Spazio Giovani

Valeria Perdono e Alessandro Lussiana

Sono giovani ma hanno già sperimentato tutti i mezzi espressivi, dal teatro alla tv, e domani, 16 maggio, saranno i protagonisti della nuova regia di Luca Ligato, After the End, allo Spazio Tertulliano. Noi li abbiamo incontrati alla vigilia del debutto. Questa è la prima parte della loro intervista. Domani la seconda.

Entrambi lavorate a Milano. Casualità o scelta professionale in quanto Milano offre forse di più – anche in un momento di crisi economica – a livello teatrale?

Valeria Perdonò: «Un po’ entrambe le cose. Casualità sicuramente, perché io mi sono diplomata all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma eppure, subito dopo il diploma, ho vinto dei provini a Milano, e da cosa nasce cosa… A dire il vero, sarei voluta rimanere a Roma – città che amo – e per due anni ho vissuto sui treni, dividendomi tra la capitale e Milano. A un certo punto, però, mi sono arresa al fatto che Milano mi chiamava a sé: continuavo a lavorare qui. Sarei pronta a spostarmi, si intende, ma devo ammettere che qui ci sono maggiori opportunità. Quindi, alla fine, restare a Milano è diventata una scelta. Questa è una città viva e creativa, nonostante la crisi. C’è maggiore rispetto per la meritocrazia e le audizioni sono più trasparenti. A Roma i provini sono quasi segreti e molto meno seri».

Alessandro Lussiana: «Per quanto mi riguarda, è stato il lavoro a portarmi a Milano. Subito dopo la scuola dello Stabile di Torino, ho iniziato a lavorare in giro per l’Italia. Il mio pensiero fisso era, comunque, quello di andare a Roma a tentar fortuna. Neanche una settimana dopo il mio trasferimento, ho iniziato a ricevere chiamate di lavoro da Torino e da Milano. È cominciata, quindi, una peregrinazione assurda tra queste tre grandi città. Vivevo sui treni e sugli aerei, come Valeria. A un certo punto il lavoro ha scelto per me e io mi sono ritrovato a Milano, capitale indiscussa del teatro italiano. Era il 2008 e la crisi cominciava a farsi sentire ma questa città rimaneva l’ultima roccaforte per chi volesse intraprendere la strada teatrale. Ho avuto la sensazione di essere arrivato in un luogo “dove accade ancora qualcosa”. Oggi la devastazione è giunta fino a qui, ma la città è comunque viva dal punto di vista culturale e artistico».

Entrambi avete esperienze cinematografiche – e Alessandro anche molte televisive – alle spalle. Il teatro è una scelta o una necessità?
V. P.
: «Una folle necessità, sena dubbio. Ti impone una vita fuori dal mondo, dal mondo reale intendo. Per quanto riguarda i sacrifi, la fatica, e lo studio che non finisce mai. Non che il cinema o la televisione siano da meno, certo. Però, da un punto di vista economico, non c’è paragone, per cui credo che chi vive per il teatro non possa farne a meno. È un linguaggio che mi appartiene completamente perché la mia formazione è partita con la danza, o i recital, dove protagonista è il canto, ma la dimensione è sempre quella del contatto diretto con il pubblico. Il mondo del cinema è magico: io vi ho lavorato poco ma mi piacerebbe molto farne parte. In ogni caso, credo che bisognerebbe percorrere strade diverse e non fermarsi a una sola. Teatro, cinema, radio, televisione: sono linguaggi molto differenti tra loro, ma un attore, per dirsi completo, dovrebbe essere il piu versatile possibile. Questo è uno tra i miei obiettivi professionali».

A. L.: «Il teatro è sicuramente un’urgenza. Da sempre. Tuttavia cerco di tenere aperte le porte a tutte le possibilità che questo mestiere può offrire. Ho fatto cinema, tv, pubblicità, persino il presentatore di eventi.Tuttora mi occupo di doppiaggio e speakeraggi, e ho da poco iniziato un progetto radiofonico indipendente. Tuttavia, se si sbircia il mio curriculum, si può notare che il 70% del mio percorso professionale è fatto di teatro. Forse è un istinto, forse un destino. Non nego che mi piacerebbe molto seguire la strada del cinema, ma per ora è il teatro la dimensione che mi restituisce più emozioni nonché più occasioni. Non si può parlare di scelta: sia perché cinema, teatro, tv o doppiaggio sono linguaggi troppo diversi per essere messi sulla stessa bilancia; sia perché il teatro è qualcosa di troppo impegnativo, faticoso e, allo stesso tempo, poco remunerativo per essere una scelta razionale. Può essere solo un’urgenza».

