Doppia recensione dell’ultimo film con protagonista Nicolas Cage.

L’affondamento dell’Indianapolis, tra noia e squali
di Michele Parrinello

Mario Van Peebles, regista figlio d’arte, rievoca una delle ferite più profonde della storia americana, ma il suo film è privo di verve e forza immaginifica. Regia piatta, sceneggiatura banale ed effetti speciali dozzinali sono completati da un Nicolas Cage spaesato e monoespressivo.

L’incrociatore statunitense USS Indianapolis, a seguito dell’impatto di un kamikaze nell’oceano pacifico, si è ritirata a Pearl Harbour per le riparazioni. È il luglio 1945 e la guerra, malgrado ben indirizzata, non sembra ancora volgere al termine. Nell’ambito del progetto Manhattan, quindi, all’incrociatore viene affidata la missione segreta di trasportare alla base di Tinian, senza la protezione di una scorta, l’involucro e la carica di uranio della bomba che sarebbe stata lanciata su Hiroshima. Completata la missione, però, sulla via del ritorno la nave viene intercettata e affondata da un sommergibile giapponese. Il capitano Charles McVay, sopravvissuto in maniera rocambolesca, e più di ottocento membri dell’equipaggio si ritrovano in mare aperto e alla deriva, minacciati dagli stenti e da decine di squali bianchi.

USS Indianapolis vorrebbe essere un dramma storico ispirato a uno dei più gravi affondamenti subiti dalla marina statunitense nella sua storia. Negli anni l’avvenimento ha ispirato sentimenti di eroismo e patriottismo, esaltando il sacrificio dei giovani marinai che hanno dato la vita perché la guerra avesse finalmente termine. Guerra che si è effettivamente conclusa con il lancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, ma questo è spesso un dettaglio relegato al limite dell’insignificante nella pomposa retorica americana.
Una retorica sottolineata dalla pellicola a cominciare dalle locandine, che mostrano le stelle e le strisce garrire alle spalle di uno eroico Nicolas Cage, la cui faccia di gomma sembra essersi fossilizzata nell’ormai abituale fissità che si posiziona a pari distanza tra il cane bastonato e il capitano stoico con il peso del mondo sulle spalle. Le storie mostrate a schermo cercano di raccogliere in un unicum disomogeneo tutte le realtà dell’equipaggio di una nave da guerra degli anni quaranta, ma la carne al fuoco risulta fin da subito eccessiva e si perde tra questione razziale, disuguaglianza sociale, senso di colpa, amicizia e sacrificio, con tanto di stoccata a una classe politica e militare che gioca con le vite dei propri uomini per poi cercare un capro espiatorio da sacrificare.
Neanche la realizzazione tecnica riesce a risollevare la pellicola. La regia è scialba nella prima parte, imprecisa nelle scene d’azione e trasmette poca tensione quando infine il terrore per gli squali e per la solitudine dell’oceano dovrebbe annullare ogni altro sentimento. Gli effetti speciali in computer grafica tornano indietro nel tempo di almeno quindici anni a causa della vistosa disomogeneità che li separa dal resto della pellicola; le esplosioni sembrano realizzate con software semiprofessionale e le scene che vedono protagonisti i predatori degli abissi sono talmente irrealistiche da risultare ridicole. Ciliegina sulla torta: l’inabissamento dell’incrociatore è una copia malamente riuscita del Titanic cameroniano.
La distribuzione italiana ha cercato di porre riparo alla pochezza della pellicola sforbiciando venticinque minuti dalla versione originale, ma l’operazione sortisce un pericoloso effetto boomerang: non solo la pellicola rimane pesante e noiosa, ma i tagli appiattiscono approfondimento (ipotetico) dei personaggi e azzerano la già irrisoria empatia nei confronti dei superstiti del naufragio.
Se proprio si vuole approfondire la storia del capitano McVay e del salvataggio di 316 uomini del suo equipaggio, intrattiene e soddisfa maggiormente (nonché rende più edotti in materia) persino la più superficiale delle ricerche online. Perché USS Indianapolis, al netto della veridicità della storia che racconta, è senza dubbio uno dei peggiori film del 2017.

