Nel suo corto di esordio (Scorre dentro, 2007), Gilles Rocca colpisce allo stomaco affrontando il tema – quanto mai attuale – della tossicodipendenza e della droga come stordimento causato dal dolore della perdita di un caro parente.

Il protagonista è proprio un ragazzo che, non riavutosi più dalla morte della madre a cui era legatissimo, inizia una discesa agli inferi, tra droga e amicizie sbagliate. Aiutato dal fratello, che appena scoperto il mistero gli parla apertamente e senza paura, decide – anche in ricordo della madre scomparsa – di farla finita con la droga, affrontando con coraggio le proprie paure, il proprio smarrimento e la propria solitudine.

Ma non sarà cosi facile, perchè la tentazione unita alla routine di un’esistenza vissuta ai margini e l’invito del suo pusher (che ha tutto l’interesse affinché non smetta e cambi vita) a un’ultima dose – in memoria dei vecchi tempi – gli sarà fatale.

E’ davvero raro trovare oggi corti con immagini così crude e reali, orchestrate sapientemente (per un esordio registico) da una mano ferma e decisa, che non scade mai nella retorica dei giovani sbandati o “da recuperare”, ma si interroga – grazie anche alla fluidità espressiva del montaggio di Mirco Mancini nello scandire ritmicamente i tempi e gli spazi della messa in scena e alla grande prova di Stefano Pinto – sulla loro intima fragilità, senza violarne moralisticamente i contenuti e le scelte. Nella loro assoluta e selvaggia libertà, possono incappare in opzioni sbagliate, in fughe a portata di mano (oggi una dose di cocaina costa 20 euro) che si rivelano col tempo vere e proprie ragnatele vischiose da cui sarà impossibile fuggire. La famosa frase “smetto quando voglio” è sempre più attuale, nonostante gli anni terribili dell’eroina (1976-1984) siano passati da un pezzo, portandosi via una fetta importante di quella generazione post-sessantotto che “si rifugiò” in paradisi artificiali, in deliri psicogeni per dimenticare di “esser stata presa per il sedere” (per usare il verso di una famosa canzone di De Andrè).

Già il titolo, Scorre dentro, evoca fantasmi quotidianamente incontrati nelle strade, nelle scuole, nella società o tra le mura domestiche, ma che – per paura o vergogna – non vogliamo vedere né denunciare. La speranza polemica insita in questo corto è proprio quella di squarciare il muro di omertà e silenzio, di solitudine e disperazione che circonda chi fa uso di droghe e ne diventa presto dipendente, annullando la sua capacità riflessiva, addirittura andando contro il proprio istinto di autoconservazione, arrivando, consapevolmente o no, a uccidersi.

Certo bisogna avere la fortuna di avere accanto persone sensibili e attente, capaci di aiutare chi sta male a sollevarsi e guarire; non sempre ci sono, né bastano da sole a risolvere il problema. Bisogna che in primis chi si droga prenda coscienza della sua condizione; senza questo passo decisivo, tutto è inutile. La scena finale, in cui il protagonista prende l’ultima dose, non si sa quanto sicuro di ciò che sta facendo, convinto forse che una in più non avrebbe cambiato la sua decisione, ricorda per l’estremo verismo dell’immagine, per l’assoluta tragicità del vissuto reale di migliori di ragazzi nelle sue stesse condizioni, abbondanti al proprio “destino” , la morte di Accattone nell’omonimo film di Pasolini – morto da solo, inseguito dalla polizia per avere commesso un furto per disperazione, sull’asfalto rovente di un assolato pomeriggio di Agosto in una Roma popolare che forse riusciva ancora a capire e “a perdonare” il suo gesto. Qui, nella Roma di oggi, la solitudine resta, cosi come la disperazione ma ciò che manca è forse la comprensione, il perdono, la pietà – per citare ancora De Andrè – che non cede al rancore.

Titolo: Scorre dentro

Regista: Gilles Rocca

Sceneggiatura: Gilles Rocca

Attori principali: Mirco Mancini, Stefano Pinto, Gilles Rocca

Montaggio: Mirco Mancini

Produzione: Gilles Rocca e Mirco Mancini