Bruxelles International Fantastic Film Festival

Definito da La Repubblica “il più importante festival europeo di fantascienza”, il BIFFF è una delle manifestazioni più stravaganti e rinomate a livello mondiale che si occupano del cinema di genere.

A ogni edizione mobilita intorno a sé la capitale Belga, attirando appassionati da tutto il mondo durante il mese di aprile, da ormai quasi 30 anni.

Il BIFFF non solo ha il pregio di fare da vetrina ad anteprime mondiali, ma grazie all’inventiva dei suoi organizzatori allestisce tutta la città a festa. Chi ha l’occasione di andarvi, avrà pertanto modo di partecipare agli imperdibili dibattiti con i più importanti registi del settore (ricordiamo che ha avuto come ospiti film maker del calibro di Sam Raimi, Terry Gilliam, Roger Corman, Luc Besson) e potrà anche scatenarsi durante i numerosi spettacoli d’animazione che prevedono travestimenti, body painting e feste a tema, fra cui spiccano una Zombie Parade e il conclusivo Bal des Vampires.

Il festival crea così un’opportunità pressoché unica per ampliare le proprie conoscenze aprendosi ad un modo festosamente bizzarro di stare insieme e, perché no, del tutto nuovo di giocare a sé stessi.

Collateralmente alla personale passione che si ha per il cinema, è questa sua capacità straordinaria di regalare al proprio pubblico un’esperienza totalizzante a rendere il festival meta sacra per gli appassionati del fantastico. Dopotutto, grazie al suo programma, negli anni è diventato un’istituzione talmente accreditata da potersi permettere di levare i panni seriosi e paillettati che, altrimenti fosse, il suo ruolo prevederebbe, per indossarne di più folcloristici e adeguati all’atmosfera che si prefigge di far respirare.

Freddy Bozzo, attuale vice-presidente, è uno dei fondatori del BIFFF. È anche grazie alla sua determinazione ed energia che fin dalla prima edizione il festival ha potuto – così come ha ricordato Première Magazine – prendere sul serio l’etimologia che la parola racchiude, senza che ne venga mai messa in discussione la ricchezza artistica dei contenuti.

La prima edizione del festival risale al 1983. Come nasce e come prende vita l’idea di creare una grande manifestazione dedicata al cinema di genere?

FB: E’ quasi una storia di famiglia! L’idea nasce da un desiderio comune mio e di Annie, mia sorella, insieme ad altri due fratelli, Guy e Georges Delmote,  con un’amica d’infanzia, Gigi Etienne.

E’ da questo legame che è cominciato tutto.

Già separatamente lavoravamo in ambito culturale, ma i campi sui cui operare erano troppo vasti.

Abbiamo allora deciso di dedicarci unicamente al cinema e siamo partiti con dei cineclub.

Abbiamo fondato la Peymey Diffusion, dal dialetto fiammingo peimei (ragazze e ragazzi), ed essendo tutti appassionati di fantascienza, ci siamo dedicati a questo tema, iniziando con delle rassegne. Vedevamo il genere soprattutto come una risorsa perché era sì conosciuto, ma ancora poco riconosciuto.

Non era accreditato e meritava di essere valorizzato. In Europa non c’erano molti festival che si occupavano di questo. Così nell’82 abbiamo dato vita alla prima retrospettiva.

Iniziare con una retrospettiva aveva per così dire una funzione “pedagogica-didattica”, serviva ad introdurre il genere. Il nostro primo ospite fu Andrzej Zulawski con il suo film Possessions, diventato ora un vero cult-movie.

Nell’anno successivo diventiamo un vero e proprio festival di genere. Forse anche aiutati dalla nostra posizione – d’altro canto Bruxelles è nel centro dell’Europa – riusciamo a contare quasi 30.000 presenze, che è notevole per una prima edizione. Quell’anno vinse il premio della critica Le dernier combat di Luc Besson. Era alla sua prima regia di lungometraggio.

Come si gestisce un festival così prestigioso? In Mad Movies ne hanno parlato addirittura come della più importante manifestazione mondiale consacrata al cinema fantastico.

FB: L’elemento più prezioso che alimenta il festival è la passione di tutti coloro che vi collaborano. Poi, in realtà, la gestione è piuttosto semplice: ognuno ha il suo ruolo e tutti sono specializzati in qualcosa. Io mi occupo per esempio della programmazione mentre  la selezione la facciamo insieme. Guardiamo quasi 400 film a testa all’anno e andiamo in giro per festival. Poi c’è chi lavora all’animazione e agli allestimenti, che è fondamentale per immettere gli spettatori nell’atmosfera fin dall’inizio, o chi va a caccia di sponsor e parla con le istituzioni o chi gestisce le traduzioni (i film sono trasmessi in fiammingo, francese e inglese). E’ un mestiere vero e proprio  che tiene occupati tutto l’anno.

