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Bobby

Recensione: Bobby

Il film racconta, attraverso il percorso di 22 persone in qualche modo legate all’evento, the day after la victoria e la muerte di Robert “Bobby” Kennedy, presso l’Hotel Ambassador. Era il 1968, c’era la guerra del Vietnam (“Hanno creato un deserto e lo chiamano pace” diceva Bobby); John F. Kennedy, Malcom X e Martin Luther King erano personaggi gia’ mitologici; l’LSD andava forte.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDAnthony Hopkins fa il portiere dell’albergo che identifica l’Hotel con la propria casa. Sharon Stone (bistratissima in un improbabile acconciatura in stile  zingara che fa le carte), è la parrucchiera, sposata con il direttore dell’Ambassador (William H. Macy).
Heather Graham è la centralinista, amante del direttore. Demi Moore è la cantante alcolizzata, moglie di Emilio Estevez. Infine nelle cucine lavora Christian Slater ( parechio sgualcito, il tempo non è stato clemente con lui). Un film nato prima dell’11 Settembre, ma che sembra più attuale che mai negli U. S. A ancora, perennemente (bisognosi?
) in guerra, anche se il regista sconfessa ogni possibile paragone con l’attualita’ in senso stretto. Il senso del film non va cercato in un (comunque probabile) paragone con i vari George W., Afghanistain e Iraq. No, l’intenzione di Emilio Estevez è stata esplicitamente quella di far conoscere alle nuove generazioni, e ricordare alle vecchie, chi era Robert Kennedy: un politico che sapeva “lasciare da parte tailleur per mettere un paio di jeans … una spinta alla politica e la nuova generazione“. La congiuntura internazionale ha reso certamente più attuale e attraente il film ma, se possibile, il richiamo di Bobby (per mezzo del regista Estevez) vuole essere ancora più alto: giovani, interessatevi alla politica, non permettete che uccidano i vostri sogni, credete ancora in qualcuno o qualcosa. Tutti, non solo gli U. S. A., devono tornare allo spirito di Kennedy (Robert più che John). Che basti inforcare gli occhialoni (reduplicati nel film all’infinito, in modo alquanto grottesco) stile “Tutti gli Uomini del Presidente“?
Estevez è riuscito nell’intento?
Opinabile.
 La storia è ben raccontata, la regia fluida e leggera, la sceneggiatura essenziale e pulita, il cast spettacolare (alcuni come la Stone hanno addirittura recitato!), per quanto la tentazione di sbottare in un continuo: “Guarda chi c’è!” a volte distrae e disaffeziona dalla narrazione che coinvolge non tantissimo.
Il ritmo appare buono anche se dopo un’ oretta il montaggio alternato inizia a stordire, e i primi segni di cedimento compaiono nello spettatore che non attarda a manifestare accenni di emicrania.
Forse un po’ stucchevoli alcuni passaggi (vedi le pantomime di coppia fra Helen Hunt e Martin Sheen); altri, troppo intensi (il cameriere che cede i propri biglietti per la partita dei Dodgers paragonato a Re Artù); in genere il film risulta privo di un pathos accaldato, ma colmo di tanta solennita’. E forse era proprio questo l’intento del regista: la figura del “protagonista” viene raccontata attraverso lunghi filmati d’epoca e voce originale, ma emerge soprattutto dalla “partecipazione” dei 22 personaggi all’evento: l’arrivo del senatore Kennedy, candidato alla presidenza e probabile futuro presidente, all’Hotel Ambassador (impossibile per un vero americano resistere alla tentazione di ricordare al “nemico” di un tempo, comunista o socialista non importa, il rosso è sempre rosso, che cos’è la democrazia: partecipazione libera secondo regole condivise. La lezione verra’ impartita da Pacey, ex della cricca di Dawson, a una disgraziata giornalista cecoslovacca). Da questo quadro emerge più la figura di un santo francescano (quasi una Passione di Bob), che di un politico consumato ed esperto; il risultato è un’agiografia che trascura di evidenziare lo spessore politico del personaggio, ed esalta, nel lontano 1968, Robert Kennedy e quello che la sua personalita’ poteva significare per la gente (ricorre spesso una frase particolarmente significativa: “dopo il dottor King – Martin Luther – il senatore Kennedy è l’unico che ci è rimasto“) e che esplicitamente viene ricercato dal regista.

Bobby: Un’ agiografia per ricordare agli americani che anche loro hanno avuto dei “presidenti buoni“. Per i fan del “Santo Subito“.La Frase: “Gli scacchi sono un po’ come la vita, intimidiscono le persone. Ecco perché hanno inventato la dama.” Anthony Hopkins, Bobby, 2006.

Nota: di Daniele Rizzo e Roberta Monno
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