Il ciabattino dei sogni

Presentato al Lido e giunto nella Capitale per la rassegna Da Venezia a Roma, il nuovo documentario di Luca Guadagnino, Salvatore: Shoemaker of Dreams, è il racconto tradizionale della vita assai cinematografica di Salvatore Ferragamo.

Del cinema italiano contemporaneo Luca Guadagnino è uno degli autori più internazionali nonché il regista con il percorso più atipico. Dopo aver esordito nel 1999 con il docufilm The Protagonists, dove uno sconosciuto studente di cinema palermitano iniziava la sua collaborazione con Tilda Swinton, ha proseguito la sua filmografia prima con il pessimo Melissa P., da Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire per poi proseguire con due discreti successi di pubblico e di critica (Io sono l’amore, particolarmente apprezzato negli USA, e A Bigger Splash) fino ad arrivare alla consacrazione definitiva con l’instant cult Chiamami col tuo nome e il più controverso remake di Suspiria.

Se dopo il curioso ibrido di The Protagonists Guadagnino ha acquisito notorietà con i suoi cinque film di finzione, il regista palermitano ha proseguito parallelamente un percorso meno noto di spot pubblicitari e documentari, fra cui Cuoco Contadino, Bertolucci on Bertolucci e Inconscio Italiano, sul colonialismo italiano in Etiopia. Questa sua nuova opera documentaristica – la prima dopo una pausa di sette anni – arriva negli stessi giorni in cui HBO e Sky si accingono a trasmettere la sua prima serie televisiva, We Are Who We Are.

La vita di Salvatore Ferragamo è stata indubbiamente una vita molto cinematografica, per quanto si sia fortunatamente evitato il rischio del biopic nel senso stretto della parola. Nato a Bonito in provincia di Avellino da una famiglia umile e numerosissima, già a nove anni aveva sorpreso tutti i parenti fabbricando in una sola notte le scarpe per la comunione della sorella. Dopo la morte del padre era stato apprendista ciabattino per un anno a Napoli per poi migrare in America dove, dopo un breve periodo insoddisfacente in fabbrica, si era stabilito in California, facendosi presto notare dalle star della nascente industria cinematografica. Dopo anni di grande successo in America fidandosi del suo istinto, Ferragamo era tornato in Italia aprendo una fabbrica a Firenze e, dopo aver subito una pesante botta d’arresto dopo la crisi del ’29, stabilitosi a Palazzo Spini Ferroni aveva continuato a espandere il suo impero della moda e della calzatura, fino alla sua precoce morte nel 1962.

Nelle primissime inquadrature Salvatore: Shoemaker of Dreams sembra richiamarsi al cinema documentaristico di pura osservazione à la Wiseman, ma presto – inevitabilmente, se si considera il soggetto trattato – il lungo docufilm assume un impianto narrativo piuttosto classico, in cui pagine dell’autobiografia di Ferragamo lette da Michael Stuhlbarg – attore simbolo del cinema di Guadagnino da quando ha interpretato il ruolo del padre di Elio in Call Me By Your Name – si alternano a registrazioni audio risalenti agli anni cinquanta della viva voce di Ferragamo, accostate a testimonianze dei famigliari dello stilista – inclusa la vedova Wanda, scomparsa nel 2018 a 96 anni pochi mesi dopo aver girato la sua intervista e alla quale il documentario è dedicato – e a riflessioni di diversa durata da parte di studiosi della moda, del design e del cinema.

In un ruolo atipico ma affabile di narratore c’è anche Martin Scorsese, che appare più volte nel corso della durata del film a evidenziare come era e come doveva percepire l’America Salvatore negli anni da immigrato. Il montaggio mescola a queste interviste splendide fotografie d’epoca, video di famiglia della famiglia Ferragamo, spezzoni di film e di cartoni animati del periodo e coperture girate nella California e nella Firenze dei nostri giorni.

Le ben due ore di durata di Shoemaker of Dreams sembrano proporzionate all’ampiezza e all’importanza della storia trattata, ma probabilmente non avrebbe tolto molto al film fare qualche taglio in più. Le interviste sono molto frontali dalle quali però vengono tagliate le domande dell’intervistatore, lasciando solo le risposte a comporre – anche grazie all’intelligente montaggio di Walter Fasano – un racconto polifonico della vita, dell’arte e della personalità di Ferragamo che Guadagnino sembra ascoltare con attenzione senza mai intervenire direttamente. I fulcri tematici del racconto di Ferragamo – e della sua famiglia, che tuttora gestisce una casa di moda con un fatturato di oltre un miliardo e mezzo l’anno – sono inquadrati molto chiaramente: il documentario lo presenta come un profeta e un fautore del marchio Made in Italy, che non ha mai perduto l’originaria ispirazione artigianale del suo lavoro pur essendo inestricabilmente legato al cinema e al cinema hollywoodiano in particolare.

Salvatore: Shoemaker of Dreams non si distingue per particolari originalità di approccio o innovazioni stilistiche rispetto al genere cui appartiene, ma è sicuramente un lavoro di qualità in cui la presenza di Guadagnino alla regia permette di avere un respiro ampio e di essere un documentario meritevole di approdare non direttamente sullo schermo di una tv ma al cinema.

Titolo: Salvatore: Shoemaker of Dreams
Regista: Luca Guadagnino
Sceneggiatura: Dana Thomas
Voce narrante: Michael Stuhlbarg
Fotografia: Clarissa Cappellani, Stefano Di Leo, Lucas Gath, Massimiliano Kuveiller
Montaggio: Walter Fasano
Produzione: Memo Films, Frenesy Film
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 120’
Genere: documentario, biografico