Eclisse d’Argento

Recensione Occhiali Neri. Dieci anni dopo il flop di Dracula 3D e pochi mesi dopo la partecipazione da attore al Vortex di Gaspar Noè, Dario Argento torna alla regia con Occhiali Neri, un giallo classico, troppo classico, che occhieggia gli stilemi degli anni settanta.

Per parlare di Occhiali Neri ci potremmo forse limitare alla sequenza iniziale. L’atteso nuovo film di Dario Argento, arrivato un decennio dopo Dracula 3D, inizia infatti con la sequenza di un’eclisse su Roma ambientata all’EUR. «I nostri antenati temevano l’eclisse. Pensavano che la sparizione del sole fosse la fine del mondo», sentiamo dire a delle comparse, mentre la protagonista, un’avvenente prostituta romana interpretata da Ilenia Pastorelli, passa in macchina accanto a un prato pieno di persone con lo sguardo all’insù.

Basta questa sequenza per descrivere il senso profondo di Occhiali Neri perché sintetizza un crocevia di ispirazioni da sempre presente nel cinema di Argento: l’incipit di Occhiali Neri infatti omaggia contemporaneamente L’Eclisse di Antonioni e Macchie Solari di Armando Crispino. L’Eclisse, rigoroso film d’autore sull’incomunicabilità recentemente riscoperto da Carlo Ginzburg in chiave antropologica, sta soprattutto nell’ambientazione – nel film di Antonioni, una vera eclisse non c’era mai, era un’eclisse dei sentimenti, una disumanizzazione all’insegna della tecnica il vero fulcro del film. Al contrario Macchie Solari, uno dei tanti B-movies sfornati dalla cinematografia nostrana in quegli anni d’oro, capace bene o male di resistere alla prova del tempo, Occhiali Neri lo onora nell’immaginare una correlazione tra bizzarri fenomeni spaziali e un’escalation di violenze nella città di Roma.

Che “il tempo fuori dai cardini” fosse il segnale d’inizio di una tragedia lo sapeva già Amleto: come già fatto da La notte dei morti viventi di Romero in America, Argento ha avvertito il bisogno narrativo di inserire all’inizio del film, in apparenza del tutto slegata dal prosieguo della trama, questa sequenza dell’eclisse. Così impostata, la scena apre consapevolmente echi antropologici non da poco, rinnova una percezione dei nessi tra horror e tragedia che meriterebbe di essere approfondita e lascia per un attimo presagire una meta-riflessione sull’horror come pure Argento, da conclamato maestro del genere, si potrebbe permettere di fare a ottantadue anni: ma poi Occhiali Neri rientra subito nella norma e, per l’ora e mezza scarsa di durata, procede diritto per la sua strada come un classico horror argentiano, con sbudellamenti, inseguimenti stradali, un pizzico di erotismo e il solito armamentario di animali, stavolta soprattutto cani e serpenti.

Che altro si può dire? Atteso e al tempo stesso temuto dai fan del regista romano – Dracula 3D aveva azzerato le speranze di molti di vederlo tornare ai fasti di un tempo – Occhiali Neri non aggiunge nulla alla filmografia di Dario Argento né alla gloriosa tradizione del giallo all’italiana ormai defunto, ma è un discreto ritorno per un regista che i più giudicavano ritirato, superato, invecchiato male. La trama è minima, la scoperta dell’identità del misterioso assassino che va in giro per Roma a uccidere prostitute con un furgone bianco ricorda Profondo Rosso ma per antitesi, per quanto chiamato e prevedibile fosse il colpo di scena; l’idea di Chin/bambino cinese co-protagonista del racconto sembra presa da Boris, e questo vale in generale per tutta la sottotrama del rapporto filiale che si crea tra lui e la protagonista dopo che il serial killer, cercando di uccidere lei, ha provocato un incidente stradale in cui sono morti i genitori del bambino. La fotografia è al servizio della storia, ma Matteo Cocco sarà senza dubbio ricordato per Volevo nascondermi, non per Occhiali Neri. Le interpretazioni, salvo qualche momento, sono discrete, Asia Argento, stavolta anche co-produttrice, è anche più in parte del solito nell’interpretare l’assistente sociale che, dopo che l’altra aveva perso la vista nell’incidente stradale, istruisce la protagonista su come vivere da ciechi.

Nella sua concezione, Occhiali Neri è un film nato un po’ vecchio, ma in fondo va bene così: sembra un horror-thriller di media fattura datato anni settanta girato col digitale e, posto che non sempre gli horror contemporanei con tutti i loro sottotesti e sottotrame si ricordano del loro genere di appartenenza, Occhiali Neri fa il suo dovere, di tanto in tanto fa anche un po’ paura. Ritorna alla mente un passo de L’immagine del disastro di Enzo Ungari, in cui, scomodando anche Edipo, si affermava che la cecità al cinema è sempre un paradosso, nel far vedere chi non vede. Quarant’anni fa, Argento aveva realizzato uno dei primissimi horror in piena luce, Tenebræ, ambientato anch’esso tra le geometrie dell’EUR. Con quest’opera tarda, liminare, Argento fa vedere la paura di chi non può vedere e deve difendersi con ogni mezzo un serial killer che, in ogni caso, non si faceva vedere, rinchiuso dietro i finestrini del suo furgone o nascosto in mezzo ai cespugli di un parco dietro all’hotel di lusso. Questa doppia cecità non è abbastanza per provare l’Orrore, eppure basta per un po’ di timore. Suspiria è lontano, ma ci accontenteremo.

Titolo: Occhiali Neri
Regista: Dario Argento
Sceneggiatura: Dario Argento, Franco Ferrini
Attori principali: Ilenia Pastorelli, Asia Argento, Andrea Gherpelli, Xinyu Zhang, Viktorie Ignoto
Scenografia: Marcello Di Carlo
Fotografia: Matteo Cocco
Montaggio: Flora Volpelière
Costumi: Luigi Bonanno
Produzione: Urania Pictures, Getaway Pictures, Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 87’
Genere: horror, thriller
Uscita: 24 febbraio 2022