MMauerspringer, a cura di Cristina Valenti, è un volume che documenta il progetto triennale di cooperazione europea Mauerspringer. Nuove forme di espressione artistica nel teatro di strada, finanziato dall’UE.

Il teatro di strada fa pensare immediatamente agli spettacoli popolari quando, in assenza di radio e tv, l’altro andava cercato uscendo di casa. Gli antesignani delle serie tv che tanto ci appassionano, erano con tutta probabilità i pupari, attesi per quanto a noi è dato di compulsare annoiati la tastiera di un telecomando.

Alcuni grandissimi attori della nostra tradizione teatrale non sono passati per studi accademici, ma per le piazze di grandi città. Franco e Ciccio hanno iniziato il loro sodalizio nel 1954, in strada, senza alcun equivoco intellettuale, spinti solo dalla fame e dall’ebbrezza di veder ridere a causa di innocenti imitazioni del raglio di un asino, del galoppo di un cavallo o del ruspare compassato di un pollo.

Tutto questo a dire che abbiamo perso il candore della strada e di quegli spettacoli popolari che portavano fin sulla soglia del focolare domestico le storie fondative della civiltà. In fondo il ciclo carolingio (i succitati Franco e Ciccio si cimentavano nell’imitazione dei pupi) non era che derivazione delle ben più antiche narrazioni omeriche. Cosa rimane di quella tradizione? Rimane la fortunata ossessione di alcuni attori e compagnie che malgrado l’inattualità, malgrado il “villaggio” di McLuhan sia stato ulteriormente ridotto a condominio globale, si ostinano a guastare l’imperturbabilità del nostro occhio incantato dalla luce blu di uno schermo.

Il progetto della Compagnie du Hasard and Théâtre de l’Unité, Hortzmuga Teatroa, Theaterlabor, DAH Teatar e Teatro Due Mondi (di cui abbiamo ammirato la giornata conclusiva) – iniziato nel 2018 e concluso nel 2020 – ha visto coinvolti sei paesi (Italia, Francia, Germania, Serbia e Polonia), con compagnie che si sono consorziate al fine di promuovere il teatro di strada come mezzo di superamento dei muri, sul modello appunto dei mauerspringer della Germania est, ragazzi che saltavano il muro di Berlino per tuffarsi dalla parte libera del mondo. Focus del lavoro delle compagnie è stato quello di incontrare coloro che stanno adesso saltando muri d’acqua nel mediterraneo, coloro cioè che scappano da guerre e carestie, attirati dalla possibilità di una vita migliore.

Ecco allora che il teatro si fa esso stesso migrante, alla ricerca di un pubblico magari distratto, ma che attraversa una strada pronto a lasciarsi colpire al proprio cuore addormentato. È quindi un teatro politico – come afferma Cristina Valenti, la curatrice – pronto a sedurre, certo, ma per rendere il viandante di nuovo estraneo a sé, e come tale capace – oggi come ieri – di saltare il muro ontologico di una identità stabile. Nel teatro di strada tutto sembra avvenire per caso, come afferma Maëlle Koenig di Compagnie du Hasard. Il fascino della strada è il work in progress continuo, che non addiviene mai a esito, a testo congelato in un copione di ferro.

Nel saggio introduttivo al volume, Cristina Valenti scrive: «Nel non luogo del teatro […] si produce l’inaspettato e il caos, l’imprevedibilità, si minano le zone di comfort dell’attore e dello spettatore, avvengono rotture dell’ordinario». Per fare questo – continua Federica Zanetti nel saggio successivo – la realtà si radica a livello comunitario, così che l’atteggiamento dell’attore è quello del bricoleur. È l’artigiano che mette insieme gli scarti, i resti della vita, allo stesso modo di elettrodomestici o mobilio abbandonati, pronti a essere utilizzati ancora, a patto di essere oggetto di un amore riparativo. La strada è un luogo di osservazione degli uomini, non mediato da nient’altro che dal corpo dell’attore che chiede di essere visto.

