La storia è di quelle già viste in tutte le salse: un gruppo di persone di varie età e mestieri (commesse, pensionati, avvocati, disoccupati) e il loro viscerale amore per il teatro, capace di cancellare delusioni amorose e lavorative.

Una volta alla settimana, la combricola si riunisce per provare commedie apprezzate dal pubblico che (addirittura!) paga il biglietto per andarli a vedere. In realtà, più di uno spezzone del film induce lo spettatore a considerare che quei poveracci recitano solo perché non hanno niente di meglio da fare.

Ovviamente nel canovaccio di Emanuele Barresi (attore teatrale e sceneggiatore con Paolo Virzì) non può mancare il cattivo della storia che corrisponde al proprietario del teatro (Andrea Buscemi travestito da Belfagor) che vuole cacciare gli affittuari per trasformare l’edificio in una banca.
Il popolo (giustamente) insorge e spalleggia la compagnia dei Perseveranti che – omen nomen – non mollano: si incatenano ai cancelli e occupano il fatiscente teatro.
Uno di loro tenta persino il suicidio, ma al contrario di quello che pensano gli altri attori, non per immolarsi alla causa teatrale, bensì perché il regista le rifiuta un bacio appassionato.

Tra sit-in e scontri frontali, la burocrazia offre un cavillo ai ‘nostri’, che potranno restare nel teatro solo se riusciranno a portare in scena l’opera che stanno preparando (“Cavalleria rusticana” di Verga con musiche del loro concittadino Mascagni: più che un omaggio, una parodia) entro una data prestabilita che si avvicina minacciosamente.

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I Perseveranti perseverano: mollano lavoro, mogli e casse del supermercato per dedicarsi full time all’apprendimento veloce del copione, in stile “Cepu: 10 esami in 10 mesi”. Ovviamente ci riescono e nonostante dietro le quinte accada di tutto (com’era facilmente prevedibile), lo spettacolo va in scena tra applausi (pochi) e fischi (tanti), per concludersi con un’ovazione del pubblico (che ha inspiegabilmente smesso di fischiare) davanti ad un’imprevista conclusione che farà fare almeno otto capriole nella tomba al povero Verga.

Un Rocco Papaleo (spalla di Pieraccioni in vari film) intrappolato nel personaggio del ‘brutto ma attraente’ che fa incetta di donne altrui, risulta non solo eccessivamente stereotipato, ma anche credibile quanto un capo del governo di cui non si fa il nome.
Standing ovation, invece, per la pallida ed eterea Alba Rohrwacher (la timida assassina di Il papà di Giovanna) che ci sta abituando ad interpretazioni sempre più genuine e coinvolgenti.
Ottima interpretazione (seppur in un ruolo troppo ristretto) anche per il giovane Paolo Ruffini: passato da Vj di Mtv e presente in Ovosodo di Virzì, Natale a Miami (cinepanettone del 2005) e La seconda volta non si scorda mai del 2008. Della serie: perché stroncare una carriera sul nascere?

Nonostante l’innata simpatia dei toscani (il film ha l’accento livornese) e la buona volontà di trattare un argomento delicato come quello dei piccoli teatri indipendenti e instabili, questa opera prima di Emanuele Barresi ben si sposa alla colonna sonora di Bobby Solo da cui deriva il titolo: “Non c’è più niente da fare”.