In più a darci un notevole aiuto, e questo avviene fin dalla prima edizione, ci sono molti volontari e universitari delle facoltà di comunicazione che fanno lo stage presso di noi. Ho visto studenti diventare adulti e fondare il loro personale festival o retrospettiva. Il BIFFF è cresciuto insieme alle persone che vi lavoravano man mano e con l’appoggio dei professionisti come i critici e i giornalisti che ne hanno ammesso il valore. In seguito ovviamente sono arrivati i distributori e i produttori che l’hanno riconosciuto come una piattaforma importante e hanno iniziato a darci delle anteprime, come quest’anno è stato per Les aventures extraordinaires d’Adele Blanc Sec, tratto dall’omonimo fumetto franco-belga, che vede Bresson in veste sia di produttore sia di regista.

Il festival ha quasi 30anni. Come si è evoluto il  cinema fantastico-fantascientifico nell’arco di questo trentennio?

FB: Il Bifff è nato subito dopo il grande successo di quelli che poi sono diventati dei grandi classici del genere: Star Trek, Guerre Stellari con tutte le sue saghe,  L’Esorcista, Mad Max.

Era un tipo di film meno “d’autore”, più spettacolare, se vogliamo, cresciuto su una cinematografia che stava morendo, fatta di grandi attori e grandi produzioni.

Noi invece abbiamo dato fin da subito ospitalità ad autori come Dario Argento con i suoi horror o John Carpenter i cui lavori erano considerati di serie B. Inoltre abbiamo dato spazio a registi provenienti da Paesi allora di sicuro non rinomati per le produzioni cinematografiche quali Hong Kong e l’Asia in generale, l’Australia, la Scandinavia.

Per quanto riguarda l’epoca odierna, mi pare che stiamo approdando a un genere molto splatter-gore dove le scene di tortura e violenza sono predominanti. Anche in questo ambito cerchiamo di abbattere barriere e pregiudizi e di non usare filtri. Alla fine  mostriamo anche la violenza per quello che è, ma è pur vero che lo facciamo grazie a un approccio, se così si può definire, didattico: i registi sono partecipi dei dibattiti col pubblico e quindi lo guidano.

Degli effetti speciali che dice?

FB: Sono stati usati subito e troppo! Il cinema è prima di tutto storia, narrazione. Il cinema è sogno! E’ un’industria del divertimento, non della settima arte. E’ un parco giochi, per cui bisogna trovare la giusta misura nell’uso di effetti speciali. Ci sono film che si può dire essere solo quello. Purtroppo, il sistema americano delle major investe molto sull’effetto speciale, sulle sue innovazioni. Spinge così tanto sulla pubblicità fatta in questo senso per attirare il pubblico che quasi uno si sente in colpa nel non vedere un determinato film. E’ un peccato che ormai il controllo c’è l’abbia tutto l’azienda e non più lo sceneggiatore o il regista. Molti registi si sono fatti mangiare da Hollywood in questo modo, perdendo credibilità e smettendo di dare il giusto peso alla storia che è di fatto la materia prima del film perché nasce nell’immaginazione, dove tutto è possibile. A nostro favore, riconosco che almeno in Europa si è raggiunto un punto di equilibrio fra la narrazione e il mezzo cinematografico che viene utilizzato per portarla al grande pubblico, mentre negli Stati Uniti si tende a dare priorità soprattutto ai cosiddetti blockbuster.

Alla fine accade che i film più importanti in questo genere siano ancora i più datati, quelli con pochi effetti speciali, oppure quelli dove il pubblico fatica a notarli, come accade ne Il Cavaliere Oscuro, che nonostante sia una grande produzione è un film completo in ogni sua parte, dove si nota come Nolan sia un regista e produttore  molto preciso che ha avuto, anche in questo caso, il controllo su ogni parte della lavorazione. Ecco, in certi casi lo spettatore è talmente colpito e coinvolto dalla narrazione che quasi non nota l’effetto speciale.

Durante questo periodo sono stati ospiti (e vincitori) diversi registi di rilievo, da Luc Besson, cui abbiamo già accennato, a Kate Bigelow (premio oscar 2010 per la miglior regia con The heart locker) passando per Sam Raimi e David Cronenberg. Di chi ha il ricordo più bello?

