manifesto-l_ondaPubblichiamo le interessantissime interviste relative a l’Onda, film in prossima uscita. Rispettivamente potrete leggere quanto affermato dal regista Dennis Gansel, dal produttore Christian Becker, dall’insegnante che ha ideato l’esperimento Ron Jones e all’attore Jürgen Vogel.


Dennis Gansel (sceneggiatore e regista)

Dopo NaPolA, torna a parlare di Germania nazista in L’Onda. È una coincidenza o è uno dei suoi temi preferiti?

Sono sempre stato interessato a questo argomento! Potrebbe tornare il fascismo? Come funziona il sistema fascista? Com’è possibile che la gente si lasci fuorviare… Sono tutte domande che mi affascinano. Mio nonno era un ufficiale durante il Terzo Reich, una cosa che ha sempre costituito un grosso problema per mio padre e i miei zii. Da ragazzo mi sono chiesto spesso come mi sarei comportato in quella situazione. In NaPolA ho affrontato la domanda: “Com’è stato possibile, allora? Come hanno fatto i nazisti a fuorviare tanta gente?” Ne L’Onda mi sono chiesto, invece: “Come potremmo essere fuorviati, oggi? Come funzionerebbe il fascismo? Sarebbe possibile ai giorni nostri? Potrebbe accadere di nuovo, in una qualsiasi scuola tedesca, qui e ora?”

Che cosa c’è nell’esperimento della Terza Onda che l’ha affascinata tanto da volerne trarre un film?

Ricordo distintamente la prima volta che ho letto il romanzo Die Welle (L’Onda). La prima domanda che ti fai, quando lo leggi, naturalmente è: “Che cosa avrei fatto io? Avrei aderito?” E subito ti rispondi: “È successo tanto tempo fa, in America. Forse in quel paese, a quel tempo, era ancora possibile. Ma oggi in Germania, è escluso.” Eppure, secondo me non è così facile. È da qui che siamo partiti: ambientiamo la storia nella Germania d’oggi, e chiediamoci se potrebbe succedere ancora.

Come si è documentato sulla vicenda da cui è tratto il film?

Beh avevamo gli appunti originali di Ron Jones, quindi sapevamo abbastanza bene come si era sviluppato l’esperimento. Ma quando abbiamo deciso di ambientare la storia nella Germania d’oggi, abbiamo dovuto re-immaginarla come una storia tedesca, in uno specifico contesto tedesco. Dal momento che io e Peter siamo cresciuti in ambienti molto simili, ci siamo detti: “Ambientiamola in una scuola come quella che abbiamo frequentato noi.” Alcuni dei personaggi del film somigliano ai compagni di scuola che abbiamo avuto nella realtà. Ci sono insegnanti come li avremmo voluti, e altri come quelli che abbiamo avuto realmente. Conservare questa prospettiva realistica ci è stato di grande aiuto. Poi abbiamo costruito la storia intorno a quei personaggi, immaginando che cosa avrebbero pensato e come si sarebbero mossi in certe situazioni. E il resto è venuto tutto molto naturale.

Lei crede che il successo di un esperimento del genere dipenda dal gradimento e dall’autorevolezza dell’insegnante?

Naturalmente aiuta se l’insegnante ha una personalità carismatica, se è un vero leader, se possiede capacità di persuasione ed è ammirato dagli studenti. Credo che il sistema fascista che questo insegnante costruisce sia così nefasto psicologicamente che potrebbe riaffermarsi ovunque, e in qualsiasi momento. Assegnate a chi prima non aveva alcuna voce in capitolo la sua piccola area di responsabilità; formate una comunità che all’improvviso dia un nuovo valore al corpo studentesco; eliminate le grandi differenze che un tempo dividevano gli studenti dando a ognuno la possibilità di distinguersi – credo che una ricetta del genere funzionerebbe ovunque. Soprattutto in un sistema come quello scolastico. E chiunque frequenti un liceo sa come vanno le cose: i ragazzi più popolari, i leader sociali, sono in cima all’ordine gerarchico, mentre molti studenti che magari sono solo più timidi o meno appariscenti non hanno alcuna possibilità di emergere. Sono sicuro che se si potesse prendere un sistema come quello dell’esperimento di Cubberley e metterlo in piedi dall’oggi al domani, funzionerebbe ancora.

