Su tutti i vivi e sui morti

Recensione Siccità. Paolo Virzì unisce il filone comico e la componente drammatica del proprio cinema in Siccità, film corale che trae le somme da tre anni di pandemia.

Vivere senza pioggia: è questo lo scenario distopico da cui parte Siccità, il nuovo film di Paolo Virzì presentato con grande successo alla Mostra del Cinema di Venezia anche se fuori concorso, e riproposto anche nella programmazione del I grandi festival, la rassegna dell’ANEC che ha portato a Roma e a Milano alcuni dei titoli della Biennale, del Festival del Cinema di Locarno e della Croisette di Cannes. Siccità è uno dei film più corali di Paolo Virzì, mette assieme volti noti come quelli di Silvio Orlando, Valerio Mastrandrea, Claudia Pandolfi e Vinicio Marchionni accanto a più giovani come Sara Serraiocco, Emanuele Di Stefano, Gabriel Montesi e la debuttante Emma Fasano.

Se in passato la carriera di Virzì poteva essere etichettata in gran parte sotto la categoria della commedia d’autore, con occasionali incursioni nel drammatico come nel caso de Il capitale umano, alcuni dei suoi ultimi titoli come Ella & John, La pazza gioia e Notti magiche avevano piuttosto scombinato le carte, mescolando indifferentemente il dramma e la commedia in dramedies che, film americano a parte, avevano sempre riportato buoni risultati ai botteghini. Siccità radicalizza ulteriormente questa tendenza del cinema del regista livornese, che qui plasma una vera e propria visione post-apocalittica che sembra voler trattare in chiave fantascientifica-esistenziale il trauma di tre anni di pandemia di Coronavirus, senza rinunciare per questo a momenti di leggerezza o a veri e propri siparietti comici. Non per nulla in Siccità torna a vestire i panni di attrice anche Emanuela Fanelli, adesso nota soprattutto per il successo di un programma televisivo un po’ supra-generes, ma certo satirico, come Una pezza di Lundini.

Siccità è un film che bene o male rappresenta un vero e proprio unicum nel panorama italiano: in un modo analogo ma tutto sommato più profondo del Jeeg Robot di Mainetti abbina l’abituale «disagio delle periferie» con cui retoricamente fin troppe volte il cinema nostrano si è fatto scudo (anche politico), all’interno di uno scenario distopico che al tempo stesso traspone in chiave fantasiosa quanto realmente accaduto nella capitale e in tutto il mondo, ai tempi del Coronavirus. A dimostrare questa “complessità” è, per esempio, il fatto che, già verso l’inizio della storia, a tutte le problematiche legate all’assenza di pioggia si aggiunga anche una misteriosa malattia, forse causata dalle blatte, che provoca nei contagiati una crisi di sonno prolungata e mortale. Come alcuni dialoghi non mancano di evidenziare, in maniera anche superflua, la siccità del titolo è però uno status di cose anzitutto emotivo, un’aridità interiore che comporta sterilità nei rapporti interpersonali. Non per nulla, coppie a parte, i legami che legano protagonisti apparentemente distanti del film sono invisibili eppure strettissimi, alcuni dei quali emergono solo nel finale.

Notevole poi il team di sceneggiatori: oltre a Virzì, le firme sono di due premi Strega (Francesco Piccolo, Paolo Giordano) e dalla regista Francesca Archibugi. Siccità si pregia inoltre della fotografia di un maestro del calibro di Luca Bigazzi, sette volte vincitore del David di Donatello, il quale, dopo il termine della collaborazione con Paolo Sorrentino, ha saputo genialmente reinventarsi prima con le tonalità courbetiane de L’intervallo di Di Costanzo e adesso con la palette metà realistica e metà psichedelica di questo nuovo film di Virzì, che segna la seconda collaborazione tra i due dopo Ella & JohnThe Leisure Seekers. Solo il montaggio ha dei momenti di sbalzo, con dei jump cut immotivati, con tutta evidenza dovuti a problemi di continuità sul set piuttosto che all’indubbia maestria di un montatore di livello come Jacopo Quadri. Significativo anche il cast: su tutti, spicca la coppia Tommaso Ragno ed Elena Lietti, che già si era imposta sul piccolo schermo con la serie d’autore Il miracolo di Nicolò Ammaniti. Il duo qui interpreta una coppia di genitori egualmente disfunzionali nonostante la totale diversità di carattere. Interessante anche la prova di Mastrandrea, più sfatto, dissociato e sull’orlo dello sfinimento di qualunque altro personaggio interpretato nell’arco della sua carriera.

Il discorso in fondo è sempre lo stesso: il cosiddetto cinema di genere, in Italia, sembra morto sin dagli anni ottanta, ma sempre più film, provenienti tanto da realtà nuove come Groenlandia di Matteo Rovere, quanto da autori già affermati come Gabriele Salvatores e adesso Virzì, sembrano voler scardinare questo paradigma politico-creativo-produttivo. Generalmente i film in questione – che abbracciano uno spettro tutto sommato ampio, che va da Il ragazzo invisibile a Il primo re, da Mondocane fino a Siccità – oscillano tra una smaccata imitazione dei modelli americani e il ripiegamento nelle tematiche comunque usuali del cinema italiano “canonico”, tra drammoni famigliari e altrettanto apodittici discorsi sul disagio delle periferie. Se Siccità ha, in tal senso, un merito è quello di evitare la prima delle due cose, pur non disdegnando la seconda: guardando a volo d’uccello la filmografia di Virzì, certo è più sperimentale e proprio per questo meno compiuto rispetto a un caposaldo come Il capitale umano. Tuttavia, Siccità si posiziona comunque ai primi posti tra i suoi titoli più significativi e potrebbe segnare un nuovo corso per uno dei registri bene male più continuativi, in termini anzitutto produttivi, della realtà cinematografica italiana. Alberto Crespi, dalle pagine de La Repubblica, aveva garantito che Siccità era «il film per il quale dovete tornare al cinema, appena Venezia sarà terminata»: forse l’ultima fatica di Paolo Virzì non segna il film più imperdibile dell’anno ma, tra Gianni Amelio e Andrea Pallaoro che replicavano la loro usuale poetica ed Emanuele Crialese che abbandonava l’onirismo a favore dell’autofiction, Siccità è stato senz’altro uno dei film italiani più originali e innovativi presentati alla Biennale. Resta da vedere cosa ha fatto Luca Guadagnino, con il suo Love and Bones in uscita a novembre, sua seconda avventura nell’horror dopo il controverso Suspiria.

Titolo: Siccità
Regista: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Francesca Archibugi, Paolo Giordano, Francesco Piccolo, Paolo Virzì
Attori principali: Valerio Mastrandrea, Silvio Orlando, Vinicio Marchionni, Sara Serraiocco, Gabriel Montesi
Scenografia: Dimitri Capuani
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Jacopo Quadri
Costumi: Ottavia Virzì
Produzione: Wildside, Vision Distribution
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 1h40
Genere: commedia, drammatico, fantascientifico
Uscita: 29 settembre 2022