FB: Di nessuno in particolare. Incontrarli è stato normale, naturale. Certo, bisogna andare contro dei preconcetti che naturalmente ti fai guardando le loro opere. Non sono per niente chiusi e sentono tutti il bisogno di scoprire e di alimentare il proprio immaginario. Di solito hanno un atteggiamento inverso rispetto a quel che ti immagini e i più serafici sono quelli in grado di dirigere i film più terrificanti e di creare gli scenari più assurdi e catastrofici, come nel caso di Cronenberg. E’ come se certi autori trasfigurassero nei loro film.

Solo chi viene accompagnato dal proprio impresario, che gli indica cosa dire e fare, ha magari inizialmente un atteggiamento più impettito. Ricordo, per esempio, un Peter Fonda arrivato molto risoluto e che si è lasciato andare solo in seguito. Alla fine però tutti cedono e si abbandonano all’atmosfera del festival. Credo sia anche perché sono accomunati da un forte bisogno di verità: il cinema è comunque un mondo fittizio e ciò che loro fanno di conseguenza lo è. Il Bifff invece è costruito in modo tale che anche chi ha delle barriere, alla fine le abbatte. Lo fa proprio “vivere”, il cinema.

E Vincent Price? Impossibile non chiederle di lui sapendo che l’ha conosciuto…

FB: Ahimé era troppo anziano per venire in Belgio, così siamo andati noi nella sua grande villa a Hollywood. Siamo stati ricevuti in casa come dei principi e abbiamo trascorso insieme un intero pomeriggio. Amava molto le persone e i suoi cani da cui era circondato. Aveva un atteggiamento molto  aperto nonostante vivesse da solo con la sua governante in questa casa enorme. Era un grande collezionista di opere d’arte prestigiose, possedeva perfino dei Picasso. I suoi modi di fare erano molto raffinati ed era estremamente acculturato, sapeva di tutto: di arte, di poesia, di musica. Abbiamo ritrovato il mito del cinema, ma con la persona umana dietro. La casa, dagli interni così antichi e maestosi nonostante gli esterni molto moderni, faceva ripensare ai personaggi dei suoi film. E’ morto l’anno successivo.

Quest’anno il Corvo D’oro (miglior film in concorso) è andato a The Orphan di Collet-Serra. Perché a un film così violento e così contestato, tanto da far chiedere alle associazioni pro-adozione di boicottarlo?

FB: Per tutto. Certo, a volte non c’è coesione fra il giudizio del pubblico e quello della critica, tant’è che il premio Pegaso (premio del pubblico) è andato a Vampires di Vincent Lanoo. Ma the Orphan è un film completo, ha veramente qualcosa da dire in più campi. Non è solo un film sensazionalista, è uno di quelli che ti porti a casa anche dopo la visione, che ti lascia qualcosa perché ti emoziona oltre ad impressionarti.

Di questo film è stato premiato tutto ciò che c’è, anche dietro e oltre la visione.

Lo spettatore tende ad identificarsi nel film o in un suo personaggio, a volte armonizzando il contesto e i contenuti del film con la propria vita. Perché avviene questo processo d’identificazione nell’horror a cui date molto spazio nel Bifff e che è comunque una tipologia molto amata? In sintesi: qual è la necessità per uno spettatore di provare ansia e paura?

FB: Il vero horror lo vediamo tutti i giorni al telegiornale mentre pranziamo…

Comunque sia la paura è una fenomeno di difesa e il cinema ha il pregio di far cadere le difese e di far crescere la voglia di provare emozioni. All’interno del festival, per esempio, grazie alla condivisione di questo bisogno di sorpresa, è più semplice lasciarsi andare. Ma se uno guarda un horror da solo a casa è diverso; in quel caso si vuole avere paura e la paura nasce sempre dall’ignoto, dal fatto di non avere controllo.

A pensarci, è qualcosa che si ricerca per tutta la vita: mettere in gioco la propria esistenza, avvicinarsi alla morte, dopo la quale non sappiamo cosa ci aspetta. Forse ci pare che accostandoci al baratro siamo meno lontani dalla conoscenza, da una soluzione. E’ lo stesso che buttarsi col paracadute.

Per ricollegarci a prima, c’è poi da dire che ancora oggi i film più angoscianti sono quelli con meno effetti speciali, quelli alla Hitchcock per intenderci, che agiscono sulle emozioni personali pur trattando temi universali. Creano un sospeso nello spettatore che nutre la sua immaginazione: è l’immaginazione che nutre il cinema e viceversa.

