Incontro Attilio all’orario dell’aperitivo; sceglie lui un localino dalle pareti in legno ed un generoso buffet e, così, con una birra in mano inizio l’intervista, ben felice di lasciarmi alle spalle l’uggiosa nebbiolina serale milanese.

Mi sono preparata a fondo per questo incontro: ho studiato la biografia di Attilio e la genesi del film in questione, ho rivisto attentamente Diari, vincitore nella sezione Ecrans Juniors a Cannes, ed infine stilato una serie di domande sul mio taccuino.

Ma, complice l’informalità della situazione e la semplicità di Attilio, la conversazione si snoda a ruota libera toccando i temi più disparati: partiamo parlando di quella che è stato il percorso formativo, lavorativo e di vita di Attilio, classe ’71. Liceo classico e già adolescente una fortissima passione per la danza ed il teatro, interessi tuttora presenti (mi rivela essere un appassionato ballerino di tango argentino).

Laurea in Lettere alla Statale di Milano e sullo sfondo la costante dello scrivere, principalmente sceneggiature per corti cinematografici.
Dopo cinque anni trascorsi all’estero, alle prese con i lavori più disparati, Attilio si iscrive alla Civica scuola di cinema, iniziando con i primi commercials e proseguendo con la stesura di copioni.

Dopo anni di gavetta e vari corsi presentati e riconosciuti in più festival, ecco il confronto ed il parto di quel che è il suo primo lungometraggio, Diari, a giorni nelle sale delle principali città italiane, a partire da Milano, il 14 Novembre.

Gli domando com’è nato il progetto di Diari ed Attilio mi spiega che aveva ben chiara in testa l’idea di un film a episodi, in cui tre storie si concatenassero, mantenendo però una propria autonomia e completezza.
E, basilare, c’era l’idea e la volontà precisa di raccontare e portare in sala “il punto di vista dei ragazzi”.

Faccio notare ad Attilio come risulti pulito, gradevole, quasi surreale il ritratto degli adolescenti protagonisti del suo film.
La risposta è che, in una realtà fortemente drammatica – quale la nostra -, da cui emergono realtà sempre più allarmanti di giovani alienati, disillusi, che sfogano frustrazioni e rancori in atti di bullismo ed abuso di sostanze, la scelta precisa di Attilio era proprio ritrarre persone scelte, “selezionare ragazzi che amo, caratterizzati da una voglia di dire delle cose e alimentati da una qualsivoglia passione”.

Senza l’esigenza di trarre una morale, è presente però il desiderio di dare una voce di speranza, in un periodo cupo e in cui spesso si assiste, in campo cinematografico e non, ad una spettacolarizzazione dei disagi adolescenziali, che spesso confluiscono in una moralizzazione per lo più banale.

Mi viene poi naturale, visto il momento di alta tensione nella realtà scolastica italiana e non e considerata la recente uscita di un altro film centrato sulle tematiche giovanili, ”La classe entre les murs”, cosa ne pensi lui, Attilio, e del mondo scolastico e del parallelo exploit del film di Cantet.

Mi risponde dicendosi totalmente contrario a qualunque decisione vada in direzione di tagli a quella che è l’istituzione scolastica, mentre – per quanto riguarda la curiosa coincidenza di La Classe – fa subito notare come, se i temi toccati sono sì simili, molto diverso è il tema con cui essi vengono affrontati:
Cantet di certo rivela una vena documentarista completamente estranea a Diari.

Ad accomunare le due pellicole vi è un’altra curiosa concomitanza:
la non professionalità dei giovani protagonisti, scelti e selezionati dopo seminari (nel caso di Attilio tenuto in Brianza, luogo che fa da sfondo alle storie) e laboratori teatrali tenuti dai registi stessi.

Proseguendo con i quesiti, lo interrogo circa la figura del Padre, tratteggiata in due differenti ritratti paterni, il primo inadeguato nel suo ruolo e fisicamente assente per anni, il secondo più autoritario e tradizionalista, ma fortemente saggio e, soprattutto,è un padre che c’è.

Sì, perché il punto”, precisa Attilio, “è proprio che la figura paterna,tanto centrale ed importante nel percorso di crescita e formazione di un giovane figlio, è oggi spesso personalità debole, non presente.
E se nel film i due protagonisti ritrovano un proprio equilibrio, arrivando a riconciliarsi con i rispettivi papà, è anche e soprattutto grazie all’incontro con il terzo personaggio, l’anziano e strampalato professore in pensione, che assolverà al ruolo di padre putativo per Leo ed Alì, i due ragazzi, iniziandoli a una vita da adulti e trasmettendo loro dei saperi.

Trasmissione dei saperi e assunzione di precisi ruoli che si esplica e concretizza nell’insegnare ai due inesperti giovani a danzare armoniosamente un valzer”, aggiunge Attilio, sorseggiando birra.

Senza dunque voler lanciare un messaggio preciso, né sfociare nel moralismo o nel dito puntato a tutto contro i giovani, il film vuole però trasmettere una visione del mondo, con i suoi piccoli grandi problemi e realtà, come quella dell’immigrazione, cercando insieme di passare un senso di fiducia per il futuro.

Attilio dà un occhiata rapida all’orologio: deve andare di gran corsa, per gli strettissimi tempi milanesi l’oretta che ci siamo ritagliati è già tantissimo!

Lo saluto con il migliore degli “In bocca al lupo”per l’imminente uscita del film!