La voce dell’universo

Presentato alla trentacinquesima edizione del festival di Torino, esce domani in sala una commedia fantascientifica che spicca per originalità e leggerezza nel panorama del cinema italiano coevo.

Dopo la morte della moglie, uno scienziato da tutti chiamato “il professore”, si ritira nel deserto del Nevada, presso alla famigerata Area 51. Invece di lavorare ad un programma segreto finanziato dal governo americano, il professore trascorre le giornate nell’ozio, ascoltando il suono dell’universo. Sua unica compagnia è la giovane Stella (omen nomen), che organizza matrimoni ispirati all’immaginario fantascientifico sugli alieni a beneficio dei turisti. La sua routine cambia all’improvviso quando riceve una visita inattesa.

Effetti speciali naïf, ambientazioni già note al cinema (Las Vegas, il deserto del Nevada, l’Almeria dei western di Leone) inquadrate con uno sguardo originale e inedito, battute divertenti e ben assestate, insieme ad una commozione che non diventa mai ricattatoria assicurano la riuscita dell’opera seconda della regista dopo Into Paradiso del 2010. Tema centrale dell’opera è quello della ricerca di un contatto, di un dialogo con l’altro, con qualcuno proveniente da un altrove i cui segnali i personaggi tentano di captare appunto per stabilire un colloquio con l’assente. Poco importa se questa figura sia rappresentata dagli alieni, abitatori di remote galassie i cui suoni il professore tenta di decifrare con le sue comiche apparecchiature; oppure congiunti che hanno lasciato nel lutto i personaggi, i quali non sanno rassegnarsi alla perdita: come il professore non riesce a colmare il vuoto della vedovanza, nemmeno con la presenza della stravagante e anticonformista Stella; così i nipoti rimasti orfani che l’hanno raggiunto nel deserto, non possono ancora superare, vista anche la giovane età, la perdita d’ambedue i genitori e l’improvviso trasferimento dalla caotica Napoli ad un remoto e isolato villaggio nel deserto accresce il loro smarrimento e il senso d’abbandono. Il tema fantascientifico, tanto poco frequentato dal nostro cinema, specie da quello attuale, diviene così lo spunto per riflettere, in riuscito equilibrio fra l’umorismo e il dramma, la leggerezza e l’introspezione e l’approfondimento psicologico dei personaggi, sull’elaborazione del lutto e sulla perpetua e indefessa ricerca di un dialogo con qualcuno che, se la ragione sa non potrà rispondere, il cuore s’illude possa invece ricevere il nostro messaggio e replicare, anche se ciò è possibile soltanto nella dimensione onirica, che risarcisce dalla sofferenza di una realtà immutabile. La solitudine accomuna dunque i protagonisti dell’opera, il professore vedovo e i nipoti orfani, abbandonati dalle persone care e chiusisi in se stessi; solo alzando lo sguardo verso le stelle, sembra dire la regista, si può continuare ad illudersi e a sperare che la nostra voce sia udita e vi sia una risposta. Anche i turisti per i quali Stella organizza improbabili matrimoni caratterizzati da un ridicolo côpseudofantascientifico cercano qualcosa che non trovano nella quotidianità: come se gli alieni, qualora esistessero, dovessero materializzarsi lì, in quel momento, per allietare e rendere memorabile il loro sposalizio. Se dunque gli extraterrestri non costituiscono, in virtù dell’assenza che li connota, solo i riflessi delle persone amate perdute dai protagonisti, possono divenire un’attrazione turistica per coppie che vogliono un matrimonio diverso dal solito, dove gli ospiti d’onore, gli invitati di riguardo, sono proprio gli alieni, o meglio i loro surrogati. Molto riuscita appare in questo senso l’interpretazione di Clémence Poésy, perfettamente capace di rendere credibile ed autentico un personaggio, per la sua bizzaria molto difficile da rappresentare sullo schermo, recitando soltanto con minimi movimenti degli occhi, del volto e della persona e senza un eccessivo bisogno di dialoghi, oppure adottando una gestualità ed una mimica enfatiche ed esagerata. In conclusione, si tratta di un’opera senz’altro meritevole e degna d’interesse e apprezzamento, scritta e diretta con un’originalità ed una sensibilità non comune, che sa rielaborare in maniera personale spunti e suggestioni provenienti dalla fantascienza più e meno recente: in particolare per l’abilità, la spontaneità e la delicatezza nel fondere l’elemento fantascientifico e spettacolare all’analisi dei sentimenti dei personaggi, da una delle più belle pellicole di questo genere di questi ultimi anni: Super 8 (2011) di J.J. Abrams, che certo la regista e sceneggiatrice avrà avuto in mente e di quella memoria ha saputo far buon uso nella sua opera.

Titolo originale: Tito e gli alieni
Regia: Paola Randi
Soggetto e sceneggiatura: Paola Randi
Collaborazione alla sceneggiatura: Massimo Gaudioso, Laura Lamanda
Fotografia: Roberto Forza, Guido Michelotti, Francesco Scazzosi
Montaggio: Desideria Rayner
Musica: Giordano Corapi, Fausto Mesolella
Scenografia: Paki Meduri
Costumi: Maria Rita Barbera
Interpreti: Valerio Mastandrea, Clémence Poésy, Chiara Stella Riccio, Natalie Spencer, John Keogh, Hunter Tremayne, Eric Masip, Luca Esposito, Gianfelice Imparato, Miguel Herrera, Sebastian Montecino
Prodotto da Andrea e Matilde Barbagallo
Genere: commedia fantascientifica
Durata: 92′
Origine: Italia
Anno: 2017