Il maggior errore tedesco

Un dramma bellico e insieme un atto di fede in un modo di fare cinema che va sparendo.

Sulla spiaggia di Dunkerque, pronunciata dagli inglesi Dunkirk, tra la fine  d’aprile e l’inizio di maggio del 1940, la marina inglese riesce fortunosamente a portare in salvo non solo i connazionali,  ma anche i commilitoni francesi e belgi sulle coste delle Manica, sottraendoli dall’accerchiamento ordito dal comando germanico.

Fondato sui tre elementi naturali, il film è imperniato, più che suoi dialoghi e lo sviluppo narrativo, su tre dei quattro elementi naturali: terra, mare ed aria. Un’evidente discrasia è ravvisabile nella trattazione temporale, poiché la prima parte, ambientata sulla terra ferma, occupa una settimana sul piano diegetico; la seconda, collocata sulle acque della Manica, si estende per una sola giornata; mentre la terza, che trova spazio su un aeroplano, dura appena un’ora. Il regista e sceneggiatore rifiuta dunque la linearità narrativa e dilata o al contrario restringe la durata degli eventi in relazione all’influsso che si ripercuote sui personaggi: non conta dunque la durata reale dell’avvenimento, quanto la percezione che di quel lasso di tempo ha il singolo personaggio. Nel primo capitolo, significativamente titolato «Il molo», un gruppo di soldati inglesi, francesi, scozzesi, superate le diffidenze e le gelosie iniziali, si dirigono verso le coste della Manica dove, contrariamente a quanto avevano creduto, vengono accolti come eroi. Nel secondo, «Il mare», la marina inglese sovrintende il naviglio privato diretto verso le coste britanniche; ma il signor Dawson, spalleggiato dal figlio, rifiutano di accogliere altri membri dell’equipaggio. Quando però incontrano un soldato ferito abbandonato sulla sua scialuppa, si convincono a farlo salire a bordo. Ma quando il soldato scopre che Dawson sta riportandoli a combattere a Dunkerque invece che verso la salvezza in Inghilterra, nasce fra i due una colluttazione, George, il figlio di Dawson ha la peggio e diventa cieco. Convinto della sua missione di salvare i commilitoni rimasti in Francia, Dawson fa di nuovo rotta vero Dunkerque. Quando notano uno «Sputafuoco», vanto dell’aviazione inglese che diede filo da torcere all’aviazione tedesca sul cielo inglese e della Manica, abbandonato nell’oceano, Dawson s’avvicina nella speranza di poter trarre in salvo il pilota. Dawson e il suo equipaggio tentano di salvare quanti più componenti dell’equipaggio. Finalmente giunti nel Dorset, riceve le congratulazioni per il numero di vite salvate. Ma anche la fama di George durerà, grazie alle fotografie scattate da Peter ed a un resoconto elogiativo della sua condotta bellica apparso su un giornale locale. Nel terzo e ultimo capito, intitolato «L’aria», tre piloti di «Sputafuoco», pattugliano la Manica per gettare viveri e medicinali ai commilitoni bloccati a Dunkerque. Un aeroplane della Luftwaffe colpisce il caposquadra. Farrier, pilota di seconda, assume il comando e i due aerei superstiti continuano vero i cieli francesi. Ma l’aereo di Collins, l’altro pilota della pattuglia, è costretto ad ammarare nelle acque della Manica, senza poter fornire a Farrier indicazioni sulla sua posizione. Questi raggiunge finalmente Dunkerque, dove si prodiga nel salvataggio delle truppe e nell’allietare il morale dei commilitoni. Rimasto senza carburante, cerca di ammarare su una spiaggia. Ma, rimasto escluso dal territorio controllato dai suoi connazionali, brucia l’aereo e viene arrestato dai tedeschi. Se la storia appare illogica e confusa, inutilmente enfatica ed ecumenica, ispirata ad un generico umanitarismo, diversa e più consapevole è la forma adoperata per raccontarla. In primis, il film è stato girato secondo il più recente sistema analogico sul mercato, l’IMAX (IMage MAXimum), un metodo di ripresa e proiezione cui sono state dedicate alcune sale appositamente attrezzate (come l’Arcadia Cinema di Melzo dove abbiano visionato il film). L’IMAX sfrutta il principio del Vistasion, prevedendo lo scorrimento orizzontale nella macchina da presa di una pellicola 70mm; anche se qui si è optato per un più ridotto 65mm. Per la distribuzione  inglese e americana si sono scelti, a seconda della disponibilità delle sale, non tutte attrezzatte alle nuove modalità di proiezione, l’IMAX, il 70mm e il 35 mm. Il film ricorre poi ampiamente ad effetti speciali meccanici, dunque costruiti da tecnici di professione, in ciò distanziandosi dall’abitudine del cinema contemporaneo, non solo americano, di adoperare ampiamente la cgi (computer generated imagery): tutto ciò che vediamo sullo schermo è stato davvero lì, tanto da impressionare la pellicola; a differenza di quanto farebbe un algoritmo creato al computer. In questo  film, dunque il cinema si rivela ancora tributario del reale, come che il cinema contemporaneo o postmoderno, che crea gli sfondi e i personaggi al computer ed è libero di manipolarli a piacimento (si pensi a Sin City o alla trilogia del Signore degli anelli o di Matrix, o agli ultimi capitoli della serie di Star Wars) per accorgersi di come il cinema si sia distanziato dal quel «calco del reale» di cui parlava, e per cui l’elogiava, Bazin. Il film di Nolan si configura ancor prima di un’opera d’avventura a sfondo bellico, d’una disincantata elegia delle guerra, come un atto di fede verso un cinema ormai in via di sparizione.

Titolo originale: Dunkirk
Regia: Christopher Nolan
Soggetto e sceneggiatura: Christopher Nolan
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Musica: Hanz Zimmer
Scenografia: Nathan Crowley
Costumi: Jeffrey Kurland
Interpreti: Fionn Whitehead, Damien Bonnard, Aneurin Barnard, Lee Armstrong, James Bloor, Barry Keoghan, Mark Rylance, Tom Hardy, Kenneth Branagh, Cillian Murphy
Prodotto da Cristopher Nolan, Emma Thomas
Genere: bellico
Durata: 106′
Origine: Gran Bretagna/Olanda/Francia/Stati Uniti
Anno: 2017