Scaleno concentra l’attenzione su un altro dramma sotterraneo che scuote le fondamenta della nostra società: la pedofilia.

Ancora una volta lo spunto arriva direttamente dalla cronaca quotidiana e dal girovagare furtivo di un ragazzo sui trent’anni (già qui Rocca muta l’immagine classica del pedofilo che lo vorrebbe sui sessanta-settant’anni), nei pressi del campo da calcio di un oratorio alla periferia di Roma. Forse è solo un’impressione; le sue intenzioni potrebbero essere altre e ingannare. Ma se siamo sicuri?

Rocca sembra qui voler giocare su un doppio binario – tipico nei suoi corti – tra un’apparenza rassicurante e statica e una sostanza brutale e dinamica, che fa da premessa allo sfogo di istinti repressi che non tardano a venire allo scoperto.

Questa figura inquietante e solitaria del molestatore che spaventa, con le sue minacciose occhiate, un bambino che si allena nel campo dell’oratorio, viene notata dal suo giovane allenatore (Gilles Rocca), il quale inizia una battaglia psicologica con “il mostro”, che come spesso accade, ha sembianze del tutto normali; anzi, alle volte più rassicuranti e familiari. Ed è precisamente questa paura nel non potersi fidare di nessuno, nel non riuscire più a distinguere il “bene” dal “male”che rende ancora più ardua la difesa dei più deboli.

In questa atmosfera di impotenza mista a rabbia, di smarrimento, di incapacità a capire quale sia la migliore difesa contro tali insidie, il corto si snoda tra la puntuale definizione di emozioni contrastanti, tra l’ansia dell’allenatore di andare fino in fondo a questa storia (arrivando perfino ad accusare rabbiosamente un suo collega dell’oratorio, un bravissimo ed intenso Mirco Mancini), e la diplomatica ponderazione del sacerdote nell’assicurare “fino a prova contraria” l’innocenza del suo staff; una cauta posizione sulle prime ineccepibile, che terrà indirettamente a “coprire” uno degli insospettabili colpevoli.

Lo stile asciutto e riflessivo di Scaleno, la misurata ma ipnotica messa in scena, luci semplici ed essenziali, la prova maiuscola di tutti gli attori, l’estrema, e davvero unica, sensibilità con cui Rocca affronta un tema così spinoso e scabroso, senza scivolare nella scatta civetteria da cronaca nera o nella ampollosa retorica sociologica dell’andar alle radici del problema (che senz’altro ci sono ma occorrerebbe affrontale in modo concreto, fin dalle scuole e dall’educazione sessuale dei bambini), permettono allo spettatore non solo di prender coscienza della dilagante dimensione di questa piaga, ma di immedesimarsi totalmente in tutte le prospettive raccontate, dai bambini-vittima, all’allenatore preoccupato che si confida con la sua ragazza (un’avvolgente Miriam Galanti), dal parroco che media con saggezza le posizioni, alla credibile sorpresa che si dipinge sul volto dell’addetto all’oratorio accusato e perfino, oso dire, con il penoso passo felpato del pedofilo, che col suo occhiale nero appare e scompare sulle gradinate del campo come fosse un fantasma. Un coraggio espressivo che ha permesso al produttore Luigi De Filippis di vincere il premio “Tulipani di seta nera – un sorriso diverso”, per avere saputo raccontare la storia di un abuso e di come la vita spensierata di un’adolescente possa cambiare in un istante.

Mi sembra, avendo visionato con attenzione tutti i corti di Rocca, che dare corpo e fisionomia ai demoni, ai mostri che ci circondano e che ritroviamo in noi, sia l’essenza, la cifra stilistica di tutto il suo impegno registico, nella voglia di registrare e restituire – col cinema – il male, il dolore che abita l’uomo contemporaneo, alle prese con le sue contraddizioni e deformazioni. Un finale che sconcerta e che rileva l’arguzia narrativa del Rocca, lancia una pesante accusa ad una pigra sicurezza promossa da una normalità che non riusciamo più a giudicare come tale, più a capire nella sua naturalità, e proietta pesanti ombre sulla facilità con cui si può circuire e plagiare ragazzi ingenui, appena adolescenti, certi di far parte di un gioco innocente che non porterà conseguenze. La solitudine assieme all’abbandono in cui versano sia le vittime che i carnefici, è l’esempio di come Rocca abbia ancora una volta colto nel segno, imponendo l’attenzione – di un’opinione pubblica distratta – su drammi quanto mai attuali e opprimenti, urlandoci di non chiudere gli occhi ma tenerli sempre ben aperti.

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Titolo: Scaleno
Regista: Gilles Rocca
Sceneggiatura: Gilles Rocca
Attori principali: Gilles Rocca, Mirco Mancini, Eleonora Timpani, Miriam Galanti, Silvia Quondamstefano, Maria Anna Russo, Daniele Antonini, Ivan Boragine, Gianluca Galiano
Produzione: Luigi De Filippis