La nostra società moderna è caratterizzata dall’individalismo. È il bisogno di distinguersi dalla massa che rende possibile un esperimento come quello de L’Onda?

Quando ero giovane, avrei voluto avere qualcosa in cui identificarmi. Invidiavo i miei genitori per il movimento studentesco del ’68, che ha avuto un obiettivo comune, ha cercato veramente di cambiare la realtà e fare una differenza. Io sono cresciuto negli anni ’80 e ’90, quando c’erano migliaia di movimenti e gruppi politici, ma senza una vera direzione. Niente per cui entusiasmarsi davvero.È una cosa che mi è mancata veramente. Io credo che i ragazzi, oggi, si sentano allo stesso modo. Insomma, noi non possiamo definirci solo attraverso la musica e l’abbigliamento. Io credo che la gente abbia un bisogno profondo di sostanza, un bisogno che sta crescendo sempre più forte. La tendenza all’individualismo e a una totale frammentazione della società in piccoli gruppi non può continuare all’infinito. A un certo punto si creerà un vuoto enorme, e in quel momento il pericolo è che spunti fuori un “ismo” capace di riempirlo.

Ron Jones è entusiasta del film. Che cosa significa per voi?

Significa molto, naturalmente. In fondo, è partito tutto da lui, che ha concepito l’esperimento originale. La storia – per molti versi sconvolgente – è basata per lo più sulle sue esperienze, ma alcune cose le abbiamo cambiate. Per esempio, nel nostro film Rainer (Jürgen Vogel) e sua moglie (Christiane Paul), anche lei insegnante, vivono su un barcone, e a un certo punto entrano in conflitto. Quando ho mostrato a Ron Jones le prime sequenze girate, in sala di montaggio, mi ha detto: “È incredibile. Io vivevo in una casa su un albero, e ho avuto discussioni con mia moglie molto simili a quelle che avete inserito nel film!” Noi non potevamo certo saperlo, abbiamo scritto quelle scene seguendo il nostro intuito – soltanto alla fine abbiamo scoperto di aver immaginato cose che erano realmente accadute a Ron Jones negli anni ’60. E questo ci ha sorpreso e fatto piacere, perché anche se abbiamo girato una storia in gran parte di fantasia, cerchiamo sempre di essere il più possibile realistici e credibili nella costruzione dei personaggi, e nella descrizione delle dinamiche psicologiche. Quindi, sentirci dire da Ron Jones che il film era credibile al 100 per cento è stato il complimento più bello che potessimo augurarci.

Christian Becker (produttore)

L’Onda è il progetto comune di un gruppo di amici: Dennis Gansel lo ha diretto e ha scritto la sceneggiatura con Peter Thorwarth; lei lo ha prodotto con la sua società, la Rat Pack, insieme a Nina Maag. Tutti e tre avete frequentato insieme la stessa scuola di cinema. Come si è ricostituita questa squadra?

Dennis e io abbiamo avuto l’idea di girarlo, qualche anno fa. Ho passato un bel po’ di tempo a girare il mondo per cercare di ottenere i diritti della storia. Nel frattempo, con Dennis riflettevamo sulla tematica del film, e abbiamo deciso di coinvolgere anche Peter Thorwarth. Tutti e tre abbiamo frequentato insieme la Scuola di Cinema di Monaco. Poi io ho prodotto “Bang Boom Bang”, “Was Nicht Paßt, wird passend gemacht” e “Goldene Zeiten” di Peter, e “Das Phantom” di Dennis, insieme a Nina Maag come produttrice. Il bello è che eravamo tutti amici, ed è proprio così che è nata la mia società – non è un caso che si chiami Rat Pack.Siamo tutti amici che lavorano insieme, si divertono insieme, e crescono insieme. Peter Thorwarth è orgoglioso che Dennis abbia diretto il film, e di avere scritto con lui la sceneggiatura. Peter è della Ruhr, la regione del carbone e dell’acciaio, e i suoi temi di solito sono legati al mondo della classe operaia – sono film d’azione o commdie. Dennis è quello dei film drammatici e impegnati. Ognuno ci mette qualcosa di sé, di personale, ed è fantastico come questo avvenga senza rivalità né conflitti.

