scusamatichiamoamoreHo voluto essere io il regista, almeno cosi’, questa volta, non potranno dire che il film non era fedele al libro, e sono proprio curioso di sapere se i miei fans saranno soddisfatti“. E tra il fatto che lo fossero (il film era fedele al libro) e l’ipotesi che non lo fossero (chissa’ quela vetta sfiorava lo scritto, irraggiungibile sullo schermo), beh, in entrambi i casi un brivido mi ghiaccia la schiena e penso, senza ombra di dubbio, che peggio di Prieto che interpreta Moccia, c’e’ solo Moccia che filma se stesso.

Frutto di un gigantesco gap cognitivo che affligge la generazione “K” (quella dei lucchetti, per intenderci), Scusa, Ma ti chiamo Amore e’ un incredibile patchwork di fesserie, leggerezze (ma il termine leggero sembra sempre troppo nobile), ingorghi comunicativi, vomiti e rigurgiti di ironia street romanesca (il figlio di Vasco Rossi e’ un colpo molto duro), scimmiottamenti hip hop di una Capitale rintronata e mal raffigurata.

ondeE sconvolge che, alla fine, questo mix micidiale possieda persino un riverbero positivo: fa morire dal ridere, sferrando attacchi di comicita’ pura, demenziale e grottesca, e almeno non esagera nel voler sembrare un film d’amore, tenendosi al di qua della linea dello sdolcinato, rifilando allo spettatore qualche scenetta di un’ilarita’ sostanziale (non si sa se voluta).
Pensiamo alla sequenza in cui Niki e le sue amiche (le O.N.D.E, dalle iniziali dei loro nomi… ma si puo’?) si esibiscono di fronte alla compagna Diletta che vegeta in coma nel letto d’ospedale, cantandole “Piu’ Bella cosa non c’è” di Ramazzotti, con una “verve e un ‘energia” (ehm..) che infittiscono i brividi sulla schiena.

La trama la sanno tutti: Lui, Alex (Raul Bova indecente) e’ un omino imbranato e inefficiente, con la spina dorsale di un bruco.
Lei, Niki, e’ lo stereotipo della diciassettenne fresca e vivace, impudente e sfrontata, che ti riporta indietro nel tempo, ti fa sentire un giovannotto pieno di voglia di vivere bla bla bla.

I due si incontrano a mezzo incidente d’auto (che fantasia sfrenata), mentre il sorgere della loro storia delinea i contorni dell’improbabile e del surreale.

Niki praticamente molesta Alex portandoselo a letto la sera del loro primo bacio (e sorvoleremo sui comunque rilevanti aspetti legali -e morali- della vicenda in odor di pedofilia), che per tutta risposta organizzera’ un’escursione di gruppo nei corridoi della beata giovinezza invitando i suoi amici molliconi e quarantenni ad uscire col gruppo di bimbe compagne di Niki, dando vita ad una sequenza raccapricciante in cui osserviamo una comitiva di invertebrati sbavare dietro a bimbette che giocano a fare le Winx.
Ma non importa, questo e’ amore secondo Moccia, e in amore non ci sono confini, regole etc etc.

Per non parlare dell’incredibile approccio dei genitori di Niki alla faccenda. Lo sanno e ne ridono insieme beffardi e complici, scambiandosi mezze informazioni che coinvolgono il figlio minore nel “totocoppia Niki – Alex”; “Niki va a letto con qualcuno?“, chiede il padre (Pino Quartullo), che di fronte al silenzio eloquente della madre (Cecilia Dazzi) sbotta “Uffa, ma sono sempre l’ultimo a sapere le cose?
Dico, ma ve lo immaginate?

E veniamo al nocciolo della storia, la colonna portante di questo viaggio nell’amore ai tempi delle videochiamate: i due protagonisti.

Funzionano come il cacio sul cioccolato, o i frutti di mare sulla pizza (giusto per tenerci al passo con la finezza dei dialoghi di Moccia). Bova, provolone ipertrofico di respiro internazionale, spruzza mascolinita’ quanto Alfonso Signorini, e recita indeciso fra quale personaggio dei cartoni animati imitare (alla fine sembra propendere per Nemo, tutto occhioni e smorfiette bricconcelle). Seppur condannata da una qualita’ vocale cantilenante che la fa somigliare irrimediabilmente a Giada De Blank, Michela Quattrociocche e’ il pezzo forte del duo: briosa, simpatica, porta lei i pantaloni nella coppia, e palesa piu’ buon senso del suo Pigmalione, a cui finira’ per dare dritte anche sul lavoro.

Ma il tentativo di riequilibrare le eta’ con una distribuzione sbilanciata delle personalita’, davvero non riesce a rendere meno fastidiosa la visione di un “signore” tanto piu’ anonimo quanto squallido, che si scopre a infilare le mani sotto la minigonna di una ragazzina monella che per schernirlo lo chiama “papa’ “.
L’apoteosi del ribrezzo.

Benche’ in realta’ il film sia stato girato (di poco) meno peggio dello sciagurato “Ho voglia di te” e, quanto meno, paia non volersi prendere cosi’ tanto sul serio, puntando, piu’ o meno consapevolmente, su aspetti grotteschi e burleschi, non si intravede niente di salvabile in un opera che, al messaggio improprio, associa una scadente regia che fa del superficiale a tutti i costi il proprio marchio di fabbrica, e che si prefigge infine (cosa gravissima) il compito di issarsi a vessillo di una generazione che, nelle frasi senza senso e nella banalita’ sfrenata e commerciale (oltre alle solite corse d’ auto che dovrebbero innervare il tutto di ribellismo), ritrova un porto sicuro in cui rifugiarsi, certa che li’, nel comodo mondo di Moccia, nessuno pretendera’ che ci si affatichi a mettere in marcia il plotone di neuroni assonnati.

Colonna sonora di questa poltiglia popolar zuccherina a firma dei compagni di merende di Federico Moccia, il gruppo che nel suo nome investe un significato, gli ZeroAssoluto, contribuiscono musicalmente (ma anche un po’ di presenza) a condire (stordire) il girato maldestro, che mette un punto all’agonia della visione utilizzando un’iconografia in stile Titanic (i due abbracciati illuminati nel tramonto), a cui si affianca la straziante consapevolezza che a Bova, purtroppo, non tocchera’ il destino di affogare.

Scusa, Ma ti chiamo Amore: Agghiacciante. L’universo di Moccia e’ un acquario in cui la stupidita’ viene difesa, legittimita, finanche nutrita.

La Frase: Se vuoi intervengo“, Raul Bova, Scusa, Ma ti chiamo Amore, 2008

Voto: 2