Settima prova – 3 settembre 2012

Continua la ricerca da parte mia e degli attori di gesti che siano i correlativi oggettivi del testo, in un percorso al contrario in cui da un’emozione interna nasca un elemento esteriore, visibile agli altri. Forse il mio teatro più vero consiste in questo. Licia e Giuseppe, senza che io gliel’abbia mai spiegato in questi termini, sono stati quasi subito a loro agio in questa ricerca, come se fosse qualcosa di naturale. Con Giuseppe esploriamo ancora i possibili rapporti tra lui e le “ferite” del cartone, che egli stesso gli ha inflitto. Insiste anche l’allenamento per conoscere come relazionarsi con la luce sagomata che cade dall’alto, in una dicotomia insistita tra epifania e sottrazione.

Ottava prova – 10 settembre 2012

Il colore dell’abito che indosserà Licia è scelto, sarà il bianco. Le dona molto e, inoltre, bilancia sul palcoscenico la luce rossa che si appoggia sul cartone. Non ancora paghi di quanto trovato finora, proviamo altri modi di apparire alla scena dello strumento che, colpendolo, romperà l’integrità del cartone. E dato che si va verso l’inizio della scuola, iniziano a spuntare in scena un banco ed un righello…

Nona prova – 01 ottobre 2012 – parte prima

Presente alla serata è anche Dario, compositore delle musiche. Per la prima volta Licia e Giuseppe provano con tutte le musiche composte finora. Devono prendere confidenza con esse, per usarle al meglio. Infatti, l’azione si appoggia alle musiche nei miei spettacoli, e non il contrario, come molte volte mi è capitato di capire guardando altri spettacoli, in cui la musica era versata quasi come fosse una glassa sulla scena e sulle azioni presenti. Componiamo le musiche sulle scene già costruite affinché il suono musicale sia strumento di lavoro e di espressione per gli attori. Licia e Giuseppe ne sanno fare un ottimo uso.

Nona prova – 01 ottobre 2012 – parte seconda

Ancora tutta da trovare è la scena che si svolge sul banco. Amo molto il monologo di Licia, scandito dal righello che sbatte letteralmente sul banco, in un gesto ripetuto tante volte da molti di noi quando erano studenti per sentire “il rumore che fa”. Nel proseguo del testo le voci di Licia e Giuseppe si intrecciano in modo fitto, e questo ci dà lo spunto per rendere visivamente questa sorta di fusione. Troviamo un’unità di tempo e di luogo, il banco, dove possanno esserci e confondersi, in una continua alternanza tra luce e buio.