Cosa succede se risvegli i folletti che vivono nei sotterranei di una villa abbandonata?

Non avere paura del buio è, senza (purtroppo per lui) mezzi termini, un film di genere. Presentando puntualmente un’ossatura rigida e regolare (che comunque, di per sé, non è necessariamente un male), il lungometraggio di Troy Nixey è un horror di folletti maligni che, in virtù di un accordo vecchio di secoli, una volta risvegliati dal loro covo in una villa abbandonata, si accaniscono preferibilmente contro dei bambini, per sottrarre loro i denti al fine di cibarsene. Nel film il ruolo della vittima lo ricopre Sally (Bailee Madison), una bambina che vive il difficile momento della separazione dei genitori e che si sente abbandonata da una madre sempre assente (di cui sentiamo solo la voce in uno sprazzo di telefonata) e accolta da un padre (Guy Pearce) che, sebbene le voglia bene, è completamene rapito dal suo lavoro di restauro della sciagurata villa dove si svolgono i fatti. All’inizio isolata, Sally viene così avvicinata da queste misteriose creature: ma mano a mano che esse si faranno sempre più minacciose, la piccola incapperà\cercherà l’aiuto di altre persone, dal guardiano Harris (Jack Thompson) fino alla compagna del padre, Kim (Katie Holmes), l’unica che prenderà sul serio i problemi della piccola.

E adesso? Finita la sinossi? Queste ovviamente sono le premesse e non sta certo a noi raccontare cos’altro succede, quanto a una ipotetica visione del film: il problema è che, date le premesse, tutta la storia non può che andare in una direzione e una soltanto. E questo è il maggiore e più grande difetto di questo film – nonché di quelli cosiddetti di genere, in assoluto. Non c’è la benchè minima volontà di rischiare e questa condizione si dà per tanti diversi motivi, per esempio la canonizzazione delle storie o il non lanciarsi in un’opera sui generis, temendo poi un flop. Non sottovalutiamo questi problemi, sono essenziali alla nascita di qualsiasi progetto artistico, soprattutto quando richiede un discreto numero di denaro. Non considerare l’aspetto economico in una produzione di medio alto livello come questa rischia di far parlare in maniera trasognata del film, che nonostante il suo soggetto, è tutt’altro che fantasioso, anzi, è un’applicazione di un modello in maniera così regolare che sembra che si sia quasi fatto da solo seguendo un ipotetico manuale. Perché una domanda, tra le varie, esce fuori: dove si trova la regia di Nixey? L’atmosfera del film non è sublimata dalle inquadrature, al punto che il momento registico più interessante di tutta l’opera (che comunque è fatto di un totale e un campo\controcampo tra primi piani e qualche dettaglio) si svolge fuori dalla casa-fulcro delle vicende, nella biblioteca della vicina città. Nella magione degli orrori, invece, tutto è già noto e tutto è già scritto: a che serve riprenderlo in maniera interessante o stimolante? Quei dettagli, le scale di legno, i giocattoli, le grate delle prese d’aria in ferro battuto, i sotterranei, il bagno: un universo di luoghi e materiali che nel tempo si è costituito come un insieme di significanti dal significato ben (pre-) definito. Dunque, il film è abbastanza piatto dal punto di vista della regia, quasi totalmente privo di costruzione delle inquadrature e, sebbene sia molto dedito all’utilizzo di una ripresa fluttuante – una specie di steady magica, dall’incedere morbido – quasi stessimo assistendo alle riprese di un fantasma, dona al girato una patina rigorosa e spenta. Laddove il soggetto è tanto magico e misterioso, fa contrasto (un contrasto non produttivo) una regia, diciamolo pure, misera, povera di soluzioni.

Ma se non c’è regia, ci può essere cinema? Le visioni odierne dicono (con molta arroganza) che sì, ci può essere. Prendiamo questo come un dato di fatto e invece di partire contro il nostro personalissimo mulino a vento, cerchiamo di capire – cosa sempre più utile – perché questo film è come è. E la risposta è Guillermo del Toro, che è produttore, tutore, mentore, co-tutto di questa opera e il suo zampino si sente in ogni secondo che passa una volta partito il buio di sala. Non ci esporremo su del Toro, poiché la questione è lunga: ma ci sentiamo di ribadire che un’idea, anzi uno spunto di idea, una sensazione, un’atmosfera, sono cose difficili da passare sullo schermo. Certe idee e certe atmosfere sono anche più difficili della altre, come quelle che del Toro, appunto, privilegia: perché sono non quotidiane (i mostri, le paure ancestrali) e perché, nonostante il loro essere complicate da approcciare, sono state tra le più sviscerate tra letteratura, cinema e teatro. Come poter catturare qualcuno, oggi, con queste narrazioni? Come poter avvicinare qualcuno che, magari, non ha una naturale affinità per l’universo che si vuole ricomporre sullo schermo o sulla pagina bianca di un libro – ma in assoluto qualsiasi spettatore anche solo minimamente critico? Bisognerebbe sfruttare al massimo le caratteristiche del mezzo che si usa, con rispetto, ricerca, consapevolezza, magari anche con virtuosismo: nella fattispecie, bisognava che di tutte queste sue idee e ambizioni, del Toro ne facesse un film e non un racconto filmato, per cominciare. Bisognava che Nixey osasse qualcosa in più. Bisognava che qualcuno si domandasse e facesse riflettere sul perché un supposto film di atmosfera, nonostante qualche buona intuizione, svilisse e quindi tradisse tanto lo spazio dove è ambientato, che, invece, dovrebbe essere la sua quintessenza. Bisognava essere un pochino più raffinati e tratteggiare meglio le parti umanistiche della vicenda, come il rapporto della piccola coi suoi, purtroppo molto stilizzato al punto da sembrare in qualche circostanza divertente. Insomma, bisognavano tante cose che, ci spiace dirlo, ma non sono state fatte o fatte abbastanza e il risultato ne risente tanto. Al punto che la sensazione che ha dominato la nostra mente a fine visione è stata quella del “vuoto”, sensazione che poi fa sempre inevitabilmente pensare all’occasione sprecata. C’è però da dire che il titolo funzione: al buio di sala non abbiamo avuto nessun sussulto. Chissà cosa ne penserebbero i folletti, di questo film.

Titolo: Non avere paura del buio (Don’t be afraid of the dark)
Regista: Troy Nixey
Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Matthew Robbins
Attori principali: Katie Holmes, Guy Pearce, Bailee Madison, Jack Thompson
Genere: horror – drammatico
Durata – paese: 99 min – USA
Anno: 2010
Produttore: Guillermo del Toro, Mark Johnson
Casa di produzione: Gran Via, Miramax, Tequila Gang
Fotografia: Oliver Stapleton
Montaggio: Jill Bilcock
Musiche originali: Marco Beltrami, Buck Sanders
Uscita nelle sale italiane: 13 gennaio 2012