La storia siamo noi

Uscirà il 21 marzo, in concomitanza con la giornata mondiale contro il razzismo, il lungometraggio sull’uomo protagonista dell’incontro che ha segnato – o avrebbe dovuto segnare – la storia del pugilato europeo e, con esso, della società italiana. Un evento che oggi torna alla ribalta in tutta la sua prepotente e urgente necessità.

Verità. Tra chi la anela e chi pensa di trovarla, i consapevoli di come essa sia un bene prezioso, quando criticamente sincero, di parte e non universale, non sono, e forse mai saranno, abbastanza. A volte da proteggere, altre riscoprire, altre ancora da demolire, la verità è sempre figlia di una precisa weltanschauung, di una coscienza che è tanto «posizionale nel mondo», quanto «apertura al mondo» (J. P. Sartre); ossia di un processo di conoscenza necessariamente vivente e appartenente sì alla storia, ma se e solo se scritta con la minuscola, perché banale (nel senso dadaista, vitale e non monumentale), propria di singoli uomini e singole donne che, all’ombra dei grandi eventi (militari) o delle strutture (economiche e ideologiche), hanno  spesso vissuto la lacerazione della propria carne e il naufragio dei propri sogni in prima persona e non come personaggi di un mero racconto.

Ed è proprio per la messa in crisi dell’insopportabile canovaccio di una e una sola Storia da trasmettere a caratteri cubitali e a reti unificate che il regista esordiente Tony Saccucci, con la collaborazione di Mauro Valeri (autore della biografia Nero di Roma, materiale base del film), si è adoperato portando alla luce la formidabile storia de Il pugile del Duce.

Il testo adattato al linguaggio cinematografico sta svolgendo una funzione divulgatrice non indifferente, permettendo una fruizione più ampia rispetto alla controparte cartacea al punto da destare l’attenzione del Parlamento Europeo, dove il 30 marzo (posticipata al 27 aprile, ndr) Il pugile del Duce vedrà una proiezione speciale.

La vicenda di Leone Jacovacci, la verità di un pugile mulatto in un paese che si immaginava (e, purtroppo, non solo a quel tempo) di latte, l’Italia, non è affatto nota, nascosta in un passato che mezzi di comunicazione e istituzioni educative continuano quotidianamente a manipolare attraverso la narrazione di quello che, con perifrasi lirica, potremmo definire l’asfissiante silenzio degli sconfitti e degli ultimi.

Nella vita, si sa, c’è chi vince e c’è chi perde. Leone vinceva, e tanto, ma se la storia ama i vincitori, non sempre li declama. E se il perché di questo fallace oblio – che allora era fascista, oggi figlio del rigurgito di xenofobia che sta re-investendo l’Occidente – è chiaro ed evidente, con altrettanta forza si palesa la restituzione de Il pugile del Duce (di cui Saccucci firma regia, soggetto e sceneggiatura) ben oltre la semplice, per quanto convincente, operazione estetica o culturale.

Quando sei figlio di un italiano e una congolese, cresciuto negli anni dell’ascesa del Fascismo, non importa che tu sia il più forte nel tuo campo; non importa che tu ti sia affermato a livello nazionale ed europeo; non importa che tu sia un campione, perché non potrai mai essere il loro campione.

Quello che contava per il regime – un regime vacuo e ideologicamente fragile come quello incarnato dalla ridicola figura di Mussolini, il Mangiafuoco per eccellenza che la propaganda mostrava con totale disprezzo di ogni pudore a torso nudo sul Terminillo o mentre dava esempio di autarchia arando i campi, ma che i creatori della pellicola per contrarietà scelgono di non mostrare mai, di lasciarlo presente in absentia così evidenziandone la funzione primaria solo nel titolo dell’opera – era la valenza simbolica del campione, non la sua reale esistenza, l’essere simbolo della romana fierezza, non l’esserlo realmente (romano). E quella valenza simbolica non poteva essere svolta dal volto di Leone, la cui vita si scopre essere costellata da negazioni: della nazionalità, dell’appartenenza e di una intera esistenza.