Il cinema è sempre un riflesso della società. Cosa rappresentano i vampiri che vediamo ora in serie tv come True Blood, The Vampire Diares, Being Human e soprattutto nella saga di Twilight?

FB: I vampiri non hanno mai abbandonato il cinema. E’ interessante però vedere come ora viene ricreato il personaggio del vampiro, che è di per sé una figura  romantica anche se  contraddittoria poiché si nutre di sangue che è amore, ma anche paura. Il vampiro unisce e allontana, attrae e respinge. Al giorno d’oggi, il vampiro che ci viene mostrato è una figura molto pudica.

Viene fatta una specie di rivisitazione di Romeo e Giulietta – d’altro canto la storia è quella – perché nessun adolescente si guarderebbe la versione di Zeffirelli. Con Twilight in particolare, si va a caccia di un certo pubblico molto ampio. Indipendentemente dalla figura del vampiro, con storie così le major vanno sul sicuro perché si accaparrano la generazione che le segue.

Il mondo d’altronde sta cambiando, lo notiamo anche in ambito musicale e con i reality shows.

Si creano dei fenomeni che non sono destinati a durare, sono soggetti ad obsolescenza rapida, come la tecnologia. Le saghe come Twilight altro non sono che fenomeni di consumo con una loro scadenza. Fanno appello ad emozioni già esistenti, sicure, alla bellezza degli attori. Al giorno d’oggi, i vampiri come quelli che abbiamo conosciuto nel primo Nosferatu del 1922 fino ad arrivare al Dracula di Francis Ford Coppola sono stati “epurati” per abbracciare delle storie comuni per conquistarsi (e comprarsi) i giovani. Sono sì dei Romeo e Giulietta della modernità, ma che non hanno nemmeno il pregio di agire  in maniera innovativa.

Il film della sua vita?

FB: Impossibile rispondere. C’è ne sono troppi. E’ un insieme di tutti quelli che ho visto e che mi hanno impressionato sia negativamente che positivamente. Devo però riconoscere che, come in tutti i campi artistici, i capolavori sono rarissimi.

Qualche anticipazione sull’edizione del 2011?

FB: Troppo presto per parlarne. Continueremo sulla stessa strada e il resto dipenderà anche dalle produzioni. Cercheremo di dare spazio ai giovani e a un certo tipo di cinematografia che non trova posto altrove. Bisogna dire che, nonostante la maggioranza di loro abbia lavorato nell’ambito della fantascienza e dell’horror (anche Kathryn Bigelow è stata premiata col Corvo d’argento per Il buio si avvicina nell’87) i produttori e i registi stessi hanno paura di definire i propri lavori come appartenenti al genere. Purtroppo, ancora oggi i promotori temono che i film con una tale marchiatura non abbiano seguito. Si cerca un’alternativa per attirare un pubblico più “familiare”. Se si pensa che un film come Starman di Carpenter venne  all’epoca da alcuni definito come una storia d’amore e a distanza di  25 anni lo stesso The Orphan un thriller… Certi pregiudizi sul genere ancora permangono. Noi cerchiamo semplicemente di abolirli e, per attirare le famiglie, abbiamo in programmazione dei film dedicati all’infanzia.

Com’è la situazione in Belgio per quanto riguarda i budget riservati ai film festival? Qui in Italia stanno continuando a tagliare i fondi riservati alla cultura.

FB: In Belgio meno dell’1% del budget nazionale viene riservato alla cultura. Noi riusciamo a ricevere sovvenzioni sia dalla comunità francese sia da quella fiamminga; però, volendo essere neutrali politicamente, prendiamo meno soldi da parte delle istituzioni e negli ultimi tempi anche i privati tendono a investire di meno. Il nostro principale problema è che i cinema di Bruxelles sono troppo piccoli per il nostro seguito e dobbiamo trovare locations abbastanza grandi da poter ospitare il pubblico in sala e che abbiano inoltre uno spazio da poter riservare ai dibattiti e alle feste. Attrezziamo daccapo questi luoghi affinché soddisfino le nostre esigenze: dobbiamo insonorizzare, portare le sedie, le apparecchiature, occuparci degli allestimenti, eccetera. E’, in pratica, un investimento nuovo a ogni edizione, ma la fatica viene ricompensata da un pubblico che si rinnova continuamente  e che è arrivato nel 2010 a superare le 60.000 presenze.