Il retrogusto amarognolo di cinque anni fa non era ancora andato via del tutto… A. Lee mi aveva zavorrato i ricordi con un Hulk molto più verde e pesante di quello che non fosse in origine e con il suo film mal riuscito, avevo archiviato una volta per sempre anche i pomeriggi bambini in compagnia dell’omone verde in carne e ossa che ruggiva dall’altra parte della Tv e che sembrava cattivo ma, lo capivo perfino io, non doveva esserlo poi così tanto.

Credevo che mi sarei trovata di fronte all’enesimo remake raffazzonato, giusto per, tanto da… e invece, la Marvel, ha puntato il tutto e per tutto su un giovane regista francese semi-sconosciuto: Louis Leterrier. Lui ha ricambiato la fiducia riuscendo a creare nuovamente quella magia autentica appartenuta al fumetto prima e alla serie televisiva poi, alitando nelle narici dell’Incredibile Norton (anche sceneggiatore e produttore) tutto lo spirito del vero Hulk fino a plasmare, non una mera imitazione, ma il naturale proseguo generazionale di Bruce Banner.

E. Norton è riuscito a rievocare la stessa angosciosa bontà riflessa nello sguardo di chi teme sé stesso più di ogni altra cosa, la medesima espressione di mite rassegnazione a cui aveva dato vita quel Bill Bixby che ricordiamo in fuga con uno zaino in spalla sulle polverose strade americane e che fatichiamo a dimenticare.

Ma è anche riuscito a ricreare il grande “mostro di giada” nella sua totalità e per farlo ha dovuto cospargersi di una vernice sensibile ai raggi infrarossi e imparare a muoversi come se fosse stato un bestione verde di quasi tre metri d’altezza e 500 kg di peso, così da dare la sua indelebile impronta recitativa a Hulk che, altrimenti, sarebbe apparso impersonale e freddo.

Tutto questo è stato possibile grazie a un 50% di “motion capture” (la stessa tecnica di animazione digitale usata per creare Shrek e che applica a personaggi virtuali i movimenti di attori in carne e ossa) e un 50% di “Keyframe” (fotogrammi disegnati singolarmente).

Nel cast anche uno spietato T. Roth, a interpretare il leggendario mostro dallo sguardo torvo “Abominio”, calatosi talmente nella parte da rendere praticamente impossibile il paragone con quel malinconico pianista sull’oceno che fu un tempo e rimpolpando con maestria recitativa la malvagia ambizione di un glaciale soldato russo, Emil Blonsky, pronto a tutto pur di diventare invincibile.

Lo stesso Roth ha dichiarato di aver voluto fortemente questo ruolo (difatti ha firmato contratti con la Marvel per altri tre film) e di essersi documentato approfonditamente su quanto concernesse il personaggio e le sue motivazioni interiori per poterlo interpretare al meglio, cosa che senz’altro è riuscito a fare.

Nei panni della devota dottoressa Betty Ross troviamo una voluttuosa L. Tyler che, ammorbiditasi nelle forme e nello sguardo, trasuda istinto materno e dolcezza da tutti i pori.

Intenso e liberatorio l’incontro sotto la pioggia fra lei e Banner dopo cinque anni di lontananza forzata.

A questo azzeccatissimo cast va aggiunta la sceneggiatura di Norton che ricalca abbastanza fedelmente le origini del fumetto e che si incastra a filo con la storia passata e futura di Hulk attraverso molteplici richiami riconoscibili dai cultori della serie, ma perfettamente capibili anche da un pubblico meno appassionato (per esempio Robert Downey/Stark a far presagire, in chiusura, l’inevitabile seguito).

Uno dei tanti cenni alla storia originale è la comparsa del dottor Samuel Sterns (uno dei personaggi della Marvel Comics) che, seppur con qualche imprecisione narrativa, si vedrà mentre viene incidentalmente contaminato dai raggi gamma e comincerà la metamorfosi che lo porterà a diventare il feroce “Capo”: uno dei più pericolosi rivale di Hulk.

Numerosissimi altri sottointesi e spassosissimi camei sono stati celati in tutto il film, a partire dall’esilarante scena in cui un Lou Ferrigno perfettamente conservato (che in questo film presterà anche la sua voce a Hulk) e per l’occasione guardia di sicurezza, cede il passo al novello Hulk in cambio di una pizza.

Oppure, nell’ “anonimo” vecchietto che beve la bottiglia infetta, un occhio attento riconoscerà il simpatico autore di fumetti della Marvel: Stan Lee.

Una riconoscente citazione va anche al compianto Bill Bixby che, a inizio film, comparirà nella scena in cui Norton fa zapping su un vecchio televisore in Brasile.

Ad essere esageratamente pignoli, alcune piccole imprecisioni e leggerezze si possono riscontrare anche nel film di Louis Leterrier, a partire da un Hulk che mantiene sempre le stesse dimensioni (nel fumetto, più si arrabbiava, più si ingrossava) e di un Banner che intreccia improbabili relazioni via etere con un certo Mr Blue (Samuel Stern in una versione decisamente poco credibile) e che si cruccia alla ricerca di pantaloni abbastanza elastici da contenere anche il sederone di Hulk.

Nel complesso, comunque, il giudizio è più che positivo per un regista che ha saputo rispolverare la morale di un fumetto che non è solo un epidermico passatempo senza scopo, ma è anche la testimonianza dell’intima lotta fra conscio e inconscio che ognuno di noi si trova a dover combattere per riaffermare la propria identità secondo coscienza.

La fuga sofferta di Banner lo porta, passo dopo passo, verso la consapevolezza che il mostro in agguato dentro di noi per il momento non si può eliminare, ma che, con fatica e abnegazione, si può controllare.