Il volume segue con attenzione i feedback dell’esperienza da parte delle compagnie. Jacques Livchine di Théâtre de l’Unité mette il dito nella piaga quando afferma che esiste l’Europa delle regole, della burocrazia, ma non esiste ancora l’Europa della cultura, facendo eco al compianto Philippe Daverio nelle sue lezioni al Teatro Carcano nel 2017. C’è da chiedersi con Hervée de Lafond dove sia – se c’è – la regressione. Il paradosso è che i muri europei sono stati abbattuti, ma comunicare teatro è diventato più difficile. A causa di una più celata politica di controllo? O forse si tratta di una regressione antropologica del pubblico? «Sono – continua de Lafond – completamente al servizio di quest’arte, che trovo magnifica, ma è anche miserabile». La potenza del teatro è nel continuare a mostrare il lato squallido dell’uomo, è toccare il nucleo profondo che nessuno vuole avvicinare. Se questo miracolo può accadere in strada, meglio ancora, a patto di svegliarci dal sonno del giusto.

Il teatro – per dirla ancora con Cristina Valenti – si priva di un luogo, per accedere ai non luoghi della città. Raúl Cancelo di Hortzmuga Teatroa, mette l’accento sui nuovi territori urbani, fatti per ostacolare i rapporti tra le persone: spazi senza piazze, senza luoghi, dove le strade sono vie obbligate che conducono – come una condanna – sempre a un centro commerciale. Il teatro può forzare i luoghi di passaggio a divenire comunità, ma per fare questo deve in qualche modo “deflorarli”, privarli di una verginità immaginaria, per far emergere qualcosa di vitalmente corrotto, di contagiante. È l’unico modo che abbiamo per non aver paura dell’estraneo, non solo quello che viene da oltremare, ma di quello che è in noi, miserabile e straccione, trattato come un appestato dall’IO titolare di iscrizione anagrafica, seduto sui propri diritti come fossero privilegi.

Si fa talvolta riferimento allo scarso finanziamento pubblico nei rispettivi paesi, contro il quale l’Unione Europea interviene con questo progetto. Intento nobile, ma che rischia di essere il bel gesto col quale la politica lava la propria mancante coscienza. Più soldi pubblici alle compagnie? Non si rischia così di burocratizzare ulteriormente l’accesso alla possibilità di fare teatro, di rendere il sovrano ancora più graziosamente capriccioso nell’elargire mancette di Stato? Non si rischia così di costruire nuovi e più alti muri, fatti di carte bollate, e procedure infinite, impossibili da saltare perché immateriali?

«In Italia – afferma Alberto Grilli di Teatro Due Mondi – tutte le norme dello spettacolo, quelle sui finanziamenti dello spettacolo all’aperto e quelle sulla sicurezza portano, in maniera sottile e forse poco visibile, a imbrigliare la libertà di espressione». Le dittature di norma vietano il teatro di strada, come afferma Danièle Marty Peskine di Compagnie du Hasard, ricordando l’eccezione del 1984 in Polonia, con il Festival a Jelenia Gora. Se il teatro di strada deve essere politico nel suo senso più pieno, dobbiamo esigere la piena libertà per chiunque abbia qualcosa da mettere in scena, e un cappello con cui raccogliere il prezzo stabilito da chi guarda, senza limiti e regolamentazioni che non siano il buon senso e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Forse solo così è possibile riguadagnare quel po’ di candore capace di meravigliarci ancora davanti a chi ha qualcosa da rappresentare, e lo fa chiedendo attenzione e un marciapiede. Ogni volta che il censore inventa un divieto, per il teatrante si tratta di farne parodia, o di aggirarlo affinando l’arguzia intellettuale. Se il teatro di strada sarà costretto a misurarsi con la burocrazia, non avrà tempo di inventarsi un mondo nel qui e ora della strada, e del suo vitale caos.

Mauerspringer. Forme di espressione artistica e di partecipazione nel teatro di strada – Forms of artistic expression and participation in street theatre. Ediz. bilingue
curatore Cristina Valenti
traduttore Tanja Horstmann, Kevin Hely
editore Titivillus – Collana Altre visioni
anno edizione 2020
in commercio dal 21 settembre 2020