I ragazzi di Villa Emma di Aldo Zappalà: il dovere di raccontare la memoria. Nella “Storia siamo Noi” di Gianni Minoli, mercoledì 12 novembre dopo le 00:40 è stato trasmesso un film del regista Aldo Zappalà dal titolo I ragazzi di Villa Emma.

Il film, trasmesso in anteprima domenica 11 novembre alla sala cinematografica di Nonantola (un paesino vicino a Modena) racconta un episodio straordinario, infatti in questa città, che, all’epoca contava diecimila persone, veniva vissuto un episodio di resistenza civile collettiva, un’esperienza di salvezza di un centinaio di bambini ebrei che ha coinvolto tutta la città. Un episodio che non è mai stato raccontato nella sua realtà e che ci rende orgogliosi di essere italiani.

La storia inizia nel 1941, l’Europa che tutti conosciamo è quella delle deportazioni degli ebrei, molte famiglie scompaiono nei campi di concentramento, i bambini che riescono a salvarsi sono soccorsi dalla DELASEM (Delegazione Assistenza Emigrati Ebraici) e vengono fatti riparare, come e dove si può, il denaro è quello racimolato dagli ebrei del mondo che aiutano da lontano le loro famiglie e la comunità come possono.

Nella campagna di Nonantola, Giancarlo Sacerdoti che aveva comprato alla sua bella moglie Villa Emma sperando che ella stesse ad abitarvi , affitta la proprietà alle organizzazioni ebraiche perché la casa non viene, di fatto, mai abitata.

Gli abitanti del paese raccontano che la signora Sacerdoti era di una rara finezza ed eleganza, il suo tenore di vita sociale strideva con quella bella villa in campagna molto isolata.

Al momento in cui la villa venne data in affitto alle organizzazioni umanitarie ebraiche la casa era vuota, ma un’anima antica e confortevole la popolava che metteva a suo agio gli abitanti: bambini che venivano soccorsi che non andavano oltre i 15 anni.

Quanti bambini fossero transitati non si sa, centinaia forse, poi, con l’invasione degli ustascia (i fascisti iugoslavi) alcune piste di salvataggio dall’Europa del nord si chiudevano ulteriormente, si doveva necessariamente passare per valicare i confini, da Lazlo Brdo , un rudere di castello era stato attrezzato per l’ospitalità di questo transito così struggente.

Impauriti, tremanti, i bambini in fuga con i loro altrettanto giovani accompagnatori scappavano, l’unico bagaglio che avevano in tasca erano le foto di famiglie che non avrebbero mai più rivisto .

Così Villa Emma era entrata nel circuito salvifico ed diventata un angolo di salvezza. La delasem era riuscita ad ideare un’organizzazione oliata e reattiva, non ci si poteva sentire malinconici o vinti.

Nel modo di vivere assieme a Villa Emma al piano terra c’erano dei laboratori di falegnameria, l’orto, materiale per i bendaggi e tutto ciò che poteva servire, i ragazzi erano seguiti da ragazzi più grandi che impartivano loro le lezioni come a scuola e per ciascuno c’era un adeguato carico di lavoro.

Poi, dopo uno stazionamento che contava il tempo di stampare dei documenti falsi senza cognomi sospetti la Delasem di Aldo Valobra e Mario Finzi organizzava partenze specie da Genova verso Israele o gli USA , oppure verso la neutrale Svizzera.

Un testimone intervistato dal regista Aldo Zappalà, Disma Piccinini, un signore che era un ragazzo all’epoca in cui si sono svolti i fatti, ha raccontato che il regime descriveva gli ebrei come infidi, sporchi, cattivi. In paese si erano trovati di fronte a questi ragazzi belli, sani, raffinati pur nella loro modestia e tutto il paese ne era turbato, come possono essere perseguitate delle persone così a modo, dei bimbi e delle bimbe così carine?

Cosa avevano a che fare con i messaggi che trapelavano da “Juss l’ebreo” che descrivevano gli ebrei in modo vergognoso?
Nonostante l’organizzazione non volesse, i ragazzi uscivano, si integravano ai coetanei del paese, giocavano, racconta una testimone che la sua libertà era quella grandissima di potere comprarsi un gelato (“era il gelato più buono che io abbia mangiato mai nella mia vita…”).

Questo racconta una testimone vivente in Israele, che ricorda ancora l’italiano commuovendosi, nelle proiezioni settimanali al cinema del paese, quando i piccoli ospiti di Villa Emma tardavano ad arrivare, venivano a spostarsi perfino le proiezioni, questa era la ricaduta delle leggi razziali a Nonantola.

