Per esordire sul grande schermo “anche” dietro la macchina da presa (gli altri ruoli li ha gia’ coperti quasi tutti), Muccino sceglie un soggetto pretenzioso e (almeno nelle intenzioni) complicato e ricco di sfumature e temi d’eccezione.

Ovviamente condurre la nave in porto non e’ cosa semplice, ma non tutto va buttato in quella che Muccino stesso definisce “il risultato di un ego gigantesco.” Regista, sceneggiatore, soggettista, attore protagonista presente in quasi tutte le inquadrature, l’ex tartagliante Muccino junior si cimenta dunque con un canovaccio apparentemente classico (lui, povero e solo al mondo, vuole lei, ricca e seducente, dall’eta’ di otto anni, mentre lei quasi ne ignora l’esistenza), dal quale si diramano una mole di subplot tenuti insieme in maniera discreta, se si pensa che l’intera faccenda poteva finire in vacca (per esser fini: alla Moccia maniera), con mille accenni buoni a riempire i vuoti ma inconsistenti e in odor di qualunquismo.

La dipendenza (da una donna, dalla droga, dall’alcool, dal senso di colpa che in qualche modo ci tiene in vita, dal poker), l’amicizia, il senso di appartenza, le differenze sociali che si sgretolano di fronte all’abilita’ (nel senso anglofilo di skills), che appara gli status e rende Sasha (Muccino) uno strano esemplare di eroe moderno che con la forza della sua bravura nel gioco, soggioga l’inaccessibile cricca di yuppie di cui si circonda la sua amata Benedetta. E ancora la trasversalita’ dell’amore (l’eta’ e’ sempre e solo un dettaglio), fino all’esposizione del teorema amoroso, che dimostra quanto l’innamoramento sia spesso il frutto della nostra fantasia, mentre l’oggetto d’amore non ha nessun merito (e forse, aggiungo io, nessuna colpa).

E’ solo ideale costruitosi nel tempo, rinsaldato dal collante che cementifica i voli pindarici: l’assenza. La mancanza che crea un buco riempibile di sogni e aspettative, a cui magari la persona amata non corrispondera’ mai.

Sasha insegue Benedetta (Crescentini in realta’ molto maledetta), servendosi di un mentore d’eccezione, Nicole, conosciuta per caso (Aitana Sánchez-Gijón, indimenticabile emblema di femminilita’ e arrendevolezza ne Il Profumo del Mosto Selvatico), e trattenuta come un toccasana benefico di cui e’ impossibile disfarsi.

Il gioco della seduzione a cui Nicole inizierebbe Sasha si riduce in realta’ ad un paio di scenette teatrali e al consiglio su un profumo da acquistare, mentre pare evidente (anche al marito di Nicole, un Andrea Renzi di nuovo nei panni del coniuge fantasma – Le Fate Ignoranti, La Spettatrice), che il rapporto fra “maestra” e “allievo” sia sempre sul punto di trasformarsi in altro, ribaltando posizioni e oggetti del desiderio.

Muccino si regala dunque un ruolo copperfieldiano, in cui al fisico lavorato e nuovo di zecca (lontana la corporatura acerba di Ricordati Di Me) aggiunge quel pizzico di ribellismo decadente da lupo solitario tartassato da una vita infausta, che siamo certi consolidera’ il suo mito presso le giovanissime.

ll film, tratto dal romanzo omonimo scritto da Muccino a quattro mani con la sceneggiatrice Carla Vangelista, azzarda in tematiche e suggestioni, pretendendo di abbracciare un vissuto che va dalle ambientazioni della borghesia capitolina in stile Eyes Wide Shut (ai limiti dell’emulazione, tanto piu’ citazionista quanto piu’ risibile), fino alle sedute degli alcolisti anonimi in palestre dismesse, passando per i racconti delle angosce delle simil patologie che si annidano in ognuno di noi rendendoci inevitabilmente borderline (abbastanza buona la scena dell’attaco di panico di Sasha bloccato nella toilette di un bar).
Non tutto torna, certo, e “l’epicita’” dello stesso Sasha appare a tratti inverosimile (quasi da western i toni dello scontro finale fra Sasha e il suo padre putativo al tavolo da poker, reo di averlo abbandonato “come tutti”, coinvolto in una nemesi che sa di resa dei conti esistenziale).

Stupisce poi come quello che si e’ sempre confermato un buon sceneggiatore di commedie adolescenziali (Che Ne Sara’ Di Noi, Come Te Nessuno Mai), scada qui in dialoghi e scambi di battute a tratti banali e da melo‘, a cui seguono tempi recitativi forzati e poco naturali, che non ricordano affatto la spigliatezza di personaggi in precedenza costruiti da Muccino .

Forse il pargolo d’oro del cinema italiano questa volta ha preteso un po’ troppo da se stesso, e ha pensato di poter gestire (bene e con scioltezza) tutta una quantita’ di emozioni che in piu’ punti gli sfuggono di mano, facendo rimpiangere una certa essenzialita’ presente nei suoi precedenti lavori di scrittura, evidentemente trasposti sullo schermo con piu’ saggezza e maturita’ (Gabriele Muccino, Verdone, Veronesi).
Un po’ prolisso, dunque, oltre che ampolloso e inutilmente ricercato, con qualche indugio nel montaggio e molta autoindulgenza nel final cut.
Alla prossima, con qualcosa di piu’ asciutto.

Parlami d’Amore: Molto Rumore Per Nulla.

La Frase:“Noi abbiamo il sangue marcio”, Silvio Muccino, Parlami d’Amore, 2007

Voto: 5