È facile parlare di guerre, ma non è facile farlo bene
di Laura Silvestri

Una storia vera che ci riporta indietro di più di settant’anni, a quel luglio 1945 in cui, in una missione segreta della massima importanza, più di mille coraggiosi uomini persero la vita in nome della loro Nazione. 

Dopo Pearl Harbor, c’è stata Hiroshima. 
Tra le due, c’è stata la USS Indianapolis.

Spesso, quando si va al cinema, lo si fa anche per distrarsi: distrarsi dalla realtà, dai problemi, dalla quotidianità.
A volte si riesce nell’intento, altre meno.

Il trasporto di una bomba atomica da parte della USS Indianapolis – un incrociatore scarsamente attrezzato contro i più moderni ritrovati avversari – senza una scorta ad accompagnarla per via della segretezza della missione, potrebbe qualificarsi come distrazione efficace. 
Specialmente in tempo di guerra.
Specialmente se questa bomba diverrà presto strumentale nel porre fine a un conflitto mondiale che si porta dietro sei anni di violenza, stragi e dolore.

È facile parlare di guerre.
È facile mostrarle sullo schermo.
Ma non è facile farlo bene.

E soprattutto, non è facile far sì che i nomi rimangano impressi, che nella nostra memoria non resti solo il nominativo di “soldato”.

Bama, D’Antonio, Waxman, Connor, Garrison.
Sono solo alcuni tra i 1197 membri dell’equipaggio di cui intravediamo la storia, la stessa che a breve diventerà quella di tutti.
Ma mentre sono lì, a tirarsi pugni in strada prima di partire, a giocare a dadi negli ultimi momenti di tranquillità, a galleggiare in mare aperto, feriti e circondati da squali, viene da chiedersi che fine faranno questi ragazzi. Come se la caveranno. Se se la caveranno.

I giovani in particolare sembrano rubare la scena ai veterani del grande schermo: Matt Lanter – principalmente conosciuto per i suoi ruoli nelle serie tv Timeless e 90210 e, piccola curiosità, nipote nella realtà di uno dei sopravvissuti della missione – e Adam Scott Miller – al suo debutto cinematografico – con una complicità che ricorda molto quella tra Danny/Hartnett e Rafe/Affleck in Pearl Harbor, adombrano un Capitano McVay interpretato in maniera forse un po’ troppo impostata dal premio Oscar Nicolas Cage (Ghost Rider, Il Ladro di Orchidee), che solo nelle ultime battute sembra trovare la cifra stilistica adatta al ruolo.

Diverse sono le scene in cui domina l’elemento suggestivo, come la sonata alla scialuppa/pianoforte o le inquadrature dall’alto della nave in partenza, che trovano il perfetto accompagnamento nelle voci fuori campo.

In quanto a verosimiglianza, si potrebbero fare alcune annotazioni – qualcuno potrebbe chiedersi come mai, dopo giorni in mare, alcuni di loro non mostrino neanche un principio di barba – ma sono altri i dettagli che contano, e il regista Mario Van Peebles (Panther, Red Sky) e il team creativo hanno collaborato a stretto contatto con i sopravvissuti e le loro famiglie proprio per poter rendere giustizia a questi uomini e al loro coraggio, cercando di mostrare la verità dispersa in mare.

Titolo originale: USS Indianapolis: Men of courage
Nazionalità: Stati Uniti
Anno: 2016
Genere: Guerra, Drammatico.
Durata: 105′ (132′ nella versione statunitense)
Regia
: Mario Van Peebles
Interpreti: Nicolas Cage, Tom Sizemore, James Remar, Thomas Jane, Matt Lanter, Cody Walker, Emily Tennant
Sceneggiatura: Cam Cannon, Richard R. Del Castro
Produzione: Michael Mendelsohn, Hannibal Pictures, USS Indianapolis Production
Distribuzione: M2 Pictures
Fotografia: Andrej Sekula
Montaggio: Robert A. Ferretti
Colonna sonora: Laurent Eyquem

Nelle sale italiane da giorno 19 Luglio 2017