Tratto dall’Eredità di Mario Pratesi (1889) la “Viaccia” è un film di Mauro Bolognini (Pistoia, 28 giugno 1922 – Roma, 14 maggio 2001 con all’attivo le collaborazioni più prestigiose del cinema del neorealismo e un feeling artistico con Pier Paolo Pasolini) che racconta l’Italia del come eravamo.

Una grande famiglia, riunita in attesa dell’esalazione dell’ultimo respiro del patriarca morente, riceve l’eredità di non disperdere la proprietà, la Viaccia e mantenere unita la famiglia nella conduzione della terra.

Il fratello designato all’eredità è Stefano (Pietro Germi in persona) insicuro, si affida al fratello maggiore, benestante, che possiede un’osteria a Firenze, scapolo, che dà alla famiglia la sicurezza di lasciare a breve tutto a loro “tanto non sono più un giovanotto!”, in cambio di gestire la proprietà ed essere lui il transitorio padrone, apparentemente in un passaggio innocuo e indolore.

Inoltre, il patto prevederebbe di allontanare dalle magre economie familiari Amerigo (GhigoJen Paul Belmondo) figlio di Stefano per portarlo a Firenze e dargli un lavoro nella sua osteria.

E così accade. L’incontro fra la bellissima Claudia Cardinale, impiegata a tempo pieno in una casa chiusa sembra inevitabile nel gioco del destino e ovviamente sono inevitabili i furtarelli di Ghigo all’osteria dello zio per proseguire gli incontri con Bianca (Claudia Cardinale).

In realtà, lo zio scapolo è legato ad una donna con cui ha avuto un figlio e che monetizza ogni prestazione rivendicando a piè sospinto il suo diritto a diventare moglie per sapere dove nasconde il denaro accumulato.

Accade che gli zii vengano a conoscenza degli ammanchi di spiccioli ed inizino ad accusare pesantemente il nipote di furto, la zia ha tutto l’interesse a penalizzare il nipote a scapito del figlio, un’occasione in più per acquisire il potere necessario per sottrarre gradualmente la proprietà della Viaccia alla famiglia e fare da padrona.

Così Stefano (Pietro Germi) viene a prendersi il figlio per riportarlo a casa, al lavoro dei campi, ma in lui l’amore morboso per Bianca continua a consumarlo e non riesce a starle lontano.

Ghigo riceve anche l’invito degli anarchici per partecipare ad un’avventura verso il mondo intero, ma Romolo Valli che impersonifica il leader cerca di convincere il ragazzo di farsi seguire sensibilizzando la sua bella e convincerla ad un’altra e meno ingenerosa vita.

Ma, naturalmente il personaggio di Bianca è costruito sugli sprazzi, da una parte vorrebbe vedersi idealista, ma dall’altra l’accumulazione del denaro per la vendita del suo corpo non le dispiace, le basta oscurare la sua sensibilità e non guardarsi allo specchio con la lente di ingrandimento.

Man mano che Ghigo si allontana dalla terra si trova attratto in una spirale sempre più viziosa, compare lo zio e incomincia a chiedere di rendere i conti a Stefano, il fratello e una somma ingente per coprire i furti del nipote, quantificati per eccesso anche con la malizia della zia.

C’è un passaggio inquietante nell’anima di Stefano (padre di Ghigo) cerca infatti di vendere anche la figlia allo zio cogliendo in lui l’interesse libidinoso e incestuoso.

La fuga dalla casa e dalla meschinità portano Ghigo alla nuova avventura di fare l’attendente nel bordello dove lavora Bianca, fino a quando un cruento episodio segna definitivamente i contorni di una storia che non potrà mai svilupparsi oltre alle quattro mura della casa di tolleranza e all’autodistruzione, si avverte un monito alla società del periodo, attraverso la metafora dell’abbandono della terra: la Viaccia, l’abbandono della radici, del sé, l’amara constatazione di un passato da cui non si ritorna se non con la perdita dell’identità.