Il pianeta di von Trier ci attrae implacabile nella sua danza macabra

Un bel film sulla fine del mondo (come recita uno degli slogan che lo accompagnano), in un prologo e due atti.

Melancholia, di Lars von Trier. Un bel film sulla fine del mondo (come recita uno degli slogan che lo accompagnano), in un prologo e due atti. Un atto per ognuna delle protagoniste (Kristen Dunst e Charlotte Gainsbourg), sorelle che attendono, con sentimenti radicalmente opposti, lo scontro del pianeta Melancholia con la Terra. Una delle due proverà a sposarsi, a credere in una vita ordinata e migliore, mentre l’altra cercherà di conservare la sua idea di vita ordinata e migliore e di non farla scivolare nell’incubo della paura e della rassegnazione.

Sappiamo come sono lavorati (e come lavorano sullo spettatore) i film di von Trier: potenti e pungenti, non lasciano all’animo di chi guarda molto spazio per respirare, ma anzi, se provano ad aprire (e aprirci) verso qualcosa, questo altro non è che la claustrofobia e l’oppressione. Possiamo dire che Melancholia, sia severo, spietato con il cuore dello spettatore, ma è anche limpido e chiaro in questa sua impostazione: non si può non sapere come sia, non si può ignorare a cosa si vada incontro se si intrattiene una qualsivoglia relazione con lui. O, almeno, sarebbe meglio essere preparati. Melancholia è anche un’opera rigorosa, che presenta delle scelte cinematografiche perpetrate dall’inizio alla fine, quale che sia il costo per lo spettatore e di questo, nella maniera in cui può esserlo un film, se ne compiace: quindi, apparendo orgoglioso di sé, non dimostra un fare scontroso, difficile, ma si lascia avvicinare da chiunque – salvo poi propinare a chiunque, senza eccezioni, gli stessi effetti della sua compagnia.
Insomma, Melancholia è, con grande sforzo di semplificazione, più o meno, un film alla mano e travolgente, affabile e distruttivo. Ovvio che la questione sia ben più complessa, ma sulle prime potremmo descriverlo così e indirizzarvi correttamente nel formulare le vostre prime (e uniche, poi vedremo perché) impressioni il giorno che farete la felice scelta di conoscerlo.

Affabile e distruttivo. A leggerla così, questa sommaria descrizione, potrebbe essere, anche attribuita a un qualsiasi film di Michael Bay o (sperando che apprezziate la nostra ora meno sottile ironia) di Uwe Boll. Siamo sicuri che Lars von Trier, che pure ha parlato in toni (apparentemente) schizoidi del suo film – ora bene, ora male – non apprezzerebbe molto i nostri accostamenti: e avrebbe ragione. Melancholia è un film come pochi altri sotto ogni punto di vista.

L’opera ha una struttura narrativa placida e chiara – come d’abitudine nei film del regista danese – e, se ci concedete un piccolo spazio per inserire un nostro personalissimo giudizio (ma provate a giudicare diversamente da come abbiamo fatto noi), ha un prologo che da solo vale, come soddisfazione degli occhi e della mente, quasi tutta la visione. Von Trier gioca a carte scoperte fin dall’inizio e lo fa su tutti i livelli: non nasconde nulla né delle scelte di regia, né riguardo a quelle di fotografia o di sceneggiatura. Questo non è, infatti, un film con qualcosa di inaspettato o sull’inaspettato, ma, piuttosto, un film sul noto e sull’inesorabile. Tutti sanno all’interno di Melancholia – e quando sembra che non sappiano, poco dopo viene suggerita l’ipotesi che semplicemente fingano di non sapere.

Tutto è evidente, tutto è chiaro, tutto è alla luce del sole (e del pianeta Melancholia) e, così come è palese che von Trier abbia attinto a piene mani dal romanticismo tedesco (per sua stessa ammissione, comunque), è altrettanto manifesto che sia riuscito a fare qualcosa di diverso, di attuale, di emancipato dalla sua matrice, senza rinnegarla.

