Il nuovo, travolgente film di Gabriele Salvatores racconta la formazione sul campo di un “criminale onesto”.

C’era una volta in Siberia
di Angelo Simone

C’è qualcosa che lega questo film a un’altra opera di Gabriele Salvatores, forse un poco dimenticata: Sud. Anche in quel caso avevamo una colonna sonora potente, un luogo al confine di tutto e personaggi che attraverso una scelta di illegalità propugnavano una condivisibile idea di giustizia, quella famosa giustizia sociale, spesso invocata, ma di cui si ha anche paura.

Tratto dal conosciutissimo e omonimo romanzo di Nicolai Lilin, il film è un pezzo di autobiografia e racconta infanzia e adolescenza dell’autore all’ interno di una comunità siberiana di “Criminali Onesti”, così come loro stessi scelgono di definirsi.

Ma come spesso accade nella cinematografia di Salvatores la trasposizione del romanzo acquista una forte interpretazione autoriale per cui è difficile, anche per i lettori del libro, esimersi dalla visione del film: non sono la medesima cosa, e questo è forse uno dei rari casi in cui il film è migliore del libro.

A conferma di quanto detto, per fare solo un esempio, l’immenso lavoro operato sui tatuaggi dei protagonisti, un vero e proprio codice visivo, che riesce di difficile interpretazione se non “visto”. Il tatuaggio, per la comunità di criminali in cui vive il giovane Kolima è un’esperienza totale, da vivere nel tempo, addirittura trasferendosi a casa del tatuatore e convivendo con lui. Ancora educazione, quindi ancora formazione, tutto al fine di trasmettere le regole di un gruppo ristretto di uomini che porta avanti, delinquendo, l’eroica e disperata resistenza dei discendenti dei guerrieri Urca, originari abitanti delle grandi foreste siberiane, all’invasione del consumismo e della globalizzazione.

La trama è quindi avvincente e unisce una storia d’amicizia tra due coetanei maschi all’amore per una bella ragazza, mentalmente instabile. Sullo sfondo, un mondo di contrasti, come quando, in una scena del film, nell’unico spazio libero lasciato dai palazzi grigi e tutti uguali di un quartiere di architettura sovietica, una piccola giostra accende le sue luci colorate e diffonde dai suoi altoparlanti la musica di David Bowie.

Educazione Siberiana è sicuramente un film da vedere, definito dal regista “Il mio film più bello” e unisce ritmo e avventura al ritratto di un personaggio fuori dagli schemi che rimarrà nel cuore di molti.

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Amicizia e onore sull’orlo del Muro
di Andrea Ussia

Delude Salvatores. La trasposizione cinematografica del controverso libro di Nicolai Lilin ci consegna una nuova versione stilistica del regista milanese, ma non convince.

Sulle sponde di Fiume Freddo vive il clan dei siberiani, delinquenti onesti con i più deboli e feroci con esercito e polizia. Pregano Dio e impugnano le pistole, rubano per essere autosufficienti e seguono regole ben precise. In questo microcosmo crescono Kolyma e Gagarin, indottrinati da nonno Kuzja. Ma il crollo dell’Unione Sovietica e del Muro modificherà il loro mondo, contaminato dall’occidente. Ormai ventenni Kolyma e Gagarin conoscono Xenja, una ragazza “voluta da Dio” (affetta da demenza). Una variabile che cambierà il loro rapporto.

Salvatores ci ha fatto il callo e costantemente si re-inventa e si butta a capofitto in nuove avventure cinematografiche. Questa volta sbarca in Lituania (puramente per una scelta scenografica, in realtà la vicenda è ambientata nel sud della Russia) e prova a smarcarsi dal cinema nostrano, cercando di dare respiro internazionale al nostro cinema. E pur ostentando echi estetici da Romanzo Criminale, Educazione siberiana non convince appieno, esibendo una marcata edulcorazione della violenza e un continuo saltellare da un piano temporale all’altro, effetto che spezzetta il ritmo e gli fa perdere tensione. Difatti il film diretto da Salvatores si dipana su un periodo di tempo abbastanza ampio (1987-1997), ma non sono solo i dieci anni l’aspetto rilevante. Sono i cambiamenti strutturali e sociali che colpiscono, che vengono esibiti in modo funzionale. L’ex Unione sovietica prima e dopo il muro. Povertà prima e grattacieli dopo. Tutto questo sullo sfondo di un percorso di crescita personale di due “fratelli”, che affrontano le proprie esperienze di vita accompagnati da un codice (imm)morale sciorinato dal nonno Kuzja, boss del clan dei siberiani o per meglio dire della comunità Urka di Fiume Freddo. Dove si trovano le pecche più grandi di Educazione siberiana? Sicuramente nella superficialità d’intenti, ovvero nella poca volontà di scavare nelle profondità delle contraddizioni del codice criminale siberiano, accettandolo semplicemente, lasciando sullo strato superficiale della pellicola i diversi percorsi dei due protagonisti (Kolyma l’onesto e Gagarin il delinquente, differenziati forzatamente anche nei tratti somatici; un cliché) e uno sparuto numero di dettami d’onore, alcuni anche condivisibili. Ma non è solo sotto il punto di vista narrativo (coadiuvato dalle professionalità di Rulli e Petraglia) che Salvatores sbaglia, ma è anche sotto quello stilistico cercando in modo ossessivo un pizzico di autorialitá non necessaria, come a esempio alcune riprese a effetto, una fotografia fumosa e ricercata (perdendosi negli effetti speciali) e in uno sfoggio di rallentamenti gratuiti. Tutti elementi che appaiono fini a se stessi e che non permettono un sufficiente coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore.

Educazione siberiana è una pellicola che non riesce a far propri gli stilemi del genere, ma riesce adeguatamente a ripercorrere la crescita adolescenziale dei due protagonisti. Ed è forse qui che Salvatores riesce a imprimere la propria impronta, partendo dalla giovane età (nella quale le amicizie si cementificano e ci si confronta con la moralità criminale), passando per l’ingresso nell’età adulta (corroborata dall’ingresso del personaggio femminile di Xenja, labile mentalmente, ma significativa ai fini narrativi) fino a giungere a una maturità adulta che li vedrà uno contro l’altro, sui fronti opposti. Temi che si accavallano, si sommano e si frammentano in un ritmo eccessivamente ponderato.

Salvatores percorre il solco tracciato da Romanzo Criminale, ma non riesce a raggiungere lo stesso eccellente livello filmico, ingarbugliandosi in un montaggio spezzettato, in un addolcimento delle sequenze dalla potenziale violenza esplosiva e in un’insufficienza introspettiva. Il tutto accompagnato da un finale sospeso e da una colonna sonora, che pur essendo stata realizzata da un grande maestro (Pagani), non contrappunta a dovere la crescita esistenziale di Kolyma e Gagarin. Educazione siberiana è una pellicola che delude e che fatica a convincere. È come se rispecchiasse fedelmente la battuta summa recitata da nonno Kuzja: «Folle volere troppo. Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare». Ci sono dei limiti, anche nel cinema.

Titolo: Educazione Siberiana
Regista: Gabriele Salvatores
Attori principali: John Malkovich, Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Peter Stormare
Genere: Drammatico
Durata: 110’
Anno: 2013
Produttori: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz
Casa di produzione: Cattleya / Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Fotografia: Italo Petriccione
Montaggio: Massimo Fiocchi
Musica: Mauro Pagani
Data di uscita: 28 febbraio 2013
Tratto dall’omonimo romanzo di Nicolai Lilin edito da Giulio Einaudi Editore