Delude la creatura di Scott

Ridley Scott torna al suo primo amore, lo sci-fi. Peccato che Prometheus ponga troppe domande e dia poche risposte.

1979: Alien. 2012: Prometheus. Inizialmente doveva essere un prequel. Idea suggestiva e accattivante. Tuttavia Scott vira su una nuova mitologia, evitando di costruire la vicenda sul protagonista dei primi quattro episodi. Difatti il regista britannico incentra la pellicola su un gruppo di esploratori che si interroga sulla creazione dell’uomo. E la stessa squadra, dopo aver interpretato (malamente) come invito una serie di pitture rupestri, cerca di raggiungere il pianeta su cui dovrebbero esistere gli Ingegneri, gli artefici dell’umanità. Il dovrebbero è d’obbligo perché il pianeta si mostra inospitale, privo di forme di vita e con l’aria irrespirabile. Ma le scoperte non si fanno attendere e due alieni (con sembianze umanoidi) hanno il Dna conforme al nostro.

L’incipit è una domanda, la Domanda: “da dove veniamo?”. E non importa se si calpestano millenni di darwinismo o la fede nella creazione divina (o aliena). Scott ci fornisce un assaggio delle nostre origini in apertura di pellicola, nella quale un alieno da un conato di vomito crea una struttura cellulare. Tuttavia, l’azione fantascientifica, che si attende spasmodicamente, viene sostituita da un’eccessiva verbosità (che ostenta un sottotesto velatamente filosofico) e da una noia imperante. Pochi gli effetti speciali della pellicola – che fa sfoggio di stilemi horror – perentoriamente inscritti in uno script poco convincente. Il cineasta risponde alla Domanda (ci hanno creato loro e il motivo è perché ne sono capaci) e per amore della creatività cinematografica non poniamo delle riserve alla sua teoria; peccato che, non sentendosi appagato, Scott ne ponga un’altra, probabilmente più ostica (da dove vengono?) a cui non può rispondere esaustivamente.

Ma entriamo più nello specifico per quanto riguarda la squadra di esploratori. La dott.ssa Shaw (Noomi Rapace) è la più legata alla fede, ma soprattutto è desiderosa di scoprire, scovare e comprendere. È la nuova Ripley, senza armi al seguito, ma con lo stesso istinto di sopravvivenza. Il dott. Holloway (Logan Marschall-Green) è un darwiniano convinto, il ragazzo della dott.ssa Shaw; David (Michael Fassbender), è l’androide che ricorda per atteggiamenti il kubrickiano Hal 9000, mentre Meredith Vickers (Charlize Theron) è un’esponente della compagnia che finanzia il viaggio. Naturalmente ci sono altri componenti, ma questi sono i principali e, se la Rapace e Fassbender (dotato di una sconvolgente compostezza interpretativa) convincono a pieno, gli altri rivelano stereotipia e superficialità di caratterizzazione.

Nonostante i riferimenti ad Alien esistano e siano anche necessariamente sottolineati (l’ibernazione, la figura del droide David che sostituisce Ash e i facehugger, ovvero dei parassiti tentacolari), non bastano. Prometheus è un film che delude le aspettative e che si attesta su una prevedibilità del genere, non solo dal punto di vista contenutistico (domande a cui non si può dar risposta e la consapevolezza che l’uomo è una parte molto piccola dell’universo), ma anche per quanto riguarda gli elementi tecnici: fotografia, scenografia e mobilia spaziale. Curiosità: dopo che Elizabeth Shaw registra il messaggio d’allerta per altre potenziali navi spaziali, uno squarcio apre un corpo. Appare finalmente Alien e il prequel prende forma. Ma il film è finito e, come ho già accennato, purtroppo non basta.

Titolo: Prometheus
Regista: Ridley Scott
Sceneggiatura: Jon Spaiths, Damon Lindelof
Attori principali: Noomi Rapace, Michael Fassbender, Guy Pearce, Idris Elba, Logan Marschall-Green, Charlize Theron, Ben Foster, Rafe Spall
Fotografia: Dariusz Wolski
Montaggio: Pietro Scalia
Musiche: Marc Streitenfeld
Prodotto da Scott Free Productions, Dune Entertainment
Distribuzione: 20th Century Fox
Genere: Thriller, Fantascienza
Durata: 124’