 

Ron Jones non si è mai riconosciuto nel romanzo di Morton Rhue, Die Welle (L’Onda). Che cos’è che lo ha convinto, invece, nel vostro approccio?

Noi raccontiamo la storia da prospettive diverse. È un approccio più moderno e contemporaneo. E credo che a Jones sia piaciuto proprio questo. È felice che il film sia stato girato dai tedeschi, che hanno una responsabilità storica e colpe precise. Insomma, è stato contento che Hollywood non abbia ottenuto i diritti.

L’esperimento è stato condotto in un liceo di Palo Alto, in California, nel 1967. Perché avete deciso, invece, di ambientare la vicenda in Germania? Abbiamo voluto ambientare il film in Germania per parlare ai giovani della Germania di oggi. Volevamo che riuscissero a identificarsi, che potessero dire: “Ehi, mi riconosco, quello lì è come me!” oppure “… somiglia a uno che conosco!” Se la storia fosse stata ambientata nel passato, o negli Stati Uniti, non sarebbe risultata altrettanto realistica e credibile.Un altro punto fondamentale è che non mostriamo mai il luogo in cui si svolge la vicenda. Non volevamo riproporre nessuno dei cliché regionali tedeschi – “Berlino è una polveriera sociale” o “In Bavaria sono tutti zotici”. Ad ogni città, ad ogni stato è associato un pregiudizio, ecco perché L’Onda si svolge in un luogo anonimo, qualsiasi. Volevo essere certo che la storia parlasse a tutti. Così, chiunque andrà a vederlo penserà: “Cavolo, potrebbe succedere anche a me…”

Avete messo in campo un gruppo straordinario di giovani attori accanto al veterano Jürgen Vogel e a Christiane Paul. Cosa può dirci di questo cast di ragazzi?

Il casting è stato un processo lungo e faticoso. Abbiamo interpellato tutte le agenzie e tenuto infiniti provini. Il risultato è stato questo cast straordinario – il meglio dei giovani talenti tedeschi. Chi ha visto il film lo ha trovato molto realistico e ha pensato: “Accidenti, è proprio come la scuola che ho frequentato io!” È questo che rende il film così speciale. Ci abbiamo lavorato a lungo, e Dennis ha fatto il possibile per trovare il cast perfetto. Dal mio punto di vista, i nostri attori non sono solo attori di grande talento, ma anche perfetti per i loro ruoli. È un piacere starli a guardare!

Che cosa può dirci della colonna sonora?

Oltre ai pezzi pop e rock contemporanei, abbiamo una colonna sonora ideale – discreta e piena di sfumature, ma anche veloce e potente. Heiko Maile ha fatto un lavoro fantastico. Maile faceva parte della band di synth-pop ‘CamouflagÈ. Io ero un loro grande fan, da ragazzo – da “Great Commandment” fino a “Love Is A Shield”, ascoltavo tutti i loro dischi. La musica che ha composto per noi aggiunge spessore alla nostra storia: è moderna e energetica, ma contiene anche molti degli elementi di una colonna sonora classica. Heiko, Dennis ed io ci siamo divertiti parecchio a lavorare insieme.

L’Onda sarà in concorso al Sundance, in gennaio. Anche questo è un sogno che si realizza, per voi?

Altro che! Ci speravamo, di poter portare il film al Sundance, ma è stata una sorpresa immensa essere accettati – uno dei 16 film accettati su 620! Gli Stati Uniti sono ancora il più grosso mercato internazionale per i cineasti, e il Sundance è uno dei festival più prestigiosi, dove hai gli occhi di tutti puntati addosso. Da quando è stato dato l’annuncio, abbiamo ricevuto telefonate da tutto il mondo. Noi non abbiamo mai smesso di credere in questo film straordinario. Ed è molto gratificante sapere che non siamo i soli a crederci.