Veniamo al prossimo debutto: After the end – per la regia di Luca Ligato. Com’è nata l’idea di una vostra partecipazione? Conoscevate il testo e, se sì, cosa vi ha interessati nell’affrontare la costruzione dei vostri personaggi?
V. P.
: «Questo testo mi gira tra le mani dall’autunno del 2010. Me l’aveva proposto proprio Alessandro, che se ne era innamorato, e mi è bastata una sola lettura per rimanerne completamente sedotta. Ci siamo guardati e ci siamo detti, senza parlare: “Siamo noi! Questi due siamo noi! Dobbiamo farlo noi”. Ricordo una frase del testo, che pronuncia il mio personaggio, Louise: “Creare un legame attraverso l’empatia. L’empatia è un canale a due sensi…”. Non posso che condividere: l’empatia che esiste, innanzitutto, tra Alessandro e me è qualcosa di speciale. Ci siamo incontrati nel 2008 durante un laboratorio condotto da Serena Senigaglia e ci siamo riconosciuti a fiuto, come due essere strani: due gemelli separati alla nascita. Un’intesa che va al di là della nostra amicizia profonda ed è stata, da subito, anche professionale. In breve: volevamo a tutti costi mettere in scena il testo ma avevamo già altri progetti e per un paio d’anni non ci è stato possibile. Poi ritrovo Luca Ligato. Anche Luca e io condividiamo un legame molto speciale, perché è stata una tra le prime persone con le quali ho lavorato dopo il diploma in Accademia e il mio arrivo a Milano. Abbiamo collaborato a diversi progetti in questi anni, io recitando e lui quale assistente alla regia. Quindi, in un certo senso, siamo cresciuti insieme. E, visto che è una persona che stimo molto, sia umanamente che professionalmente, gli avevo detto che avrei recitato volentieri con lui e per lui. Lo scorso anno mi propone questo testo: non ci potevo credere! Era arrivato il momento di dare vita a Mark e Louise. Ma doveva essere con Alessandro o con nessun altro. Luca aveva già visto recitare Lussiana, gli era piaciuto, poi si sono conosciuti meglio ed eccoci qua. Del resto, secondo me, per affrontare un testo del genere è necessario che esista un’intesa molto profondo tra gli interpreti: Mark e Louise, all’interno di un rapporto vittima/carnefice, che può anche ribaltarsi, rappresentano situazioni proprie anche alle nostre vite quotidiane. Accade tutti i giorni, a noi e intorno a noi: il problema è capire chi comanda. E non è detto che sia il carnefice. Come dice Louise: “L’unico modo per farsi distruggere è permettere agli altri di trasformarti in qualcosa di diverso da quello che sei”. Ciò che mi affascina dei personaggi e della storia raccontata è il concetto di causa ed effetto che trapela, determinante rispetto ai rapporti umani e allo scatenarsi delle reazioni die protagonisti. Sempre con le parole di Louise: “Mi chiedo spesso cosa ci  induce a comportarci in un determinato modo… e mi chiedo se è possibile spezzare queste dinamiche”».

A.L.: «Lessi questo testo, per la prima volta, nel 2006, all’indomani del mio diploma allo Stabile. Me ne innamorai subito. Quello che mi appassionava era, ed è, la dinamica di rapporto che si sviluppa tra i protagonisti, il loro continuo ribaltamento di ruoli che li porta a essere esseri umani completi, più che personaggi. Oltre, naturalmente, alla tematica sviluppata dall’autore, ossia che nessuno è mai solo vittima o solo carnefice. Ho sognato, quindi, fin da subito, di metterlo in scena. Ma con quale attrice e per quale regista? Qualche anno dopo ho incontrato Valeria, con la quale, da subito, è scattata l’intesa, professionale e umana. Questo nostro sentire comune l’ha condotta inevitabilmente a innamorarsi del testo. Rimanevano però due problemi: la regia e il tempo. Entrambi impegnati in tournée, non riuscivamo mai a costruire un calendario di prove. Così, abbiamo accantonato l’idea con molto rammarico, pensando che non fosse il momento giusto. Quest’estate Luca Ligato, che aveva già lavorato con Valeria, l’ha chiamata per dirle che aveva una gran voglia di mettere in scena After the End, tanto che ne aveva acquistato i diritti, e che voleva che lei fosse Louise. Valeria, incredula e con gli occhi luccicanti, gli ha risposto che era anche il suo sogno e che lo condivideva con me. Luca mi aveva visto la Stagione precedente all’Elfo Puccini in Freddo, di Lars Norën per la regia di Marco Plini, e gli ero piaciuto. Inoltre, era positivamente stupito di trovare due attori che sentivano un così forte desiderio e attaccamento nei confronti del testo. La scintilla si era accesa. Ora bisognava far partire la macchina. Avevamo tra le mani un gioiello e bisognava farlo brillare. Mark e Louise sono due personaggi complessi e affascinanti. Quello che amo di Mark è il suo essere bambino, nel bene e nel male. L’amore che infonde nel raccontare le storie. Il suo credere profondamente, quasi al limite del fondamentalismo, alla proprie realtà, escludendo cià che è veramente reale. Le persone, comunque, non sono mai a un solo colore, guardare l’insieme, forse, è solo questione di empatia. Entrare fino in fondo nei personaggi, nella loro interezza, non porta a renderli “giusti o sbagliati” ma solo umani, uguali a noi».

Leggi la seconda parte dell’intervista a Valeria Perdonò e Alessandro Lussiana