In occasione di Artelibro, prestigiosa manifestazione sull’editoria e dintorni, svoltasi a Bologna nei giorni scorsi, ha avuto luogo una presentazione di Vittorio Storaro, tre premi Oscar indiscussi come miglior fotografia : migliore fotografia che Vittorio Storaro ha vinto per i film “Reds” di Warren Beatty, “L’ultimo Imperatore” di Bernardo Bertolucci e “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola.

Si pensava che con l’alfabeto chiaroscurale usato per le luci Storaro amasse Caravaggio fin dalla più tenera età e che fosse cresciuto all’ombra della “Conversione di San Matteo” , con le sue figure che escono modellandosi dall’ombra, invece l’indiscusso Maestro ha ammesso che in “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci l’idea di una Parigi azzurra era relativa al fatto che a causa del buio fin dalle prime ore pomeridiane, indispensabilmente le luci dovevano accendersi presto, e dunque il riverbero azzurrino delle luci a miscela fredda accompagnavano l ’intero svolgersi del pomeriggio della città. Ben lungi da Storaro l’idea della corrispondenza delle luci alle emozioni, sensazione più volte declamata e resa cinematograficamente da Claude Chabrol, blu e rossi accanto alle emozioni. ( Per esempio si pensi allo sfondo blu/rosso nel dialogo con l’ex amante di Madame Bovary del 1991 di Chabrol).

Accanto a “Ultimo tango” alcuni ricordi, il fatto, ad esempio, che le attrici scelte rimanevano tutte incinta e quindi si è dovuto scegliere un’attrice nuova (Marie Schneider), che Marlon Brando era alle prese col “Padrino” e che quando uscì, negli States ebbe difficoltà e soprattutto sembrò un plot, e la data delle riprese slittava continuamente.

Il chiacchericcio di “Ultimo tango” raccontava che Brando, vedendo la gioventù e la genialità di Bertolucci offrisse con un compenso minimo le sue esose prestazioni professionali (infatti il secondo Padrino per motivi economici lo fece l’esordiente De Niro ) , l’unica garanzia che chiedeva la superstar era il grand hotel per tutta la durate delle riprese.

Vittorio Storaro ha smentito e ha detto che questa era appunto, una leggenda metropolitana.
Quando approdò alle luci cinematografiche Storaro ha raccontato di essere a digiuno dei grandi maestri della pittura italiana, una cultura di immagini e di storia dell’arte che ha recuperato in un secondo momento, accanto alla lettura della grande classicità italiana che affascina tanto il pubblico internazionale.
Ricordi di storia del cinema come un taccuino di ricordi personali, l’amicizia con Coppola.

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Di Francis Ford Coppola Storaro ha raccontato alcuni episodi relativi ad “Apocalipse now”. Quando arrivano i soldati con una marcia trionfale di Wagner e gli animi (americani) paiono placarsi per l’arrivo dei nostri, immediatamente la telecamera inquadra i bambini che escono da scuola (in Vietnam come in tutto il mondo i bambini vanno a scuola). E da lì l’orrore della guerra, soprattutto di una conclamata guerra giusta …
Secondo Storaro il cinema di Coppola era fortemente sperimentale, e ciò l’ha fortemente penalizzato, pur non proibendogli di alimentare meravigliosamente la storia del cinema.

Il rapporto col colonnello Kurtz, “Apocalipse now”,  il mosaico di quel viso di Brando che veniva a composi nel vuoto assoluto, di una dimensione cinematografica che persino suggeriva l’odore dei cadaveri smembrati che aveva attorno in un’oscura foresta sospesa nel vuoto con un fiume che sembrava l’Ade, epico confine fra i vivi e i morti, metteva la parola fine alla guerra giusta , non solo a quella guerra, ma a tutte le guerre.

Storaro ha parlato della fisiologia della luce , la teoria dei corpi emananti onde di luce, Goethe e la sua teoria dei colori, della teoria originaria che sosteneva che la luce fosse insita solo nell’occhio come sistema percettivo che catturava, raggi che poi, mano a mano che l’esperienza pratica veniva ad acquisirsi,si maturava nella grammatica.

Al momento Storaro ha preparato una mostra (descritta nei volumi che ha presentato ad Artelibro e che gli ha dato la spinta ideale per parlare della luce ad una manifestazione per lo più editoriale),  e che ha inaugurato in Spagna, assieme all’amico Carlos Saura con cui sta girando il film “Io, don Giovanni”, un affresco di storia mitteleuropea che vede al centro la figura di Wolfangus Amadeus Mozart.

La mostra è formata da fotografie di grande e grandissimo formato, in cui Storaro manifesta i suoi sogni : “- non mi è possibile farlo con un’immagine unica e allora uso doppie esposizioni”- e in questa mostra proiettata sembra di entrare in un film che narra la luce nel cinematografo di questo secolo: l’inconscio di Vittorio Storaro.