Ron Jones (insegnante e ideatore dell’esperimento)

Che effetto le fa trovarsi sul set?

Una delle sensazioni più stupefacenti, mentre mi trovo qui a guardare questo gruppo di studenti, è quella di trovarmi di fronte a fantasmi del mio passato. È come guardare i miei vecchi studenti, e tornare indietro al 1967: c’è Doug che ciondola per la classe, Steve, il buffone del gruppo, e le due ragazze sedute in prima fila, Aline Levin e Wendy, così intelligenti e in gamba, e poi Norm, seduto all’ultimo banco, che sorride col suo dente d’oro in bocca, e Jerry. Li rivedo tutti.

Quali sono state le sue reazioni quando ha visto le prime sequenze?

Beh, prima di tutto, guardando i giornalieri mi sono accorto che la fotografia ti dava la sensazione di essere dentro la classe, anziché osservarla da fuori – di farne parte. E poi ero sbalordito da quei personaggi così veri, che mi erano così familiari. Ma nel film c’erano anche cose di cui non avevo mai scritto – per esempio, i rapporti tra gli insegnanti più giovani e quelli più anziani. Anche ai miei tempi esistevano metodi di insegnamento diversi, alcuni più tradizionali altri più innovativi, e i rapporti potevano essere tesi…

Un altro pregio del film è come racconta le dinamiche tra un uomo e una donna sposati da molto tempo, di questo non avevo scritto nel mio racconto. Io e mia moglie siamo insieme da 43 anni e i piccoli segnali che ci inviamo, quei piccoli meccanismi di controllo del tipo “Ehi, stai esagerando”, oppure “Adesso fermati, cominci a fare male”, sono scattati anche all’epoca dell’esperimento. Fondamentalmente, mia moglie mi diceva: “Sei andato troppo oltre, è pericoloso per te e e per le persone intorno a te”, e il film riesce a cogliere questo aspetto. Ecco perché è così speciale e straordinario, perché è il cuore e non la mente a parlare, a raccontare la storia. Una storia che parla della bellezza di questi ragazzi, che sono come fiori nella nostra vita, e di quello che succede quando un insegnante passa il segno e diventa un dittatore.

Che cosa pensa che sia successo nel corso di quell’esperimento? È grato di aver vissuto un’esperienza del genere?

Beh, è un’esperienza che non rifarei mai. Nessuno vorrebbe mettere in pericolo dei ragazzi. Grato di aver vissuto quell’esperienza? Mi sono imbattuto in un lato primordiale della psiche umana che potrebbe essere utile conoscere. In questo senso, sono grato che qualcuno abbia potuto farci un film e che la gente possa parlarne e rifletterci. Io credo che la cultura tedesca sia straordinaria. Voi siete gli unici a preoccuparvi veramente della violenza. La studiate perché non volete che si ripeta. Mentre nella mia cultura sono successe cose come Hiroshima e Nagasaki, ma ci siamo subito sbarazzati del senso di colpa, non ci pensiamo più. Non studiamo il razzismo, non studiamo la violenza. Voi siete diversi. Non conosco nessun’altro che se ne preoccupi tanto. E ancora una volta, con questo film, cercate di capire perché rinunciamo alla nostra libertà per l’idea di essere migliori di tutti gli altri. È una lezione su cui dovremmo tutti riflettere.

Quali erano i suoi sentimenti, le sue emozioni durante l’esperimento?

Durante l’esperimento, in un certo senso, ho scoperto un metodo di insegnamento che funzionava, perché i ragazzi imparavano rapidamente. Tornavo a casa da mia moglie, e le dicevo: “Diana, i ragazzi imparano alla grande. È assurdo, ma prima non avevano neanche posti fissi, in classe, e ora che non c’è più libertà stanno seduti ai loro posti e rispondono a tutte le domande, e si aiutano a vicenda. Ho scoperto un metodo di insegnamento fantastico!” Solo che le conseguenze erano dannose per tutti. Quindi vivevo emozioni contrastanti.

