L’atto creativo

L’atto creativo è il nome del laboratorio interdisciplinare sugli stimoli creativi – che si snoderà nell’arco di circa dieci settimane – nato da un’idea di Daniele Luchetti e realizzato dagli allievi della Scuola Nazionale di Cinema, teso a favorire una riflessione collettiva sul tema della creatività e sulle sue molteplici declinazioni.

Un’intera classe di giovani aspiranti attori attende l’arrivo del maestro Bertolucci; l’aria si satura nell’attesa; la tensione è alta; eccolo finalmente, accolto con una salva di applausi degni di una rock star.

Lo spettacolo ha inizio; è difficile descrivere le emozioni, le evocazioni e le immagini che evoca la straordinaria affabulazione di Bertolucci, attraverso cui è possibile rivivere più di cinquant’anni di storia del cinema italiano; dal suo esordio come aiuto-regista di Pasolini in Accattone (un rapporto col poeta friulano intenso e familiare, essendo già intimo amico del padre Attilio, anch’esso poeta), alla prima regia de La commare secca del 1962 (su soggetto dello stesso Pasolini) e alle prime sperimentazioni italiane di quella nouvelle vague – che, attraverso Godard, incendiò le coscienze di molti giovani registi dell’epoca (primo fra tutti Bellocchio), evidenti in Prima della rivoluzione (1964); dalla sterminata ricchezza espressiva – che gli permise di mettere in fila un capolavoro dietro l’altro, La strategia del ragno (1970) Il conformista (1970) Ultimo tango a Parigi (1972) e l’epico Novecento (1975) – alla consacrazione definitiva con i nove oscar vinti con l’indimenticabile L’ultimo Imperatore (1987), che ha davvero posto il sigillo a un cinema che sapeva ancora “pensare in grande.”

Una storia narrata senza sforzo, a mo’ di aneddoto, di battuta, di confessione amichevole, pungolata dalle domande di Luchetti, a suo agio nel dialogare con uno degli artisti più sensibili e “artigianali” del nostro cinema, per il quale creatività è sinonimo di messa in scena del sogno e realtà fa rima con fantasia, in un intreccio unico tra ricerca visiva e sperimentazione linguistica. Un maestro in grado per la prima volta di elaborare una dialettica innovativa tra movimento di macchina e ottica, tra luce e ambiente (grazie anche all’insuperabile fotografia di Vittorio Storaro), e di tenere insieme scrittura e regia, concetto ed azione, promuovendo un’idea di cinema unitaria e unificante, mai dispersiva e frammentata.

Per Bertolucci la magia del grande schermo non nasce o muore nella proiezione, nella pura e semplice fruizione visiva, percettiva, ma risiede nel “fare” il cinema, nel costruire pazientemente, esteticamente un immaginario, un gusto personalissimo, un’epica, una mitologia concreta, viva e quotidiana attraverso cui gli uomini concreti, in carne e ossa, possano, anzi debbano, riconoscersi e rintracciare le proprie vite, cambiarle se necessario.

La vocazione nacque nella sua provincia parmense, quando sedicenne andava a girare le campagne o l’uccisione del maiale (una sequenza straziante ma pregna di quel candore poetico agreste tanto caro a Pasolini, che ritroveremo in Novecento), già avido di registrare, fissare quello scorrere fisico-temporale sfuggente, animalesco, erotico-sensuale, che diverrà poi la cifra stilistica di tutto il suo cinema. Dietro ogni volto, ogni gesto, ogni attore, vi è una storia, un mondo; ed è ciò che il cinema deve saper narrare, tirar fuori dal magma confuso ed evanescente del quotidiano, dando voce agli istinti e agli umori più genuini e infantili dell’essere umano, alle prese con la sua ansia insaziabile di felicità, con i dolori e i lutti più atroci. L’uomo, insomma, a 360 gradi.

Ed è propriamente questo che Bertolucci intende per “atto creativo”, in una spirale affascinante di curiosità e riflessioni personali, attraverso cui la straordinaria sensibilità dell’artista e del poeta, emerge senza però offuscarne l’umiltà, facendo risaltare proprio quel tocco d’amanuense, di sapiente manovale della costruzione dell’immagine, del montaggio di emozioni, che lo ha reso grande, unico nel mondo.

Nella sua regia nulla è scontato, ogni dettaglio, anche il più apparentemente inutile o triviale è importante e deve essere messo in risalto per come merita (allievo in questo di Sergio Leone che lo volle, assieme a Dario Argento alla sceneggiatura di C’era una volta il West).

Un’umiltà che traspare fortissima nelle precise e accattivanti risposte, mai banali, ma sempre ricche di spunti critici e di riflessione profonde, date alle numerose domande degli allievi, a cui dispensa consigli e battute, autoironia e manifesti programmatici per l’avvenire, strategie e proposte, come se anch’egli fosse seduto, allievo fra allievi, studente fra studente, ad ascoltare il suo maestro, dimenticandosi il ruolo e lo spessore storico del suo personaggio.

Nella denuncia della mediocrità e dell’idiotismo televisivo – responsabile, secondo lui, dell’imbarbarimento culturale di un intero paese e della scarsa qualità del cinema italiano -, nel poco coraggio di produttori e addetti ai lavori di oggi nel promuovere nuove storie e dare spazio a registi e attori esordienti (ricordando che a 21 anni ebbe l’onere e l’onore di girare La commare secca senza aver mai fatto scuole specialistiche, grazie a produttori che videro in lui un talento e una promessa), nel riappropriarsi critico di una narrazione che riparta dalla realtà concreta, da storie profonde che toccano visceralmente le coscienze, le esistenze, dalla ridefinizione progressiva di cosa sia o possa essere oggi il cinema, il teatro, l’arte, vi è tutta l’eredità di un magister che non vuole mai mettere la parola fine al suo discorrere, lasciando a noi, ai suoi allievi, ai suoi avidi e insaziabili spettatori, l’ultimo applauso.

Centro Sperimentale di Cinematografia
Scuola Nazionale di Cinema
Lunedì 4 luglio – ore 10.00

ha presentato
L’atto creativo
incontro con Bernardo Bertolucci
moderato da Daniele Luchetti