romanzo storico fra interpretazione e trascrizione

Da molto tempo Spike Lee cercava di realizzare questo Miracolo a Sant’Anna. Aveva indagato i luoghi soffermandosi sull’episodio di Sant’Anna di Stazzema, una strage della seconda guerra mondiale che deteneva il triste primato, assieme a Marzabotto , delle stragi più sanguinose perpetrate dall’occupazione tedesca in Italia dal 1939 al 1945.

Stragi di cui, a tutt’oggi, non si conosce l’esatto numero delle vittime e questo offre puntualmente l’opportunità di rispondere che – a causa dell’inesattezza dei numeri – ciò possa non essere accaduto, secondo la storia del più tetro revisionismo impossibile.
Sembra che dagli anni ’90 Spike Lee avesse comprato i diritti d’autore da Mc Bride Miracle a Sant’Anna e che girasse attorno ad un argomento davvero difficile : l’Italia (paese “adottivo”) con le sue tensioni e le sue emozioni epocali, e l’ambiente in cui ciò si svolgeva, mandando indietro di circa sessant’anni l’orologio della storia, quando la situazione quasi disperata dei partigiani era ulteriormente complicata dall’essere alle prese con una guerra “civile”.

Tuttavia, chiunque si conceda un’escursione sulle tematiche della guerra, soprattutto chi è giovane tispetto a essa (come Spike Lee), non viene “agevolato” nella sua operazione dai cosidetti addetti ai lavori, penalizzando di fatto la “presenza” della Touchstone Pictures e la firma di Spike Lee (la cui volontà di realizzare il film dipenderebbe dal fatto che – come accade per i cittadini di colore – nessuno parli obiettivamente di determinate circostanze storiche), due passaporti ideali (“garantiti” dal contributo di Rai Cinema) per potere veicolare nei cinque continenti un paese e la sua storia.

Non a caso il regista ha dovuto rispondere – basito – a sostegno della sua buonafede, sulle pagine di La Repubblica o del Corriere della Sera, che non si può pensare di fare testimoniare solo ai presenti ciò che era successo. Un argomento così difficile è giusto che lo si affronti anche con le memorie assorbite dall’immaginario collettivo della propria contemporaneità, non solo per raccontare con il cinema ciò che è successo, ma anche per trasmetterlo alle nuove generazioni che hanno un’accentuata predisposizione alla cultura dell’immagine, oltre che a saper vedere oltre le parole. Le scuole di pensiero degli storici sono fra loro contrapposte: secondo alcuni la storia dovrebbe godere del benefico contributo delle immagini, secondo altri i documenti e gli archivi cartacei sarebbero assolutamente autosufficienti. Tutto il resto potrebbe essere assimilato – quasi – a una distrazione.

Tornando alla necessità di raccontare la storia di Sant’Anna di Stazzema, Spike Lee ha riferito come il political correct con cui Clint Eastwood avrebbe riferito pareri degli opposti contro la stessa guerra (Flags of Our Fathers 2006 e Lettere a Jwo Jima), non sarebbe stato in grado di affrontare adeguatamente la questione del contributo dei soldati di colore alla storia degli Stati Uniti d’America. Una lacuna che il giovane regista si è affrettato a colmare, dopo il riconoscimento internazionale della complessa figura di Malcom X, con un film – partiamo dunque dal presupposto che ciò di cui si sta parlando è un romanzo storico e non un film documentario – i cui intenti di opera di fantasia sono espressi già dai titoli di testa.

Per ciò che riguarda la realizzazione cinematografica dell’esercito tedesco Spike Lee – da regista e non da storico – descrive le persone nella loro pressione psicologica (gli stessi storici hanno sempre differenziato la Wehrmacht (ossia l’esercito tedesco) dalle SS (i pretoriani di Hitler), anche se poi, nei fatti, tutti ubbidivano agli ordini, e il regista ha cercato, in questo caso, una modulazione per una narrazione filmica che non appiattisse i personaggi e le situazioni).

Siamo nel 1983 ed Hector Négron (un distinto signore americano, dipendente delle poste a pochi mesi dalla pensione) di punto in bianco fredda un avventore con una Lugar.
Gli inquirenti indagano e un giovane giornalista riesce a scardinare il mutismo dell’omicida rinchiuso in un carcere criminale, giungendo al racconto di quanto avvenuto quarant’anni prima, in uno scenario di guerra, in Toscana.
Al centro della trama un gigante di cioccolata, il classico ragazzone semplice e religioso di Harleem, che sente molti punti in comune col bambino che è tragicamente traumatizzato dalla guerra, e che lui stesso porta fuori pericolo mettendo a rischio la propria vita e quella della brigata.

Si vedono avanzare i giovani e giovanissimi della novantaduesima brigata Buffalo, una brigata di colore, mentre si sente dal fondo una voce incessante che incalza i militari a disertare per i motivi più disparati (naturalmente a sfondo razzista).
Successivamente il comandante del campo (bianco) ordina un lancio di bombe, ignorando il consiglio del suo sottoposto, e il fuoco “amico” colpisce i soldati della brigata che sono costretti a nascondersi su di un crinale improvvisato della montagna toscana da cui diparte la storia.

L’incontro e la conseguente ospitalità in una famiglia toscana dove troviamo un vecchio fascista innocuo(citazione per mettere a tacere quegli osservatori che sostengono che se c’era il fascismo al potere qualcuno l’avrà pure condiviso), interpretato dall’attore Omero Antonutti (ricordiamo anche una Valentina Cervi bella come un’immagine di Fortunato Depero, irregolare e insieme armoniosa) e una cultura contadina ancora molto accentuata nei gesti e nei riti; la descrizione dell’essere all’avanguardia dei tedeschi nell’uso dei mass media per il consenso alla loro politica (si pensi alle lunghe pose di Hitler davanti all’obiettivo fotografico oppure alle adunate militari di un potere che fin da subito era mediatico) e dell’incontro dei militari di colore americani con la propaganda dei manifesti che li dipinge (lasciandoci stupefatti) come pericolosi mangiabambini; la ricostruzione del fatto che un partigiano possa avere tradito e altri elementi vanno sempre considerati da romanzo storico, non come eresie (ad esempio, in relazione al tradimento, va ricordato come, ieri come oggi, le “talpe” ci siano sempre state).
La descrizione del gruppo dei militari americani di colore che non vengono serviti (nel 1943) in un bar che sembra appartenere ad uno scenario del pittore americano Edward Hopper , mentre i tedeschi stanno comodamente consumando il loro gelato al tavolo, è un po’ tirato, ma il lavoro di Spike Lee è una condanna alla segregazione razziale elaborata e collettivizzata.

La scena in cui si banchetta e si balla in Chiesa è discutibile, ma va visto come la trasposizione di un concetto della chiesa evangelica battista in quella cattolica romana.
La scena della strage è resa nella sua spietata crudezza (forse una citazione de La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani?), mentre lo svolgimento del film viene affidato all’espediente del casuale ritrovamento dell’International Herold Tribune in luogo un po’ funambolico.

Grazie, dunque, alle immagini di Spike Lee, perché in questo modo il mondo conoscerà il nostro paese e la sua tormentata storia che ancora sanguina nei ricordi di chi l’ha vissuta.