Come ha reagito sua moglie all’esperimento?

Mia moglie insegnava in quella scuola, all’epoca, anche se alle elementari. Eravamo due giovani insegnanti, entrambi pieni di idee e di energie. Lei capiva quello che stava succedendo, ed è stata proprio lei, per fortua, a mettermi in guardia. Mi diceva: “Stai attento, perché non sai dove stai andando e stai facendo del male ad altre persone, e non è quello che vuoi: non è più democrazia. È pericoloso.” È stata lei, insomma, a riportarmi alla realtà e a costringermi a fermare L’Onda. Tutti dovremmo avere accanto una brava moglie o comunque una donna che al momento giusto sappia dirci “Adesso basta”. Io credo che saranno le donne, a salvare il mondo.

Quando si è accorto di essersi spinto troppo oltre?

Il momento preciso è stato quando Robert mi ha seguito in sala professori. Io non avevo avvisato i colleghi, e quando sono entrato con lui nella stanza, una delle insegnanti – Bonnie, la direttrice del dipartimento di inglese, molto somigliante al personaggio del film – è rimasta di stucco. Ha guardato Robert e gli ha detto: “E tu che ci fai qui? Questa stanza è riservata ai docenti, non sono ammessi gli studenti.” E Robert le ha risposto, fissandola negli occhi: “Io non sono uno studente. Sono una guardia del corpo.” In quel momento, mi sono reso conto che Robert aveva attraversato una sorta di confine invisibile, che quella che doveva essere una simulazione era diventata realtà. E quel confine lo avevo oltrepassato anch’io Non stavo più solo insegnando una cosa chiamata fascismo, mi stavo divertendo a fare il dittatore, e questo era spaventoso.

L’esperimento della Terza Onda ha funzionato perché lei era un insegnante molto popolare tra gli studenti?

No, no. L’esperimento ha funzionato perché molti di quei ragazzi – molti di noi, anche – erano smarriti, non avevano una famiglia, non avevano una comunità, non avevano un senso di appartenenza. E a un certo punto è arrivato un insegnante a dirgl: “Io posso darvi tutto questo.”

Quindi l’esperimento potrebbe funzionare anche oggi?

Oh, funziona anche oggi, in qualsiasi scuola. La gente mi chiede spesso se penso che l’Onda potrebbe affermarsi ai giorni nostri. E io rispondo: “Andate a vedere la scuola del vostro quartiere. Dov’è la democrazia? Parliamo tanto di democrazia, ma non la viviamo. Nessuno studente decide quali libri leggere o quali argomenti approfondire, nessuno propone di studiare come aiutarci a vicenda a diventare cittadini migliori. Non lavoriamo su queste idee. Gli studenti seguono i loro piani di studio, e qualcuno li giudica; oppure, passano da un test all’altro per essere ammessi in questa o quell’altra scuola. Ma non sono veramente loro ad avere il controllo, è qualcun altro.

Quali sono state le conseguenze dell’esperimento, per lei?

Non per colpa dell’Onda, ma per la mia battaglia contro la guerra in Vietnam e a favore dei diritti civili, sono stato licenziato da quella scuola tre anni dopo l’esperimento, e non ho più potuto insegnare in un liceo pubblico. Quindi, la mia vita ha subito una svolta drammatica e del tutto imprevista. Io volevo solo essere un bravo professore di storia e un allenatore di basket, e mantenere la mia famiglia – non chiedevo altro. Non mi è stato permesso. Ma questo mi ha costretto a cercare altri posti dove insegnare, e per altri 30 anni ho insegnato ai disabili mentali.

Che cosa pensa di Dennis Gansel, Peter Thorwarth e Christian Becker?

È stata un’avventura affascinante! Dennis ed io abbiamo comunicato per lettera ed è stata una gcosa stupenda Mi ha dimostrato grade stima e rispetto, inviandomi la sceneggiatura, e ne sono stato onorato.