Le sue vicissitudini personali e sportive sono più che mai attuali e il portarle a fuoco, detta con le parole di Valeri, rappresenta un modo di «prendere atto di una realtà che non ci sta bene», un autentico dovere morale di chi, piuttosto che aspettare una mano invisibile capace di sistemare idealmente le cose, ha scelto di attivarsi per portare alla consapevolezza la drammatica condizione di un’età contemporanea che si scopre impaurita e incapace di confrontarsi criticamente con il proprio passato e il proprio presente, figurarsi di immaginarsi virtuosa e felice nel proprio futuro.

Accompagnato dalle musiche originali di Alessandro Gwis e Riccardo Manzi, dalla voce narrante di Angelo Nicotra e dagli interventi di Mauro Valeri – la cui vicenda privata si intreccia in modo inaspettato con quella del boxeur – Il pugile del Duce restituisce a Leone un’identità e a noi pagine di storia ancora sconosciute.

Dopo averne ricostruito le curiose circostanze biografiche (dalla nascita in Congo all’arrivo in Italia, dall’imbarco su una nave militare britannica, dove scopre la boxe, al peregrinare come pugile di successo tra Inghilterra e Francia con il nome John Douglas Walker) e focalizzato la propria attenzione sull’evento clou della carriera e, forse, della vita di Jacovacci (la sfida allo Stadio Nazionale per il titolo italiano ed europeo dei pesi medi del 1928 contro Mario Bosisio di fronte a circa quarantamila spettatori, anche in collegamento radio da altre città d’Italia), la direzione di Saccucci crea, infatti, le condizioni perfette per un film che solo riduttivamente potrebbe essere considerato ascrivibile al genere documentaristico.

Genere, il documentario, del quale il regista romano rigetta con audace consapevolezza ogni finta aura di asettica imparzialità, dando così forma e sostanza a un’inattaccabile operazione politica perché non ipocrita, ma dichiaratamente partigiana e costruita attraverso un’assennata e attenta ricerca filologica delle fonti: documenti cartacei e filmati, anche incompleti per la censura fascista (non a caso, le riprese riguardanti la sfida con Bosisio) messi a disposizione dall’Istituto Luce e montate da Chiara Ronchini con ritmo lieve ma incalzante prima della chiusura sulle parole dello stesso Valeri. Un finale suggestivo e dolcissimo, da cui emerge splendidamente e in tutta la sua potenza il richiamo alla responsabilità collettiva di ogni individuo che, come fil rouge, lega Leone a Valeri e la biografia di quest’ultimo alle intenzioni di Saccucci.

In un momento storico estremamente complicato e dagli equilibri precari come quello attuale, in cui si bada forse in maniera eccessiva a ciò che si vede, ma si presta decisamente poca attenzione a quello che si cela dietro, Il pugile del Duce si erge a manifesto dei dimenticati, a inno dei negletti e dei non rappresentati. Una vera e propria operazione di risveglio delle coscienze e della memoria che si spera non rappresenti un caso isolato.

Il pugile del Duce
Regia, soggetto e sceneggiatura Tony Saccucci
liberamente tratto dal libro Nero di Roma di Mauro Valeri – Palombi Editori
montaggio Chiara Ronchini
direttore della fotografia Sabrina Varani
musiche originali Alessandro Gwis, Riccardo Manzi
sigla finale Leone di Diamante e Sandal
voce narrante Angelo Nicotra
voci Ezio Conenna, Simone Crisari, Sergio Lucchetti
montaggio del suono Marco Furlani
fonico di Mix Andrea Malavasi – SOUND ON STUDIOS
con la partecipazione di Mauro Valeri – biografo di Leone Jacovacci
Nicole Jacovacci – figlia di Leone Jacovacci
Patrizio Sumbu Kalambay – campione mondiale dei pesi medi
immagini di repertorio Archivio Storico Istituto Luce Cinecittà, British Pathè
fotografie e documenti Archivio del CONI, Archivio di Vincenzo Belfiore, Archivio di famiglia di Leone Jacovacci, Archivio Federazione Pugilistica Italiana, Bibliothèque Nationale de France
ricerche d’archivio Nathalie Giacobino
produzione Istituto Luce Cinecittà
produzione esecutiva Maura Cosenza
patrocinio di CONI, Federazione Pugilistica Italiana, ARDI – European Parliament Anti-Racism and Diversity Intergroup, MigrArti
distribuzione Istituto Luce Cinecittà
durata 65′