Fedeltà a parte

Recensione Fedeltà. Una miniserie di Netflix Italia in sei puntate porta sul piccolo schermo il romanzo Fedeltà di Missiroli, senza mai prendere il volo né innovare il genere.

Tratta dall’omonimo libro e apprezzato romanzo di Marco Missiroli, Fedeltà è la nuova serie italiana di Netflix. Frutto di una collaborazione tra la major dello streaming e la BibiFilm di Barbagallo, Fedeltà vede in cabina di regia due nomi non scontati come Andrea Molaioli e Stefano Cipriani; il protagonista maschile è interpretato da Michele Riondino, gli altri personaggi da attrici e attori relativamente meno noti, con l’eccezione significativa di Maria Paiato nel ruolo della madre di lei.

Drammi sentimentali incentrati su crisi di coppie più o meno âgée ci sono sempre stati nel cinema e nella televisione italiana o di importazione, ma Fedeltà sembra rifarsi a uno specifico sotto filone in cui più che gli atti contano i desideri di adulterio – nel romantic drama trova il suo esponente di spicco, e il suo inevitabile modello, in Eyes Wide Shut, il film postumo di Stanley Kubrick. La crisi della coppia sposata e apparentemente affiatatissima composta dallo scrittore Carlo Pentecoste (Riondino) e dall’agente immobiliare Margherita Verna (Lucrezia Guidone) inizia quando il primo viene convocato dal preside dell’università dove tiene un corso di scrittura perché una studentessa lo accusa di avere una relazione clandestina con la giovane Sofia (Carolina Sala): anche se questo sospetto è – all’inizio – infondato, il solo fatto che Carlo abbia spontaneamente raccontato l’episodio a Margherita porterà i due a un’interrogazione reciproca sempre più diffidente e irrimediabile, in una costante indagine a nervi tesi delle fantasie e delle potenzialità di seduzione dell’altro. Le vicende tumultuosa di un’altra coppia di amici, che trova spazio soprattutto nelle prime puntate della serie, non sono che il riverbero e l’anticipazione simmetrica della crisi che si abbatte subito dopo anche su di loro.

Fedeltà è una serie dalla collocazione un po’ atipica, che certo nessuno si aspetterebbe di vedere sulla Rai, perlomeno su Rai1, ma che al tempo stesso ha un andamento da dramma borghese all’italiana, che raramente Netflix aveva sposato anche per le produzioni sul suolo nostrano. I personaggi sono empatici oltre quella soglia minima che consente l’identificazione e quel minimo di interesse necessario ad andare avanti con la visione della serie, ma non brillano né per originalità né per approfondimento psicologico: la sceneggiatura dimostra una buona conoscenza delle dinamiche di una scuola di scrittura, e in genere della cosiddetta “industria culturale milanese”, ma verosimilmente questi tratti erano già presenti nel romanzo di Missiroli, né la serie si impone come mero scandaglio di questi ambienti.

L’ambizione della serie – o, perlomeno, lo storytelling aziendale con cui Netflix ha compiuto la curiosa mossa di distribuire una miniserie vagamente autoriale su una “coppia che scoppia” proprio il giorno di San Valentino – è quella di indurre gli spettatori a porgersi delle domande. Il siparietto con cui due sceneggiatori hanno rivelato durante la conferenza stampa di essersi sposati durante la lavorazione del film lascia intendere che i creatori ritengano Fedeltà più scottante di quello che è, tanto da dover rassicurare sulla bona fide dell’operazione. Le domande che si pone non sono datate, semplicemente perché sono senza tempo, in particolare da quando nella coppia si è raggiunta una sostanziale parità tra uomo e donna, ma il modo in cui queste domande sono poste, gli snodi narrativi attraverso cui questa crisi di coppia viene drammatizzata, non brillano certo per originalità o profondità. La prima puntata affonda fin troppo la mano su certi cliché adulterini – questi sì d’antan, l’avvenente fisioterapista di periferia che seduce con gli esercizi l’architetto Verna è uno dei più dolorosamente banali – poi Fedeltà recupera un discreto spessore per risolversi con un finale certo non prevedibile o scontato: ma a parte la sottotrama relativa ai corsi di scrittura, che permette un affondo su un mondo solo occasionalmente rappresentato nel cinema e nella serialità italiani, Fedeltà resta un prodotto “mediano”, ancorato a una “scrittura a tavolino” e da una regia meramente funzionale al racconto, mentre la fotografia di Gogò Bianchi invece è languida abbastanza da risultare affascinante.

Se vogliamo, Fedeltà incarna bene tanto l’assenza di dogmatismi che caratterizza il discorso sulla coppia nella società odierna, quanto le incertezze e le reticenze che accompagnano questa stessa “crisi dei fondamenti” e problematizzazione sociale. Ma se i discorsi pubblici e collettivi sul consenso, sulle minoranze LGBT e altre questioni analoghe, che solo negli ultimi decenni si sono progressivamente sdoganate, sembrano affetti da uno schematismo di fondo che non facilita la maturità del dibattito, Fedeltà direttamente non dà risposte e non fa rivendicazioni: forse per un’opera narrativa quest’assenza di soluzioni nette è inevitabile, per quanto qui suoni stridente proprio la grottesca conclusione del già citato Eyes Wide Shut; ma il fatto è che la serie Fedeltà, benché discreta e in fondo anche piacevole, non mette affatto a nudo l’istituto della coppia quanto vorrebbe, e, perdendosi in alcuni dettagli in fondo secondari, si limita a descrivere il tracollo come sempre banale di una coppia, e la serie non sembra avere il coraggio di porsi fino in fondo le domande che essa stessa vorrebbe porre.

Titolo: Fedeltà
Regista: Stefano Cipriani, Andrea Molaioli
Sceneggiatura: Alessandro Fabbri, Elisa Amoruso e Laura Colella
Attori principali: Michele Riondino, Lucrezia Guidone, Carolina Sala, Maria Paiato
Scenografia: Giada Esposito
Fotografia: Gogò Bianchi
Montaggio: Lorenzo Peluso
Costumi: Gaia Calderone
Produzione: BibiFilm per Netflix Italia
Distribuzione: Netflix
Durata: 6 x 40-45’
Genere: drammatico, sentimentale
Uscita: 14 febbraio 2022