Abbiamo cominciato a scriverci e a parlare di quello che succede in una classe, come si comunica con gli studenti, come si costruisce un rapporto di fiducia reciproca… Insomma, è stato come incontrare un vecchio amico, soprattutto con Dennis, perché ci siamo scritti parecchio. Ma è successa un po’ la stessa cosa con Peter.

Come scrittori sappiamo di far parte di un mondo in equilibrio precario, e cerchiamo di capirlo. A volte ci riusciamo, altre volte meno, ma siamo alla continua ricerca di risposte – che cosa sono i sentimenti, che cos’è la vita, come possiamo migliorare questo stato di cose? Ci poniamo gli stessi obiettivi. Ecco perché in alcuni momenti ci siamo sentiti come fratelli. Beh, Christian è un produttore, è un animale diverso. I produttori sono una forza della natura che riesce a metterci tutti insieme per un progetto. Sono indispensabili. Lui, poi, è incredibile – è uno che ha la forza e la capacità di passare due anni a trattare con la Sony. Chi altro avrebbe speso due anni a rincorrere un sogno? Christian è un cacciatore di sogni, e c’è bisogno di gente come lui. Ma c’è bisogno anche dei Dennis e dei Peter che poi, quei sogni, li realizzano.

Jürgen Vogel (Rainer Wenger)

jurgen-vogelNel corso dell’esperimento, Ron Jones ha osservato un bisogno profondo di conformismo nei suoi studenti. Questo, secondo lei, è vero anche per la nostra società moderna, così improntata all’egoismo?

Io credo che l’appartenenza a un certo gruppo sia molto importante anche oggi. E in un periodo come questo, in cui le famiglie si sfasciano, e la tradizionale famiglia allargata – con nonni, madri, padri, nipoti, zii e zie – ha smesso di esistere, c’è un bisogno sempre più forte di appartenenza. Non per sacrificare la propria individualità, ma per trovare qualcuno in cui potersi identificare, per cui poter mettere da parte il proprio Io. Puoi anche scegliere di militare in Greenpeace, per esempio. Loro sono così: individui con una loro personalità, che però si riconoscono in qualcosa di più grande di loro. Credo che questo sia un bisogno umano fondamentale. Qualcuno può approfittarne, certo, ma non è una cosa negativa in sé.

Com’è andato l’esperimento, dal punto di vista di Rainer, il suo personaggio?

A un certo punto, l’esperimento acquista vita propria. Prima è solo un richiamo allo spirito di squadra – qualcosa che conosciamo tutti, nello sport. Ma la domanda è: una volta che hai convinto qualcuno ad accettare disciplina e gerarchia, che cosa nei fai? Come usi questo sistema? Puoi prendere direzioni diverse: puoi andare a sinistra, oppure a destra. Ma alla fine, sono sempre la manipolazionee l’abuso di potere a rendere pericoloso il sistema, indipendentemente dall’ideologia che lo sostiene. Tanto per cominciare, Rainer non ha nessuna ideologia, a parte il fatto di credere nello spirito di squadra. Quello che succede da un certo punto in poi è al di fuori del suo controllo.

Si è mai chiesto come si sarebbe comportato in un esperimento come L’Onda?

Sono convinto che una situazione come quella che si crea nel corso di quell’esperimento potrebbe capitare a chiunque, ovunque. Quindi non mi sono chiesto cosa avrei fatto. Lo abbiamo visto accadere spesso, e può funzionare a molti livelli: manipolazione di massa, il modo in cui i gruppi interagiscono fra loro, come ci si sbarazza dei facinorosi, se integrarli o isolarli… E così via.

L’insegnante originale, Ron Jones, si è rivisto molto in lei. È una cosa reciproca?

Ron Jones è un uomo fantastico, che ha fatto cose incredibili nella vita. Tra le tante, trovo straordinario che faccia ancora musica punk. Quindi sono onorato che pensi che io gli somigli.