Africa ed Europa si incontrano, danzando sulle tavole del palcoscenico del Franco Parenti.


Lo spettacolo firmato da Michela Lucenti e Leonardo Pischedda è un work in progress che mixa danza, recitazione, acrobazie, musiche e racconto per restituire la complessità della vita in un mondo dove gli individui sono sempre più connessi a livello tecnologico e sempre meno disposti a mettersi in discussione e a capirsi sul piano umano.

Per scenografia, la scelta cade su un semplice fondale bianco sul quale scorrono le traduzioni del testo recitato, dall’inglese all’italiano quando sono gli artisti kenioti a raccontare le loro piccole, mostruose storie di abusi quotidiani, subiti in patria o all’estero – da migranti “black”; dall’italiano all’inglese quando sono i danzatori italiani a scambiarsi battute feroci che denunciano una profonda difficoltà nei rapporti umani.

Le storie tratteggiate illuminano come flash il nostro sapere parziale sulla vita degli altri: più semplice e diretta la paura dei kenioti per la violenza della polizia, della folla, di un uomo nei confronti di una donna; più sottile e devastante quella degli italiani, rinchiusi in un egoismo ammantato di consigli freudiani.

A tratti, poi, dialoghi e monologhi si spezzano e racconti che hanno il respiro della favola sono proiettati sul fondale o recitati da una voce off, mentre acrobati e danzatori eseguono i passi a due, che sono certamente le coreografie migliori dello spettacolo in un’atmosfera di rarefatta poesia.

Interessante anche la scelta metateatrale di spezzare le storie di quotidiana paura – di una trasfusione, della morte, del razzismo – con autoconfessioni che denunciano esplicitamente i rapporti e le difficoltà all’interno della troupe, e tra i suoi membri e l’esterno: la volontà di costruire questo percorso-spettacolo e i costi reali di fare una simile scelta. Perché se qualcuno ancora sostiene “l’art pour l’art”, la verità è che uno spettacolo come quello proposto costa 7.000 euro a esibizione e gli acrobati kenioti hanno bisogno di coprire le spese di viaggio e alloggio se voglionoi esibirsi in Europa. Il teatro è anche questo: spudorata, sincera, sferzante autodenuncia di una fragile esistenza sospesa tra “grace” e “money”.

Nel complesso, un’ottima prova con momenti di autentica poesia e che, solamente in alcuni passaggi coreografici, denuncia ancora il suo stato di work in progress.

I prodotti
ideazione e regia di Michela Lucenti e Leonardo Pischedda
coreografia di Michela Lucenti
con gli Afro Jungle Jeegs
produzione Balletto Civile e Artificio 23
con Emanuele Braga, Maurizio Camilli, Michela Lucenti, Asamba Peter Willis Kuria, Were Stephine Odhiambo, Onacha Erik Odida, Agero Nicholas Onyango, Raudo Hamphrey Omondi, Emanuela Serra, Mboka Churchill Wandanda