Abstracta: Parola agli autori

In occasione dell’inaugurazione del Festival del Cinema Astratto che si terra’ a Roma sull’Isola Tibertina, pubblichiamo l’intervista al presidente della manifestazione, il regista spagnolo Javier Aguirre.

Il maestro del cinema spagnolo Javier Aguirre, che parteciperà al Festival Internazionale del cinema astratto, sia come presidente di giuria che come autore di “Objetivo 40”, un suo film del 1970, che sarà proiettato durante l’ultima serata, ha concesso a Persinsala un’intervista, un’occasione preziosa per cogliere l’importanza e la ricchezza artistica di un genere, come quello astratto, sempre più vivo e centrale per ridefinire lo sguardo filmico contemporaneo, capace di coinvolgere milioni di spettatori in tutto il mondo, trasformandosi da avanguardia elitaria a fruizione quotidiana.

Un linguaggio che non parte solo da un antagonismo prettamente cinematografico, ma che convoglia e ripropone nelle sue espressioni più vive ed autentiche, l’antagonismo estetico delle avanguardie storiche, come il futurismo e l’astrattismo, le intuizioni oniriche del surrealismo, le scandalose provocazioni del dadaismo oltre che del made rady di Man Ray e Duchamp, le sperimentazioni geometriche del costruttivismo, l’esplorazione percettiva dell’universo psichedelico. Tutto queste influenze, seppur così diverse e spesso incompatibili, creano attraverso l’astrattismo cinematografico, le condizioni affinché qualsiasi narrazione sia possibile, per il semplice fatto che non esiste più una narrazione condivisa e compiuta, ma solo il vasto orizzonte autonomo dell’interpretazione soggettiva, nel puro e semplice riconoscersi in ciò che si vede e si sente, al di là di ogni categoria critica definita, la consapevolezza di sentirsi parte di un gioco, in cui la creatività umana si trova in perfetta sintesi con le deformazioni costanti della realtà, che l’arte ci propone.

Come nasce il cinema astratto e che rapporto ha – o non ha – con quello a cui è abituato il pubblico?
JA: Il cinema astratto nasce dalla necessità di fare un film senza partire dal piano narrativo tradizionale, dalla scansione spazio-temporale classica. Certo, il pubblico odierno non è più abituato a film astratti, avulsi da qualsiasi logica narrativa, carichi di un discorso estetico così lontano dalla mentalità comune, dagli strumenti con cui oggi si concepisce e si produce il cinema contemporaneo, schiavo del bisogno di raccontare storie che abbiano un senso compiuto quanto mai riconoscibile e giudicabile.

Quali sono le difficoltà per girare, produrre e soprattutto distribuire film astratti?
JA: Le riprese dei film astratti non sono difficili. La vera difficoltà sta nella distribuzione, nel trovare un produttore, oltre ad un pubblico e luoghi in cui proiettare e fare apprezzare i propri lavori, in patria come all’estero.

Lei conosce e stima anche registi italiani che girano film astratti?
JA: Molti registi che ho conosciuto al Festival Abstracta, un evento in questo senso unico al mondo, posso annoverarli tra gli “storici” del cinema astratto. Ad esempio un autore straordinario è Saul Saguatti, che con le sue formidabili opere come “La vita di Pluto” e “Anamo8bit”, ha influenzato e continua ad influenzare la produzione e l’immaginario di molti autori astratti.

Che peso ha avuto per l”astrazione cinematografica la serie dell’anticine, promossa da lei negli anni sessanta?
JA: Sono ormai passati 43 anni da quando ho realizzato il mio primo film astratto, “Uts Zero”. Non posso dire se vi sarà mai un riconoscimento ufficiale del mio lavoro, ne che peso ha avuto nell’astrazione cinematografica. Non era quello il mio obiettivo. Ma sono molto orgoglioso che il Museo Regina Sofia, il nostro primo museo d’arte contemporanea, ha acquistato tutta la mia prima sessione dell’anti-cine, promuovendone la storia e gli sviluppi.

Crede che sia un’esperienza ancora attuale?
JA: Sicuramente è un’esperienza ancora attuale ed attiva. Ed è per questo che continuo a fare film su questa linea.

Ci sono ancora delle tracce evidenti dell’anticine nelle sue ultime produzioni, da Zero infinito a Medea 2, passando per Variaciones 1 – 113. Ma che differenza c’è con gli anni sessanta?
JA: “Zero infinito” e “Variaciones 1-113” sono due film totalmente astratti, il tentativo di ribadire l’astrattismo cinematografico alle soglie del XXI secolo. Mentre “Scattering di luce” rappresenta a pieno la sintesi tra astrazione e surrealismo, “Medea 2” è un’operazione più breve e precisa di un linguaggio astratto. Non vedo differenze con gli anni sessanta, semmai un’evoluzione che attraversa costantemente il mio cinema.

Pensa che questo Festival sia in grado di rispondere alla crescente domanda di cinema astratto e che prospettive intravede per l’astrazione?
JA: L’obiettivo del festival è testimoniare che il cinema astratto esiste ed è parte integrante di un’avanguardia che, come dice la parola stessa, è avanti, cogliendo ciò che siamo nel preconizzare ciò che saremo.

L’astrattismo contemporaneo è semplicemente il residuo di un’avanguardia, oppure un modo attraverso cui oggi è possibile dare voce ad un antagonismo artistico internazionale?
JA: Un antagonismo non solo cinematografico, ma che sappia ripartire dalle straordinarie esperienze del surrealismo astratto, del dadaismo, dell’interconnessione arte- op art, del costruttivismo, che ritrovi in sé le creazioni del made ready, la casualità, l’oggettivismo, l’universo psichedelico, tutte elaborazioni che si trovano all’origine della cinematografia astratta ma che vanno sviluppate ed aperte all’esplorazione.