Boris e dintorni

Francesco Pannofino racconta la sua vita in un libro-intervista concentrato sulla sua lunga esperienza da doppiatore e sul suo ruolo da protagonista in Boris.

Secondo le logiche di un fenomeno specificatamente italiano, Francesco Pannofino è uno dei doppiatori più celebri del nostro paese: voce abituale di star hollywoodiane del calibro di George Clooney, Denzel Washington, Kurt Russell, assieme a Luca Ward, agli Amendola e a pochi altri, è noto al grande pubblico non solo come voce, ma anche come personaggio pubblico. Se altri doppiatori però sono sempre rimasti in sala di sonorizzazione e devono la loro notorietà alla loro presenza sui social o alla partecipazione a programmi televisivi, Francesco Pannofino nel corso del tempo ha saputo ritagliarsi un peso specifico anche come attore, nei peculiari equilibri produttivi e distributivi del cinema italiano, consacrandosi definitivamente come interprete comico grazie al ruolo da protagonista nella serie cult Boris.
Poche settimane dopo l’uscita su Disney+ della quarta stagione di Boris, per la Compagnia editoriale Aliberti esce Dài, dài, dài! La mia vita a ca**o di cane, una sorta di autoironica autobiografia di Pannofino frutto di una lunga intervista col giornalista e scrittore Roberto Corradi. Il libro, introdotto da un’interessante intervista al produttore Lorenzo Mieli sulle dinamiche produttive e realizzative che permisero la realizzazione della prima stagione di Boris e sull’importanza del personaggio di René Ferretti per il successo della serie, racconta con simpatica umanità e senza troppi giri di parole il percorso professionale di Pannofino tra il set e gli studi di doppiaggio. Né autocelebratorio né autoindulgente, il racconto di Pannofino è schietto, scorrevole e poco particolareggiato, pur andando dalla sua gavetta professionale nei primi anni novanta fino al recente Boris 4, realizzato dopo e nonostante la morte di Mattia Torre, assieme a Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico.
Dài, dài, dài! La mia vita a ca**o di cane inevitabilmente strabocca di aneddoti, sia sulla realizzazione della serie, sia sulla vita di Pannofino in sala doppiaggio. Per quanto riguarda Boris, Pannofino nega con decisione che nel creare il personaggio del regista René Ferretti, un tempo cineasta di denuncia poi vendutosi alla televisione, si sia ispirato a qualche particolare regista di fiction italiano: all’intervistatore Pannofino spiega di essersi limitato a mettere in scena quanto era scritto nel copione, per cui tutt’al più «René è nato da un mix di caratteri e di identità che devo aver assimilato nel tempo, senza neanche rendermene conto», lavorando con i più diversi registi di cinema e di fiction. Dopo Boris, racconta Pannofino, gli altri registi con cui lavorava sul set lo hanno iniziato a trattare «con devozione, come fossi sant’Antonio, in un gioco delle parti stupendo: Ferretti era il grande regista di grandi lavori di merda e loro solo i suoi umili seguaci». Pannofino racconta anche la sua sorpresa, da doppiatore passato davanti alla macchina da presa, nell’iniziare a essere riconosciuto per strada da orde di fan della serie, cosa che ancora oggi gli capita.
Uno dei passaggi più interessanti del libro è sicuramente quello in cui racconta come Gian Maria Volonté, con le sue lotte sindacali nella cosiddetta battaglia voce/volto, cambiò la storia e i metodi del doppiaggio in Italia – e lo stesso Pannofino ha molto frequentato i sindacati traendo da essi anche non poche nuove occasioni professionali. Se Dài, dài, dài! La mia vita a ca**o di cane ha un limite è proprio quello di ignorare completamente tutti gli altri film interpretati da Pannofino come attore: c’è qualche cenno agli spettacoli teatrali, qua e là si menzionano un paio di altri prodotti, ma essenzialmente l’attenzione sulla filmografia da interprete resta esclusiva su Boris, con tutto che, messe da parte molte commedie secondarie in cui Pannofino aveva ruoli da comprimari, non gli sono mancate esperienze significative come il ruolo da protagonista ne Il pretore di Giulio Base o le partecipazioni ad Assolo di Laura Morante e al ferale pastiche Pecore in erba di Alberto Caviglia, o ancora l’interpretazione di Tommaso Buscetta ne Il capo dei capi (ruolo che sarebbe poi andato a Favino ne Il traditore). In Dài, dài, dài! La mia vita a ca**o di cane peraltro manca anche l’esperienza dell’ultimo Boris, dal momento che l’intervista di Corradi risale ad alcuni anni fa e Pannofino addirittura si diceva molto scettico della possibilità di una nuova stagione. Ma tutto questo fa parte dello spirito del libro e, verrebbe da dire, del suo stesso protagonista: più che un’enciclopedia, Dài, dài, dài! La mia vita a ca**o di cane vuole essere un racconto scanzonato e veloce della vita, della carriera e della personalità di uno dei più iconici doppiatori e attori italiani; e da questo punto di vista lo si può dire compiutamente riuscito.

Dài, dài, dài! La mia vita a ca**o di cane
di Francesco Pannofino con Roberto Corradi
Compagnia editoriale Aliberti (Reggio Emilia)
pp. 137