L’arte giapponese e l’epifania sugli artisti europei

Arrivato nelle sale nostrane solo per tre giorni, dal 16 al 18 settembre, il riuscito e intimista documentario dell’esperto regista David Bickerstaff risulta essere un film equilibrato, capace di bilanciare perfettamente l’affascinante arte del Paese del Sol Levante e la tormentata vita dell’artista olandese.

La figura di Vincent Van Gogh ha sempre esercitato un certo fascino sulla settima arte: da Van Gogh di Alain Resnais del 1948 fino al più recente Sulle soglie dell’eternità – At Enemy’s Gate del 2018 senza dimenticare Vincent e il Dottore, decima puntata della quinta stagione del reboot di Doctor Who o Loving Vincent, straordinario film animato che, sulla scia di Quarto Potere, cercava di ricostruire gli eventi che avevano portato al misterioso suicidio di Van Gogh; la figura del pittore olandese è sempre stata al centro dell’interesse di molti cineasti.

La cosa stupefacente nel lavorare a un film su Van Gogh è la ricchezza delle intuizioni che emergono dalle sue lettere o anche solo osservando da vicino le sue opere. Pensi di conoscerle, perché sono famosissime, ma ogni “visione” rivela qualcosa di nuovo. L’intensità del sentire di Van Gogh mentre lotta con la sua arte è messa a nudo con ogni segno che marca sulle tele. È la ricerca di una semplicità potente che ha attratto Vincent van Gogh verso l’arte del Giappone” spiega David Bickerstaff, ed è proprio in quest’ottica che bisogna guardare Van Gogh e il Giappone. Nonostante l’artista olandese sia stato al centro di decine di trasposizioni cinematografiche o televisive, ogni nuova opera a lui dedicata, permette agli spettatori di scoprire qualche aneddoto inedito sulla sua vita.

Nel 1868 con la fine del periodo Edo, il Giappone poté aprire le proprie porte all’Occidente, dando il via a quello che viene denominato giapponismo, cioè l’influenza dell’arte giapponese su tutti gli artisti europei – specialmente francesi –. Tra coloro che vennero colpiti da tale corrente, ci fu appunto Van Gogh, il quale, pur non essendo mai stato in Giappone, rimase affascinato da tale cultura, iniziando a collezionare ukyo-e e realizzando opere influenzate dal giapponismo.

Uno degli aspetti più interessanti presenti in questo documentario riguarda l’influenza che l’ukyo – e del 1857 Il ponte di Shin – Ohashi sotto la pioggia di Utagawa Hiroshige ha avuto sull’artista olandese. Nel 1887, infatti, a trent’anni dall’opera originale, Van Gogh decise di ricreare l’opera di Horisghige, ricreandola secondo la propria sensibilità. Un’operazione del genere non può che portare alla mente situazioni cinematografiche analoghe, cioè di remake girati shot for shot rispetto al film originale, pur mantenendo un’impronta autoriale ben precisa, su tutti lo Psycho di Gus Van Sant.

Il documentario di Bickerstaff è quindi un’esegesi completa su Van Gogh che alterna egregiamente una panoramica sulla storia dell’arte giapponese del Diciannovesimo secolo con la storia privata del pittore olandese, corroborando il tutto con la lettura delle lettere scritte dal pittore al fratello Theo e con le interviste ai curatori del Van Gogh Museum di Amsterdam e di diversi artisti giapponesi. Suggestive panoramiche del Paese del Sol Levante, accompagnate da una suggestiva colonna sonora, contribuiscono ad aumentare il fascino di questa gioiello che per 85 minuti è capace di trasportare lo spettatore in un mondo a se stante.

Titolo originale: Van Gogh & Japan
Regia: David Bickerstaff
Genere: Documentario
Durata: 85′
Distribuzione: Nexo Digital