The-Informant!Steven Soderbergh è uno di quei cineasti molto abili nella direzione dei suoi attori. Avezzo da qualche anno al parterre divistico di celebrities hollywoodiane della sua saga glamour dei vari Ocean’s, in questo suo ultimo lavoro rinuncia agli altri del gruppo e ritrova invece solo un imbolsito Matt Damon.

In realtà non è poco: per interpretare un biochimico di una ditta alimentare che decide di metter in mezzo l’FBI e svelare una truffa ai danni dei consumatori, l’attore è ingrassato ben venti chili e si è trasmurato con esiti sorprendenti in una marionetta esagitata ed incontenibile. Il borghesuccio Mark Whiteacre lavora per una multinazionale del grano, ha una segretaria, una famiglia che lo aspetta a casa, un ufficio e una villetta dagli arredi e dagli sfondi retrodatati (siamo tra il 1992 e il 2002, ma pare di essere capiati per sbaglio in una reclame ovattata degli Anni Sessanta).

Quando lo vediamo denunciare la creazione di un cartello di corporation che vorrebbe tradire il principio base della concorrenza, crediamo d’aver capito. Storia di denuncia, di spie, racconto sociale. E invece no: quell’effetto straniante del decor e della fotografia sapientemente “datata” avrebbe dovuto già destarci qualche sospetto.

Perchè Soderbergh, truffaldino ed eclettico, dietro l’intreccio (solito e serio) dello svelamento di insani meccanismi commerciali, economici e politici, mette in scena in realtà una defezione del Senso. Camuffa il suo attore infiacchito, i toni e ogni lettura univoca. E confeziona una commedia del quasi. La storia è basata sul libro omonimo di Kurt Eichenwald, ma già nell’incipit il regista ci confonde dicendo che la sua fonte è stata solo un grande e rumoroso pettegolezzo. Storia e plot quindi sono quasi veri.

Il personaggio di Damon resta inafferabile: registra e filma tutto con una cura maniacale, indossa delle microspie votato ad un cavilloso senso della giustizia, ma poi inventa storie improbabili di talpe e di agguati, infanzie infelici, adozioni e perizie psiciatriche.

Mark è l’archetipo del quasi; è un quasi schizzofrenico pazzoide, un quasi simpatico ragazzone che vuole aiutare i consumatori, un quasi mitomane che vuole diventare un eroe popolare. O ancora: un quasi rampante corrotto che fa lo stesso gioco di tutti gli altri, un quasi matto che forse ha un sacco di prove e che (magari) da qualche parte, negli Stati Uniti, è realmente esistito (e chissà quando poi…).

Persino il cast del film è “quasi” il solito soderberghiano: manca il fido (e feticcio) Clooney di sempre. Il divo questa volta non si mostra alla macchina da presa, ma “aleggia” e sponsorizza. Oltre a produrre e a figurare tra gli esecutivi, qui sembra davvero di stare quasi in un film dei Coen in attesa che lui appaia sullo schermo.

Certe atmosfere e lo spionaggio qui ridicolizzato nel parossismo (con l’agente 0014 che vale il doppio di 007), nascondono schegge di parentela.

Qui c’è meno grottesco sferzante ed affilato, meno grigio d’atmosfera e di genere, la comedia avanza compiacente e sbeffeggia dalla zona di soglia su cui è sapientemente costruita.
Lasciando sguardi attoniti e sorrisi, serafiche alzate di spalle ed abbaccinanti echi di colori d’antan. Striature tra l’interdetto e il divertito di un abile color quasi giallo, tra mais (per l’appunto), seppia e tuorlo d’uovo.

Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: Scott Z. Burns
Attori: Matt Damon, Melanie Lynskey, Scott Bakula, Thomas F. Wilson, Patton Oswalt, Eddie Jemison, Paul F. Tompkins, Joel McHale, Arden Myrin, Scott Adsit, Rick Overton, Larry Clarke, Ludger Pistor, Samantha Albert, Allan Havey, Rome Kanda, Howie Johnson, Tom Papa, Jayden Lund, Daniel Hagen
Montaggio: Stephen Mirrione
Musiche: Marvin Hamlisch
Produzione: Groundswell Productions, Participant Productions
Distribuzione: Warner Bros Italia
Paese: USA
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 108′