Malerba al cinema

Recensione Il Pataffio. Francesco Lagi adatta per il grande schermo Il Pataffio di Luigi Malerba: presentato al Festival di Locarno, questo film è un piccolo gioiello di fattura e composizione, una boccata d’aria rispetto alla maniera composta e standardizzata che affligge il cinema italiano degli ultimi anni.

È sin dal 1952, anno in cui co-sceneggiò Il cappotto di Lattuada, che il rapporto tra lo scrittore Luigi Malerba e il cinema è corso su binari tutto sommato positivi. Nondimeno, nonostante la non breve carriera come sceneggiatore di film altrui – tra le collaborazioni più durature, quella con Pasquale Festa Campanile e quella con Fabio Carpi – la produzione romanzesca di Malerba è stata molto raramente adattata per il grande o il piccolo schermo, complice forse anche la sua contorta e appassionata ricerca sul fronte linguistico-dialettale. Anzi, Malerba, che da buon figlio del Gruppo 63 era stato per un periodo anche pubblicitario, ad oggi non era mai stato adattato per il cinema; tutt’al più, assieme a Carpi, Malerba aveva fatto l’operazione inversa, adattando a romanzo I cani di Gerusalemme, che avevano sceneggiato assieme. Anche per questo un’operazione come Il Pataffio di Francesco Lagi risulta, se non altro, promettente e originali, e va ad aggiungersi a un numero non piccolo di produzioni italiane che, benché danneggiate da una distribuzione estiva, confermano una certa freschezza di ispirazione anche nel nostro cinema.

“Classica” coproduzione italo-belga, come sempre più spesso capita nel cinema italiano grazie al positivo effetto combinato del tax credit dei due paesi, Il Pataffio vanta un cast non da poco: Lino Musella ne è protagonista, ma è affiancato nientemeno che da Valerio Mastrandrea, Alessandro Gassmann e Giorgio Tirabassi, in un’insolita ma ponderata contrapposizione che vede le star interpretare il ruolo dei comprimari. La trama è grossomodo la stessa del romanzo di Malerba, recentemente riedito da Quodlibet: in un Medioevo pieno di fame e di carestia, il «Marconte Cagalanza» va a prendere possesso del suo nuovo feudo, conquistato grazie alle nozze con la figlia più brutta del re; ma il Marconte e la sua corte, sfaccendata e goffa, si trovano in un territorio impervio, abitato da uno sparuto manipolo di contadini morti di fame, con un castello rivale abitato da una misteriosa quanto volgare Vecchia che rifiuta ai nuovi arrivati ogni aiuto. Il Pataffio si colloca così, nella tradizione cinematografica italiana, a metà strada tra Il deserto dei tartari di Zurlini, Perrin e Buzzati, e L’Armata Brancaleone di Monicelli: una ruvida fantasticheria, sospesa tra il grottesco e l’esistenziale, tra la denuncia sociale e l’immaginazione più sfrenata, con un ritmo e un andamento narrativo serrati ma scanzonati, tragici e comici insieme.

Un dettaglio onnipresente sottotraccia in ogni inquadratura del film potrebbe rivelare una certa genealogia: nei panni del Marconte Cagalanza, Lino Musella è identico al Carmelo Bene degli anni sessanta. L’immaginario è lo stesso, tanto sul fronte dei personaggi, quanto sul fronte delle azioni, dell’inanità: il Marconte è in realtà uno stalliere giunto alla nobiltà con un matrimonio di interesse, che giunto a prendere possesso del suo feudo non potrà mai imporre il suo potere su una tale landa desolata; e in questa frustrazione, in questa ipocrisia, in questa incapacità, il Marconte di Musella non è molto diverso dal Don Giovanni beniano, perennemente frustrato dall’incapacità di sedurre la figlia della sua amante di turno, e ancora meno è diverso dai vari Riccardo III o Macbeth più volte reinterpretati da C.B. tra cinema e televisione. Gli stessi costumi de Il Pataffio, non per nulla a firma di Mariano Tufano, testimoniano un certo debito nei confronti del teatro, del cinema e in generale dell’immaginario beniano. Nell’organigramma tecnico de Il Pataffio spicca peraltro anche il lavoro di Daniele Frabetti, uno scenografo che sta collezionando nella sua filmografia alcuni dei titoli più interessanti e originali del cinema italiano recente. La fotografia del film è discreta, fosse stato girato in pellicola avremmo visto effetti veramente notevoli.

In conclusione, Il Pataffio di Lagi è uno dei tanti esempi, nella produzione cinematografica contemporanea, di film capaci di trovare la loro originalità, la loro specificità, la loro novità mantenendo al contempo un convincente dialogo sulla tradizione. Come sempre, questi film non sono premiati dai distributori, e il passaggio de Il Pataffio a Locarno non basta a controbilanciare il notevole sforzo creativo che ha permesso la realizzazione del film. Il problema del cinema italiano non è solo e non è tanto creativo, ma va situato in quell’interregno ambiguo che si colloca tra il momento produttivo e l’aspetto distributivo.

Titolo: Il Pataffio
Regista: Francesco Lagi
Sceneggiatura: Francesco Lagi, dal romanzo di Luigi Malerba
Attori principali: Lino Musella, Alessandro Gassman, Valerio Mastrandrea, Giorgio Tirabassi, Viviana Cangiano
Scenografia: Daniele Frabetti
Fotografia: Diego Romero Suarez-Llanos
Montaggio: Stefano Cravero
Costumi: Mariano Tufano
Produzione: Vivo film, Rai Cinema, Colorado Film, Umedia, con il contributo del Ministero della Cultura, con il sostegno di Regione Lazio, UFund, Tax Shelter du Gouvernement Fédéral Belge
Distribuzione: 01 distribution
Durata: 117’
Genere: storico, grottesco
Uscita: 18 agosto 2022