della trama, così che, quando esso si rivela al pubblico, questo ha già stabilito una certa empatia col personaggio e pertanto, piuttosto che puntare il dito senza remore, cerca ormai di comprenderne le ragioni.

Aushwitz ha ormai chiuso i battenti da quasi vent’anni, è divenuto un tempio della memoria popolato da fantasmi che urlano in silenzio il dramma della propria morte, quando Michael, studente di legge, rivede dopo anni l’amante della sua adolescenza sul banco degli imputati per crimini di guerra.

La dinamica del processo rafforza l’impressione che in Hanna manchi la consapevolezza del carattere esecrabile della propria condotta durante la guerra e che i crimini compiuti allora fossero imputabili a un’obbedienza ottusa e acritica agli ordini (comune in regime di dittatura o tra i militari in guerra). È una tara, però, che non vale a deresponsabilizzarla, al punto che Michael, in possesso di una prova schiacciante che allevierebbe la condanna di Hanna, rinuncia a difenderla e la abbandona.

Entrambi intraprendono quindi un percorso di espiazione parallelo, in cui la parola letta, la parola narrata rivela in pieno il suo potere salvifico.

Il film è una bella prova di regia, ma soprattutto si fregia della presenza di un cast d’eccellenza: bravo David Kross, capace di rendere la parte più innocente e quella più tormentata del giovane Michael; azzeccato Ralph Fiennes, che riesce a dare spessore al travaglio emotivo del Michael adulto; superba Kate Winslet, che per questo film si è meritata l’Oscar come migliore attrice protagonista.

Assolutamente da vedere.