Nella villa due personaggi erano fissi: Don Arrigo Beccari, il prete del paese e il dottor Monreali, il medico, (sia Don Arrigo, morto di recente che il dott. Monreali sono giusti fra le genti e ricordati a Yad Vashem) che coordinavano la vita comunitaria assieme ai ragazzi grandi: Pacifici detto Ciccio Bum e Yosko Indig, la complessa quotidianità di una comunità di oltre cento ragazzi in fuga. I ragazzi non erano trattati come ospiti ma erano perfettamente integrati alla vita del paese , questo nonostante i ripetuti inviti alla denuncia prospettando la riscossione di forti somme presenze estranee in città, nonostante la miseria, nonostante la fame, nessuno tradì.

Un giorno, dopo l’8 settembre 1943 i nazisti cominciarono a invadere rapidamente l’Italia. Un ragazzino beveva dalla fontana vicino a Villa Emma, lo raggiunse improvvisamente un gippone militare, casualmente in ricognizione, il bambino rispose in tedesco, i nazisti si impensierirono, partirono subito per un mandato, per ordinare un’ispezione. Subito, la macchina della salvezza si mise in moto, in pochi minuti Villa Emma fu smobilitata, con un tacito e ordinato progetto Don Arrigo Beccari prese nel seminario moltissimi bambini, rimanevano escluse le bambine che venivano ospitate nelle famiglie che orbitavano attorno alla villa, compagne di giochi delle figlie che sapevano anche parlare in dialetto modenese per comunicare con le coetanee.

Quante famiglie parteciparono alla salvezza? Difficile dirlo, tutta la città, ognuno aveva i suoi piccoli ospiti, tutti lo sapevano e tutti tacevano, dividevano per una o due persone in più il poco o nulla che avevano da mangiare.

I nazisti sospettosi cominciarono a cercare, nel frattempo, volevano entrare nel seminario, Don Arrigo fu una sfinge, i nazisti non entrarono, le prese anche, ma i nazisti non entrarono e tutti i bambini ebrei spacciati per seminaristi furono salvi.

Poi, le peripezie di un viaggio in treno scappando verso la Svizzera con Ciccio Bum, un ragazzo, ma uomo per i bambini che arrivavano fino a 14 anni. I documenti erano tutti rigorosamente falsi, erano carte d’identità del comune di Larino, naturalmente era tutto posticcio, non c’era neanche un nome straniero, del resto i modenesi avevano insegnato assieme alle nozioni sull’orto e all’artigianato ai piccoli tedeschi le forme dialettali, i bambini si erano vestiti tutti uguali, così sembravano degli studenti di un collegio immaginario.

Arrivati in Svizzera i militari non li volevano, allora in inverno i bambini, secondo il racconto di un testimone, avevano attraversato a nuoto un torrente in piena, bagnandosi, è vero, dicevano, ma vivi, ed una piccolina scivolò nel torrente, il fratellino si mise a piangere , come poteva fare a prendere sua sorella? così un ragazzo più grande si buttò e salvò la bambina annaspando nelle gelide del torrente.

Chi racconta questo episodio, è un signore a cui si illuminano gli occhi oggi, alle sue spalle, in dissolvenza, il ritratto di quando avvennero i fatti. Anche le altre testimoni nel racconto della vita che salvandosi ha portato ad altre vite sono riprese con il viso che avevano quando accaddero questi fatti, i loro occhi sono ancora quelli di bambini, quelli dei ragazzi di Villa Emma.

Dopo tanti anni i ragazzi sono ritornati a Villa Emma, a casa, invitati dal sindaco, Stefano Vaccari, un uomo che ha cercato di ricostruire la memoria e che ora, attraverso la Fondazione Villa Emma è riuscito a vedere nel film di Aldo Zappalà una vera testimonianza dei fatti,.

Un ragazzo di Villa Emma , ritornato dopo tanti anni si è sentito chiamare per strada, dopo sessant’anni qualcuno lo ha riconosciuto e insieme hanno pianto e si sono abbracciati increduli.ieri ragazzi che giocavano assieme, oggi uomi fatti.

Dice Lucio Pardo, l’ex presidente della comunità ebraica di Bologna che la storia non è sempre andata a finir bene. Nonantola è gemellata con Lisieux, solo che la vita, in quel caso non ha portato altre vite.