Al Teatro Palladium, il cinema e la storia di Marco Bellocchio ed Ettore Scola

per-cinema-storia-bellocchio-e-scola-saranno-ospiti-al-teatro-palladiumIn occasione del Convegno Internazionale “Cinema & Storia. Tempo, memoria, identità nelle immagini del nuovo millennio”, organizzato dal Dipartimento Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre e curato da Christian Uva e Vito Zagarrio: Marco Bellocchio e Ettore Scola sono intervenuti per discutere di cinema e storia, raccontando e discutendo una selezione delle loro opere più rappresentative.

Autore di importanti film come La Cine è vicina; Buongiorno, notte e La bella addormentata, Bellocchio racconta sé stesso e la sua filmografia. Con film dichiaratamente storici come Vincere, il regista apre una parentesi sul suo modo unico di raccontare la storia passata: «Per un personaggio come Mussolini che, per la sua vocazione da teatrante, era più vicino ad essere un personaggio, ho, cercato di svelare aspetti e momenti che non sono riportati dagli storici, o per lo meno lo sono, ma con delle assenze.»

Il regista analizza il suo modo di riscrivere la storia e ammette di compiere una riscrittura degli eventi stessi; come uno scudo sulla violenza e l’incredulità di certi gesti, Bellocchio riscrive il passato per risollevare il presente. «Ognuno ha il proprio stile. Francesco Rosi ha il suo; in Salvatore Giuliano ha un modo di entrare nella storia molto diverso dal mio stile. Lui, infatti, mi criticò per Buongiorno, notte, perché non ero stato abbastanza fedele ai fatti. Ma io voglio essere allo stesso tempo fedele e infedele alla storia, la mia posizione mi obbliga a ricercare dei personaggi che devi sempre, in qualche modo, inventare.» Non una infedeltà verso gli eventi accaduti, ma una rivisitazione di alcuni momenti. «Come nei dialoghi per i terroristi di Buongiorno, notte: abbiamo preso molte cose dai diari che loro hanno scritto, ma li abbiamo fortemente inventati. Per quel che mi riguarda, l’infedeltà alla storia è un obbligo.»

Sangue del mio Sangue”, ultima fatica del regista Marco Bellocchio, vive tra il passato e il presente. La narrazione del film descrive molto bene il rapporto del regista con la storia: «per questo stranissimo film, che è totalmente inventato, ho sentito la necessità di raccogliere del materiale storico. Sul processo alle streghe, sui metodi, sul rapporto tra la chiesa e la riforma. Tutte queste fonti sono state elaborate ma al tempo stesso modificate. Sia per la parte del 1603 che per l’episodio moderno. In questo momento io mi interesso alla storia, dopo però, sento il bisogno di inventare.»

Girato interamente a Bobbio, il film ha una storia che connette il passato con il presente, collegando, non solo gli inizi della carriera del regista (I pugni in tasca è stato, in parte, girato a Bobbio), ma parte dello stile e della vita del cineasta. Dal tema del doppio, caratteristica più volte sottolineato dalla trama stessa del film (due storie, due tempi cronologici, i gemelli), alla vita personale del regista, Bellocchio ha bisogno di trovare qualcosa di profondamente personale nella narrazione, che poi in qualche modo, anche infedele, fa riferimento al passato. «Mi sono convinto di fare questo film perché ho sentito nel doppio un riferimento tragico alla mia vita, che ho rappresentato in un modo irriconoscibile rispetto alla mia vita stessa. Questo perché sennò fai un film tanto per farlo; al di là dei risultati ci deve essere un punto di partenza che ti riguarda e poi parti con il progetto.»

Bellocchio ha uno sguardo sulla storia indagatore e profondamente personale, i suoi film sono una difesa personale alla realtà, inventare e, in qualche caso, affabulare la storia è l’obiettivo che guida il regista nel ripensare il passato, soprattutto quello più crudo e intenso della storia italiana: «l’infedeltà della mia storia (Sangue del mio Sangue, ndr) è un’affermazione di libertà più che un obbligo: si deve lavorare così. Certamente poi ci sono delle imperfezioni, ma non è questo il punto. Bisogna, anche se fa male, resistere. Perché altrimenti ti ammazzano.»

La storia, come vita vissuta e parte integrante della nostra storia, è raccontata da Ettore Scola, rappresentante e maestro indiscusso della cinematografia italiana e mondiale. «Nel mio cinema, la storia c’è sempre, anche nei film dove apparentemente non se ne parla, perché la storia siamo noi. Qualunque cosa facciamo, qualunque gesto o giornata del nostro tempo, va a formare la storia.» Da queste parole, Scola ripercorre la sua filmografia, raccontando la sua vita e i suoi inizi: «Quando ho scelto il mio mestiere, la storia c’è sempre stata, non la storia che avevo letto a mio nonno, la storia dei capi di Napoleone, di Alessandro Magno o di Giulio Cesare. No, mi sono sempre chiesto di quelli che non prendevano decisioni, di quelli che subivano le decisioni di Napoleone o di Cesare; la piccola gente, le piccole persone, che avevano un quotidiano da portare avanti: la famiglia, la fame, la tranquillità, il benessere, ma che dovevano subire un destino collettivo alle cui decisioni non partecipavano.» Uno sguardo personale, ma allo stesso tempo condivisibile da tutti. Il regista rappresenta la storia per racconta l’uomo che la abita, scegliendo di descrivere i più piccoli e le persone che ogni giorno cercano di sopravvivere ad essa.

«Se faccio un film sul fascismo non mi interessa vedere Mussolini o Hitler, mi interessa vedere le piccole persone. Una piccola donna resa stupida dall’ambiente del fascismo e un uomo avvilito a causa dei suoi orientamenti sessuali.»

Una giornata particolare, C’eravamo tanto amati, La famiglia e molti altri, sono film che vivono e parlano di storia, quella italiana e quella vissuta personalmente da regista. Lo stile, lo sguardo sull’uomo –  insignificante di fronte la grandezza della storia – e il passare del tempo, sono argomenti cari al regista.

«È interessante parlare del tempo perché cambia e varia continuamente, ma solo nella concezione che ne abbiamo noi» ammette il regista, «per quanto riguarda i film, il tempo ha un discorso diverso. Quando mi dicono che un mio film sembra scritto adesso, io penso che non è il film a resistere al tempo, ma che sia la società a non essere cambiata. Quindi ti accorgi che dopo trent’anni certi problemi sono rimasti gli stessi. Ecco perché i film non invecchiano, non perché sono belli, perché siamo lenti noi come società.»

Il cinema per Ettore Scola è un’arte che deve sollevare dubbi, far riflettere le persone ed evitare di dare certezze: «il cinema è un’arte popolare, destinata alle grandi masse, destina a far riflettere, ma soprattutto a far nascere dubbi nella gente. Il film interrogativi sono quelli che seminano il dubbio nello spettatore che per un attimo, mentre si toglie le scarpe, si ferma a pensare ad una cosa che ieri non aveva pensato. Questo è la funzione del cinema e la commedia fa questo egregiamente.» La commedia, come quella firmata da Ettore Scola e dai grandi cineasti italiani, è stata capace di parlare alle grandi masse di spettatori e riflettere lo spirito del tempo. «Così abbiamo messo nella commedia l’Italia com’era allora. Perché è piaciuta tanto all’estero? Perché hanno scoperto un paese: allegro e variopinto, ma anche riflessivo, amaro e triste. Questa commedia è quella che ha contribuito alla crescita del cinema italiano e alla crescita della società.»