Otto minuti per cambiare la realtà

Jake Gyllenhaal al centro di un thriller d’azione tra psiche e viaggi temporali.

Vedendo Source Code otteniamo un’altra conferma di quanto di noi stessi conosciamo ancora molto poco, di quanto ignoriamo le incredibili capacità e possibilità offerte dal nostro cervello.

Al centro del film c’è, ancora una volta, il treno, irresistibile fonte di attrazione per ogni pubblico fin dai primordi del cinema. Si capisce la sua centralità nel film già dalle prime immagini che mostrano – in maniera alternata – la città di Chicago e il convoglio stesso, da molte angolazioni con bellissime carrellate in direzione contraria a quella in cui si muove.

Proprio all’interno di un vagone “smontabile” che si svolge gran parte del film : «E’ come un lego – spiega lo scenografo Chusid – si smonta in un milione di pezzi in modo che si possano fare delle riprese da ogni angolazione». E in effetti la macchina da presa si muove negli spazi ristretti delle carrozze con estrema disinvoltura, ma senza mai rendere la visione claustrofobica.

«Il Source Code è ciò che rende possibile il passaggio a un’altra realtà per un periodo di tempo limitato di otto minuti», spiega Philippe Rousselet, produttore del film.

Lo spettatore, dopo quelle prime immagini panoramiche, viene catapultato all’interno della vicenda, venendo a conoscenza della realtà solo a poco a poco, di pari passo col protagonista. Il Capitano Colter Stevens – un eccellente Jake Gyllenhaal che torna ad affrontare viaggi e paradossi temporali dopo Donnie Darko – riesce a rivivere, attraverso un nuovo programma militare, gli ultimi otto minuti di vita di un passeggero vittima di un attentato terroristico che si trovava in viaggio su un treno. A guidare il militare – nell’impegnativo compito di scovare l’attentatore in quei pochi minuti prima dell’esplosione – ci sono due strani comandanti che Colter riesce a vedere solo tramite uno schermo.

Il programma Source Code può essere attivato più volte. Inizia, così, una appassionante ricerca di indizi e di persone, in un crescendo di suspense. La colonna sonora è un formidabile strumento in questo senso: i momenti di silenzio sono rarissimi, è costante l’utilizzo di un sottofondo musicale che detta il ritmo, crea attesa e aumenta la tensione. Un esempio di questo riuscito utilizzo, è riscontrabile fin dalle prime, straordinarie, scene, quando il risveglio di Colter nel treno – sorpreso e ignaro di cosa stia succedendo (e il pubblico con lui) – viene accompagnato da note enigmatiche e misteriose, quasi hitchcockiane (anche il maestro inglese del brivido utilizzò il treno e trattò di dilemmi sull’identità in uno dei suoi capolavori Intrigo Internazionale).

Non solo Hitchcock. In Source Code si scovano facili richiami ad altri film di questi ultimi anni: Avatar (i mondi paralleli della mente), Inception (la capacità di modificare la realtà attraverso i sogni o le immagini mentali),  Tron (Colter viene in qualche maniera digitalizzato). Seppur non affrontando tematiche nuove, il film risulta, comunque, originale e affascinante.

Duncan Jones (il regista di Moon), mostra una grande attenzione ai dettagli, sia per quanto riguarda la trama – «Qualche volta dovevamo fermarci e prenderci un’ora di tempo per essere certi che tutto combaciasse» rivela Gyllenhal – che per gli aspetti tecnici e le sfumature emozionali: la macchina da presa compie lenti ma continui movimenti alla ricerca di tutte le sfaccettature emotive presenti sui volti degli attori, spesso inquadrati con primi o primissimi piani. Non sono rare neanche le soggettive di Colter, tanto è vero che lo spettatore per gran parte del film segue il suo punto di vista (ed è per questo che sul treno si vede la faccia di Colter e non quella del passeggero che sostituisce, come sarebbe più logico).

Soggettive, mondi paralleli, psiche, inconscio. Ci sono tutti gli ingredienti per un complicato tranello psicologico. Invece il film mantiene una incredibile fluidità e velocità di svolgimento, tanto da poterlo definire un thriller d’azione. Il finale, invece, risulta maggiormente confuso: la sensazione è che nel complicato puzzle della nostra mente non si riescano a mettere insieme tutti i tasselli e, fuor di metafora, trovare una spiegazione per tutto.

Cosa resta di un film “Zunico e allo stesso tempo commerciale», come lo definisce Rousselet? Fondamentalmente due questioni. La prima: fino a dove può spingersi l’uomo nei confronti dei suoi simili? Qual è il confine tra etica e utilità? Tra bene e male? Emblematica è in questo senso la coppia di comandanti interpretata da Vera Farmiga e Jeffrey Wright.

La seconda: se avessimo veramente la possibilità di tornare indietro di otto minuti cosa potremmo cambiare? Come potremmo migliorare il mondo? È sicuro Gyllenhaal:«Vorrei tanto che un simile programma esistesse davvero per tornare indietro nel tempo. Per entrare in quegli aerei l’11 settembre 2001». In effetti da quel giorno il mondo non è stato più lo stesso. Ma come sarebbe stata una realtà diversa? Inutile fantasticare. Il passato, nella realtà, non si può modificare. Piuttosto possiamo intervenire sul futuro, senza tornare indietro nel tempo ma ora, qui, adesso. Gli otto minuti ripetuti nel film ci mostrano come la realtà può essere molto differente a seconda delle piccole azioni che facciamo. Ecco l’insegnamento che il film ci lascia: cambiare il futuro a partire dalle piccole cose.

Emozionante, accattivante, intrigante. Un’ora e mezza da vivere (e forse rivivere).

Titolo: Source Code
Regista: Duncan Jones
Attori principali: Jake Gyllenhaal, Micelle Monaghan, Vera Farmiga, Jeffrey Wright, Brent Skagford, Cas Anvar, Michael Arden
Genere: thriller, azione
Durata: 93’
Produttore: Mark Gordon, Jordan Wynn, Philippe Rousselet
Produttore esecutivo: Hawk Koch, Jeb Brody,Fabrice Gianfermi
Casa di produzione: Vendome Pictures, Mark Gordon Company
Sceneggiatura: Ben Ripley
Fotografia: Don Burgess
Montaggio: Paul Hirsch
Costumi: Renee April
Musiche: Chris Bacon
Casting: John Papsidera