Qualcuno, a prescindere dalle brevi note di regia che poi formuleremo, potrebbe dire che un film di oltre due ore, con relativamente poca polpa narrativa possa essere poco interessante, soprattutto se quel poco che c’è viene esaurito in poco tempo e dunque abbandonato alla lunga attesa che tutto l’annunciato si compia. A ben pensare, l’attesa di qualcosa di noto è un’espressione di suspance che, al cinema, è largamente sfruttata, seppur raramente così tanto a lungo. Quando un gruppo di ventenni entra in una casa nel buio bosco durante un temporale sappiamo più o meno tutti come andrà a finire e, forse proprio per questo, non tarderemo molto per vedere le nostre aspettative – in linea di massima – soddisfatte. L’attesa di quel qualcosa di noto, in effetti, appartiene più, però, al campo delle nostre aspettative, soprattutto nei film di genere, ampiamente codificati, che molto si servono di suddette aspettative. Quello che definiamo come già noto (per esempio, l’assassino che stermina i giovani di cui sopra, tranne uno) non è un’aspettativa che ci conferma in maniera esplicita il film, ma una che coltiviamo noi: e siamo certamente aiutati da ciò che appare sullo schermo, ma non completamente indirizzati – rimane comunque una nostra scelta quella di immaginare in toto cosa accadrà. Ed ecco un’altra notazione interessante su Melancholia (una delle moltissime, quasi infinite): è, probabilmente (e molto alla lontana, sia chiaro), qualcosa di simile a un film di genere (con tutta la polemica critica che ne consegue) – ma non permette allo spettatore di costruire l’esperienza filmica tramite aspettative, perché è l’opera stessa a aprirsi dinanzi a chi la guarda, quasi in maniera didascalica. E non permette a nessuno di non guardarla. È il film stesso che guida le danze, nel buio della sala, ma senza muoversi o senza farsi desiderare, solo mostrando ciò che è. Stesso comportamento che, d’altronde, contraddistingue la splendida Kristen Dunst: infatti, sia lei che l’opera Melancholia sono nude, distese, in attesa che quel qualcosa che tutti sappiamo certo si verifichi – guidano la danza perché hanno la consapevolezza che le cose devono andare in una tale maniera e che non esiste verso di sfuggire a questo meccanismo. La fatalità, dopotutto, è un tema narrativo che a volte ritorna nei film di von Trier, ma questa volta il regista danese ha deciso di renderla non solo con una sfumatura della narrazione, ma bensì, in qualche modo, con l’intera narrazione stessa.

Per servirci questa danza inesorabile e finale, egli si affida ai suoi nervosi movimenti di macchina a mano e a una messa a fuoco imprecisa e a tratti anche un po’faticosa, al punto di richiedere un ulteriore piccolo sforzo allo spettatore, che si ritrova sempre più così catturato dall’atmosfera (è proprio il caso di dirlo) di Melancholia. Nel prologo, invece, lo stile di regia è completamente differente e non intendiamo dire nulla a riguardo, se non di sforzarsi di comprenderlo alla luce (anche) dei riferimenti alla pittura romantica e ai primi minuti di Antichrist (2009), opera che, se analizzata con Melancholia, suggerisce una precisa direzione estetica percorsa da von Trier, il quale, dopo il sottovalutato Il grande capo (2006), dove rinunciava a quanto più controllo possibile sulle inquadrature, ora le costruisce, al contrario, con la massima cura e perizia, anche laddove possono sembrare più casuali.

In questo 2011 cinematografico, fatto di fasi alterne dal punto di vista della qualità, ora calanti, ora ascendenti, consigliamo, per rifarsi occhi e palato, di vedere Melancholia. Un consiglio alquanto banale, in effetti, ma allora cambiamogli tono: Melancholia sta venendo verso di voi. Se sarete capaci di accoglierlo a braccia aperte, cosa che vi consigliamo di fare, sarà un’esperienza fantastica; ma se sarete prevenuti, se vorrete fare altro dall’essere felici e orgogliosi di vederlo, lui verrà verso di voi lo stesso. E in un modo o nell’altro, cambierà il vostro modo di vedere e giudicare i film per tanto tempo.

Titolo originale: Melancholia
Regista: Lars von Trier
Sceneggiatore: Lars von Trier
Attori principali: Kristen Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Alexander Skarsgaard, Stellan Skarsgaard, Jesper Christensen, Charlotte Rampling, John Hurt, Udo Kier, Brady Corbet.
Genere: Drammatico, Fantascienza
Montaggio: Molly M. Stensgaard
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Durata: 130′